Mario Colella

Quella della postdemocrazia è una sindrome che esprime gravi patologie sociali ma anche uno stravolgimento di categorie umane come le abbiamo sempre intese.

Elites e analfabeti nella postdemocrazia

Un tempo c’erano i colti, aristocratici, esoterici, con un’idea del sapere e della conoscenza che usciva dagli steccati degli specialismi, allora nemmeno concepibili.

Poi c’erano gli altri, la massa, “il popolo”, gli “incompetenti”, che poi incompetenti non erano e avevano, tutti, un minimo di cultura materiale.

La democrazia – leggere John Dewey – diede la parola anche a questi ultimi, aprendo la discussione a tutti, senza distinzioni. E tutti vollero informarsi, per mezzo della stampa, e crescere, coi libri, poi col cinematografo e anche con la Tv.

Le elites sostennero questo interesse e si prodigarono per favorire la divulgazione, per alleggerire anche la trasmissione del sapere, senza però snaturarlo e renderlo mera evasione.

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Oggi, in un’epoca postdemocratica, si tende a negare al non competente la parola.

L’élite è mediamente spocchiosa ed arrogante e produce come reazione della massa una perdita di stimoli ad interagire con chi ne sa di più, un trincerarsi nella propria incompetenza o una inclinazione a reperire informazioni senza vagliare, selezionare, approfondire.

Tutto questo favorito dalla rete e da alcuni decenni di scadimento della proposta culturale (sommariamente: avvento della Tv commerciale, che all’inizio fu una boccata di aria fresca, poi ha favorito la semplificazione e l’avvento dei format; fine degli ultimi intellettuali importanti, delle firme prestigiose del giornalismo; appiattimento dei giornali sulla rete, tendenza della informazione al format, ecc…).

A ciò si aggiunga che la massa non detiene più alcuna cultura materiale, gli uomini hanno perso il rapporto con la terra e con gli elementi, e le donne sanno sempre meno della trasformazione delle materie prime in cultura, della trasformazione, per capirci, della coltura in cultura, quindi della cucina come dell’allevamento dei figli.

Non sempre questa carenza si è realizzata con uno switch, un transito ad altro tipo di conoscenza e di potere. Ma, a dire il vero, anche le elites odierne sono nella sostanza più ignoranti.

La scolarizzazione di massa fu un fatto importante ma non seguito da una riforma degli studi che abbattesse la storica distinzione e separazione netta tra cultura umanistica e cultura scientifica, col risultato che l’avvento della tecnica ha svilito se non travolto la prima (i giovani sanno sempre meno di storia, geografia, ecc…) in favore del sapere tecnico, di ciò che è utile: utile, va da sé, all’ingresso nel mondo del lavoro, totem, unitamente all’evasione, di una società, quella postcapitalistica, che, peraltro, non può non produrre quote crescenti di non occupati proprio per effetto dei più moderni processi.

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Questo peggioramento ha generato elites iperspecializzate mediamente boriose ma sostanzialmente ignoranti di ciò che esce dal seminato della rispettiva specializzazione.

Soprattutto, la pessima conoscenza della storia, della letteratura, del pensiero, con una classe di “intellettuali specialisti” che non leggono e si accontentano di quel po’ che hanno appreso, il ritenere di essere depositari esclusivi, sacerdoti di discipline specialistiche di cui effettivamente gli altri non sanno un bel niente e dunque da sbattere sul muso a chi non ha competenza in esse, anche attraverso lingue astruse che si traducono in strumenti di piccolo o grande potere da scagliare contro i cosiddetti “analfabeti funzionali“.

Tutto ciò fa sì che i “dotti” attuali siano una categoria di perfetti ignoranti, arroganti, lontanissimi dalla vasta conoscenza e curiosità di un intellettuale del passato, e, in più, assolutamente appiattiti sui gusti e sui valori del resto della società, privi di disciplina come chiunque, non differenti in quasi nulla da quella che ritengono plebe.

Insomma, costituiscono una plebe “colta” che non ha alcuna intenzione di estendere un sapere che, in ogni caso, è sempre più ridotto, circoscritto, mediocre

Di L.M.

Appassionato sin da giovanissimo di geopolitica, è attivo nei movimenti studenteschi degli anni novanta. Militante del Prc, ha ricoperto cariche amministrative nel comune di Casteldelci e nella C.M. Alta Valmarecchia. Nel 2011 crea il blog Ancora fischia il vento.

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