Domenica notte è arrivato un netto trionfo dell’opposizione alla nuova Costituzione cilena che avrebbe allontanato la carta magna dall’epoca della dittatura. E’ stato un colpo lacerante per i protagonisti delle rivolte del 2019 e per il nuovo governo del presidente Gabriel Boric. Ma non è ancora chiaro quale sarà il futuro politico del paese che non ha ancora superato né le profonde crisi recenti né quelle storiche

di Marco Teruggi

8 Settembre 2022

La scorsa domenica sera c’erano clacson e bandiere del Cile nelle strade. Non per festeggiare la nuova Costituzione, ma per celebrarne il rifiuto, espresso in un plebiscito lungamente atteso.

“Chi non salta è comunista” è stata una delle canzoni di quella notte. Il risultato è stato inappellabile: 61.86% a favore del Rifiuto e 38.14% per l’Approvazione. Una batosta. Sconcerto e frustrazione si condensa nell’immagine di quei gruppi di manifestanti che si sono recati a Plaza Baquedano, ribattezzata a livello popolare Plaza de la Dignidad nel 2019, affrontando adesso ormai senza particolare forza, segno di una nuova tappa politica, l’acqua degli idranti dei “maledetti poliziotti”.

Nessun sondaggio aveva previsto una distanza così grande, nemmeno il militante più pessimista, né i modelli di predizione matematica diffusi negli ultimi giorni. Non solo la differenza tra le due opzioni ha superato i 20 punti percentuali, ma è anche avvenuto in occasione dell’elezione con il più alto numero di votanti della storia del paese: 13.018.703 elettori, con l’85% di partecipazione al voto, il 30% in più rispetto al 55% del secondo turno delle presidenziali del 2021 che hanno portato alla vittoria di Gabriel Boric. Il voto favorevole all’Approvazione ha superato di circa 200.000 voti quelli ottenuti da Boric. Il voto obbligatorio, ristabilito in questa occasione dopo dieci anni, ha portato 4,5 milioni di nuovi votanti alle urne favorendo ampiamente il voto contrario alla nuova Costituzione.

Nella sede elettorale della campagna del Rifiuto si festeggiava con champagne, discorsi accesi, bandiere nazionali, d’accordo con la prima vittoria politica delle destre dalla rivolta del 2019. José Antonio Kast (il candidato presidente dell’estrema destra, sconfitto al ballottaggio nel 2021, ndr), poco presente nelle ultime settimane, ne ha approfittato per tornare in scena. Ma non tutti quelli che hanno guidato la campagna contro la nuova Costituzione si sono presentati come parte delle destre, né vi si riconoscono tutti. Questa eterogeneità può in parte spiegare la vittoria del Rifiuto, una cosa che sembrava improbabile avvenisse durante il plebiscito del 2020, durante la vittoria di Boric lo scorso dicembre, o quando nel mese di marzo diventava presidente accompagnato da simboli e discorsi di cambiamento.

Un’altra ragione centrale riguarda quello che non è stato fatto, o non si è riuscito a fare, o è stato sbagliato da parte della campagna per l’Approvazione. Chi ha portato avanti realmente questa proposta? I partiti dell’attuale governo nazionale, lo stesso governo? Quelli che hanno scritto la Costituzione? Il soggetto disorganizzato e mobilitato che, per esempio, ha fatto la campagna contro Kast a dicembre? Le nuove incorporazioni dell’ultimo momento, come quella di Michelle Bachelet? Le accuse incrociate si moltiplicano, come accade di solito dopo ogni sconfitta.

LA RESA DEI CONTI

Due spiegazioni o accuse sono state predominanti nel campo favorevole all’Approvazione. Una linea di interpretazione che ha messo al centro delle responsabilità della sconfitta la Convenzione Costituzionale e i suoi errori: la sovrarappresentazione di settori di sinistra, in particolare indipendenti, e il conseguente eccesso di radicalità di vari articoli, con l’incorporazione di temi su cui non vi sarebbe consenso come la plurinazionalità e la giustizia indigena. In sintesi, un testo troppo “di sinistra”, anche se ogni articolo è stato votato da due terzi della Convenzione Costituente, in una società con forte radici conservatrici e neoliberali.

