Il presidente francese Emmanuel Macron ha ufficialmente decretato la fine dell’Operazione Barkhane in Sahel. La Francia continuerà comunque ad essere presente militarmente nella zona, con circa 3000 soldati ancora schierati in Niger, Ciad e Burkina Faso, e «a combattere il terrorismo nel Sahel, in collaborazione con i nostri partner africani e internazionali». La fine di Barkhane sancisce tuttavia definitivamente il fallimento delle operazioni nell’area, dove, nonostante la decennale presenza delle forze di Parigi, il numero di attentati terroristici è aumentato esponenzialmente negli ultimi anni. Nei mesi scorsi il popolo maliano in particolare era sceso diverse volte in piazza per chiedere a gran voce la cacciata dei francesi, espellendone anche l’ambasciatore con appena 72 ore di preavviso.

Il 15 agosto, appena tre mesi fa, la Francia aveva annunciato di aver completato il ritiro di uomini e mezzi dal Mali, ponendo fine alla propria presenza nel Paese. Le operazioni erano iniziate con il presidente Hollande quando, nel 2013, il governo di Bamako aveva chiesto aiuto per contenere l’offensiva del movimento separatista Tuareg, affiliatosi ad al-Qaeda. Al culmine dell’operazione, la Francia contava 5000 soldati schierati nei diversi Paesi del Sahel, ma negli ultimi anni l’influenza francese nell’area è molto diminuita, complici anche gli scarsi risultati ottenuti in termini di contrasto all’attività terroristica nella zona. Tra le motivazioni principali vi è la conoscenza pressoché nulla dell’esercito francese del territorio, delle sue dinamiche interne e delle lotte inter-etniche che lo attraversano.

Così, ad oggi, la situazione in Mali e in Burkina Faso è notevolmente peggiorata per quanto riguarda la sicurezza interna e lo stesso vale per il Niger. Dal 2016, gli attentati terroristici nel Sahel sono di fatto quintuplicati, prendendo di mira obiettivi civili ma anche militari. Basti pensare che, secondo il Global Terrorism Index del 2021, Burkina Faso, Mali e Niger sono tra i primi 10 Paesi al mondo maggiormente colpiti dagli attentati terroristici. In Burkina Faso, in particolare, i gruppi Iswap e Aqim (affiliati rispettivamente a Stato Islamico e al-Qaeda) controllano il 60% del territorio nazionale e si stanno lentamente espandendo in direzione dei Paesi della costa, motivo per il quale Benin, Togo, Ghana e Costa d’Avorio hanno alzato quest’anno il proprio livello di allerta interna.

Sono numerosi i regimi nella regione che sono stati rovesciati, negli ultimi anni, proprio perché incapaci di garantire la sicurezza interna nonostante l’appoggio straniero: tra questi, quello di Ibrahim Boubacar Keïta (“l’uomo” di Parigi), presidente del Mali rovesciato nel 2020, e Roch Marc Christian Kaborè, presidente burkinabè rovesciato nel gennaio di quest’anno. Il “regime dei colonnelli” (così chiamato perché tutti i golpisti hanno la carica di colonnello) ha messo a dura prova la presenza francese nella regione, nonostante disponga esso stesso di scarse probabilità di porre una soluzione al problema del terrorismo.

Le proteste più accese si sono verificate quest’anno in Mali, ma non sono mancate iniziative di contestazione anche in altre zone: convogli francesi sono infatti stati bloccati in Niger e in Burkina Faso, nella cui capitale bandiere tricolore sono state date alle fiamme alla notizia del colpo di Stato. I sindacati nigeriani hanno chiesto l’allontanamento dei francesi e anche in Ciad, considerato il principale alleato di Parigi nella regione, i cittadini hanno manifestato forti sentimenti anti-francesi. Alla luce della crescente insoddisfazione popolare e dei puntuali insuccessi dell’Operazione Barkhane, oltre che del succedersi di colpi di Stato, il governo francese ha quindi optato per una ritirata volontaria che somiglia molto di più a un’evacuazione, per uscire nel minor tempo possibile dal conflitto nella quale è rimasto invischiato.

Recentemente, inoltre, l’impegno dell’esercito di Parigi sembra rivolto più che altro a contrastare la presenza russa nella regione che non quella islamica: secondo un rapporto dell’Istituto strategico di studi militari (Isrem) del ministero della Difesa francese, in Mali (ma anche in Burkina Faso) si starebbe assistendo ad una “proliferazione di contenuti propagandistici e di disinformazione online, il più delle volte volti a denigrare la presenza francese e a giustificare quella russa”. La comprovata presenza del gruppo Wagner nel Paese avrebbe, anche secondo le analisi statunitensi, peggiorato la situazione della sicurezza nel Paese e nella regione, nonostante il governo di Bamako da mesi sostenga di star portando avanti con successo numerose operazioni anti-terroristiche, proprio grazie all’aiuto dei combattenti russi.

[di Valeria Casolaro]

Di L.M.

Appassionato sin da giovanissimo di geopolitica, è attivo nei movimenti studenteschi degli anni novanta. Militante del Prc, ha ricoperto cariche amministrative nel comune di Casteldelci e nella C.M. Alta Valmarecchia. Nel 2011 crea il blog Ancora fischia il vento.

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