Un’altra prospettiva ha invece assegnato la responsabilità della sconfitta al governo: la sua inconsistenza rispetto all’agenda delle rivendicazioni sociali, come quelle provenienti dalle giornate di rivolta di ottobre. Un presidente con un sostegno molto basso – circa il 37% – che ha condizionato con i limiti del suo agire il voto per una Costituzione che lo stesso governo aveva criticato con l’idea di “approvare per riformare”, impegnandosi a modificarla nel caso venisse approvata.

Se per un settore il problema è stato l’eccesso di temi di una agenda di sinistra, il “massimalismo” a cui faceva riferimento Boric nel suo discorso di domenica sera, per altri il referendum è stato perso per l’assenza di una agenda di cambiamento da parte di un governo che continua a mantenere troppi elementi di continuità con la ex-Concertazione (le forze politiche al governo dopo la dittatura, ndt).

Il risultato ha però colpito duramente entrambi i settori. I soggetti protagonisti delle giornate di ottobre e che hanno avuto una importante rappresentanza nella Convenzione sono adesso smobilitati, a causa del cambiamento dello scenario politico e per l’incapacità di tradurre politicamente le molteplici rivendicazioni. A questo si aggiungono altri errori piuttosto noti. Il governo, che ha fatto il suo ingresso al Palazzo della Moneda solamente cinque mesi fa, si è indebolito e sta attraversando complessi labirinti dovuti alla necessità di mediare tra due coalizioni di partiti al suo interno (con l’incorporazione di attori politici della ex Concertazione in punti chiave), mentre si discute sulla necessità di dare risposte tanto alle agende politiche dell’ordine quanto alle promesse di trasformazione.

LA CONTROFFENSIVA

La destra che ha perso l’iniziativa politica nell’ottobre del 2019 l’ha recuperata con la vittoria della scorsa domenica. Tre anni segnati da un continuo retrocesso, con l’unica eccezione della rappresentanza alle elezioni legislative ed in particolare al Senato. Il plebiscito sulla nuova Costituzione era lo spartiacque: l’approvazione sarebbe stato un modo per concludere un percorso iniziato con la rivolta sociale e la vittoria di Boric, per dare inizio ad una nuova tappa di progressiva implementazione della nuova Costituzione. La sconfitta, invece, avrebbe rappresentato un duro colpo per i vari settori della sinistra e un punto di flessione per cominciare a recuperare forze da parte delle forze di opposizione.

La campagna per il Rifiuto è cominciato molto presto, vari mesi fa. Da una parte, ha dispiegato una campagna basata sulla paura, piena di notizie false che si incentravano su temi centrali per la maggioranza della popolazione: il timore di perdere la casa, i risparmi, la sicurezza. L’offensiva mediatica ha costruito l’immagine di una Costituzione molto più radicale di quella esistente, ha mirato ai temi sensibili, facili da comprendere e da temere, a fronte di una Convenzione che ha trascinato i suoi limiti di comunicazione per diversi mesi. La campagna per l’Approvazione, invece, è iniziata solo nelle ultime settimane ed è stata sempre sulla difensiva, cercando di smontare il quadro interpretativo costruito dai sostenitori del Rifiuto.

La strategia conservatrice ha avuto successo quando ha letto correttamente che la Costituzione originariamente scritta nel 1980 durante la dittatura di Augusto Pinochet – con numerose modifiche successive – era stata sconfitta con il plebiscito del 2020 e ha deciso di abbandonare le sue difese. Per questo la campagna ha sostenuto la necessità di “rifiutare per riformare” e ha così ampliato il sostegno e le realtà che l’hanno sostenuta: la destra ha ricoperto un ruolo secondario in termini di protagonismo, per includere altri settori che si sono presentati come centro-sinistra. “Ho votato No nel 1988, Approvo nel 2020, ma adesso voto Rifiuto” è stato uno dei discorsi della scorsa domenica sera.

Non ha vinto quindi la Costituzione del 1980 né il pinochetismo. La campagna per il Rifiuto ha abbandonato una posizione chiaramente di destra cercando di coinvolgere in modo più trasversale la società. “Sì ad un cambiamento, ma non questo” è stato il messaggio portato avanti dalle posizioni di centro.

Questa strategia, accompagnata per una valanga di notizie false denunciate più volte, ha portato al risultato di domenica sera. L’Approvazione ha vinto solamente in otto distretti elettorali e con poco margine di vantaggio. In alcune province, come nel nord e nel sud del paese, il Rifiuto ha vinto ottenendo circa il 70%.

CHI HA VINTO?

Il processo costituente non è finito, ci sarà da eleggere una nuova Convenzione che sarà incaricata di redigere un nuovo testo. Questo emerge dai discorsi dei diversi partiti, dall’Unione Democratica Indipendente e i suoi alleati di destra, fino al governo. Il presidente Boric aveva già anticipato che in caso di sconfitta della nuova Costituzione si sarebbe dovuto comunque rispettare il mandato del referendum del 2020, quando la maggioranza votò a favore di una nuova Costituzione redatta da una Convenzione Costituzionale.

Diverse domande sorgono in questo scenario. Una di queste riguarda la modifica della possibilità di partecipazione delle liste di indipendenti, ovvero, della possibilità di presentarsi al di fuori dei partiti politici, così come avvenuto durante la scorsa Convenzione, meccanismo che ha permesso a molti settori mobilitati nelle strade e nelle piazze di entrare in questo organo quando fu eletto. La presidente del Partito Socialista, Paulina Vodanovic, favorevole all’Approvazione, ha criticato l’esistenza degli indipendenti. Il nuovo processo che si aprirà sarà concordato al Congresso e potrà ridare una rinnovata centralità ai partiti dopo che il loro ruolo era stato messo in crisi dalla rivolta del 2019, quando le piazze dissero basta al modello cileno e ai suoi rappresentanti.

Siamo davanti ad una situazione molto complessa. Il governo mostrava già una serie di fragilità visibili, rese manifeste dai livelli di popolarità molto bassi, l’assenza spesso di conquiste e risultati chiari, di bandiere da sventolare, così come le difficoltà nella gestione dell’agenda politica. Un probabile ricambio dei ministri potrà dare ossigeno per avanzare verso questa seconda fase del governo: negoziare con l’insieme dei partiti il cammino verso una nuova Convenzione, convocando nuove elezioni costituenti, per arrivare finalmente ad un altro referendum per approvare la Costituzione. Tutto sembra indicare che in questa “seconda opportunità” sarà maggiore il peso delle destre.

Rimangono aperte alcune domande: Chi ha vinto realmente domenica sera? E’ categorica la vittoria della strategia della campagna del Rifiuto. Ma non ha vinto automaticamente il modello vigente, così come nemmeno i suoi difensori incarnati dai partiti di opposizione, né le loro idee su quelli che devono essere i contenuti di una nuova Costituzione.  

La crisi aperta dalle rivolte del 2019 non si è chiusa con l’elezione di Boric né con la sconfitta del testo costituzionale della scorsa domenica.

Come ottenere una Costituzione che possa essere approvata dalla maggioranza e che al tempo stesso possa aprire i lucchetti neoliberali che impediscono cambiamenti fondamentali? Sarà questa la sfida più grande in un paese come il Cile che in questo momento guarda dentro sé stesso per cercare nuove risposte.

Articolo pubblicato originariamente il 5 settembre su Revista Crisis, che ringraziamo per la gentile concessione.

Traduzione in italiano di Alioscia Castronovo per Dinamopress

Immagine di copertina e nell’articolo da Revista Crisis di Pablo Rojas Madariaga e di Diego Reyes Vielma

Di L.M.

Appassionato sin da giovanissimo di geopolitica, è attivo nei movimenti studenteschi degli anni novanta. Militante del Prc, ha ricoperto cariche amministrative nel comune di Casteldelci e nella C.M. Alta Valmarecchia. Nel 2011 crea il blog Ancora fischia il vento.

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