di: Giovanni Caprio

L’obbligo per i Comuni di mettere sul mercato tutti i servizi pubblici locali (https://volerelaluna.it/in-primo-piano/2022/05/27/come-ti-privatizzo-i-servizi-pubblici-locali/), come si ricorderà, era stato scongiurato. Alla fine, il disegno di legge del Governo Draghi approvato definitivamente aveva sancito l’equivalenza tra le modalità di gestione dei servizi pubblici locali, evitando una pericolosa “deriva privatistica”. Con il decreto attuativo della legge delega sulla concorrenza approvato dal Governo Draghi, ora all’esame delle Commissioni di Camera e Senato e che tornerà in Consiglio dei Ministri per l’approvazione definitiva entro il 10 dicembre, ritorna però il “rischio privatizzazione”. Il testo prevede infatti: a) il divieto per i Comuni di gestione attraverso azienda speciale dei servizi a rete (art. 14, comma 2, lettera d); b) l’obbligo per i Comuni di motivare, in caso di gestione diretta di un servizio, le ragioni del mancato ricorso al mercato (art. 17, comma 2); c) la supervisione da parte di un organismo governativo – l’Osservatorio per i servizi pubblici – sulle delibere autonomamente adottate dai Comuni in merito ai servizi pubblici locali (art. 17, comma 3). I punti b) e c) erano stati ritirati in seguito alla discussione parlamentare, mentre addirittura il punto a) non era neppure presente nel testo originario. Come ha scritto Marco Bersani, che ha lanciato l’allarme sul rischio privatizzazione dei servizi municipali, quello che era uscito dalla porta è stato fatto rientrare dalla finestra, non senza infliggere un duro colpo alle norme costituzionali. In attesa di verificare se la presidente Meloni intenda seguire le orme del suo predecessore, cerchiamo di confutare alcuni “luoghi comuni” che da sempre accompagnano le privatizzazioni dei servizi pubblici locali.

La recente pandemia ha evidenziato il ruolo insostituibile delle istituzioni pubbliche e dei servizi pubblici territoriali, eppure le spinte sempre più forti per portare i servizi pubblici locali verso “forme mercantili” sembrano destinate a non arretrare. Neppure quando acclarate verifiche sul campo hanno certificato sovrasfruttamento delle risorse naturali, peggioramento dei servizi, aumento delle tariffe, annullamento del controllo democratico, riduzione dei diritti del lavoro, aumento della profittabilità e della precarietà. La “deriva privatistica” continua nel suo attacco finale a ciò che resta della nostra democrazia e e a quel che rimane della storica funzione pubblica e sociale dei nostri Comuni. Spesso i cantori del privato e i detrattori dei servizi pubblici argomentano che questi ultimi sono di per sé costosi e inefficienti, che è difficile riformarli per metterli al passo con i tempi e che vanno consegnati a quel tanto decantato “libero mercato”.

Per confutare tutto ciò vale la pena riprendere in mano il documentato volume dal titolo Il ritorno alla gestione pubblica dei servizi, a cura di Satoko Shikimoto e Olivier Petitjean (scaricabile per intero al link https://www.tni.org/en/publication/reclaiming-public-services), che registra con puntualità il processo che da qualche anno a questa parte punta a riportare – qui e là nel mondo – sotto il controllo delle amministrazioni pubbliche locali i servizi precedentemente privati o privatizzati. Una ricerca pubblicata nel 2017 ma più attuale che mai, che certifica come la ripubblicizzazione stia progressivamente guadagnando forza ovunque nel mondo e che evidenzia come le ri-municipizzazioni funzionino. Energia (311 casi) e acqua (267 casi) sono i settori in cui si registra il numero più elevato di (ri)municipalizzazioni. Circa il 90% delle (ri)municipalizzazioni di luce e gas si concentra in Germania (284 casi), paese noto per la sua ambiziosa politica di transizione energetica. Il primato delle rimunicipalizzazioni dei servizi idrici va invece alla Francia (106 casi), che in questo settore vanta la più antica tradizione di privatizzazione ed è patria di grandi multinazionali quali Suez e Veolia. In Canada, Spagna, Regno Unito e in altri paesi, sono stati riportati sotto il controllo dell’amministrazione pubblica anche vari servizi di competenza degli enti locali quali piscine, mense scolastiche, manutenzione delle aree pubbliche, edilizia residenziale o i servizi di pulizia e sicurezza. Per quanto riguarda la sanità e l’assistenza sociale, oltre la metà dei casi si concentra in Norvegia e negli altri paesi scandinavi.

Una delle principali argomentazioni avanzate dai fautori della privatizzazione e dei partenariati pubblico-privati (PPP) è che le loro soluzioni sarebbero più economiche e più efficienti in termini di costi rispetto a una gestione pubblica diretta. L’esperienza, tuttavia, ha smentito a più riprese questa affermazione. In molte città è stato ormai sfatato il mito secondo cui i servizi a gestione pubblica diretta costino di più. Quando la città di Parigi ha rimunicipalizzato i propri servizi idrici nel 2010, il nuovo gestore è stato in grado di abbattere immediatamente i costi di 40 milioni di euro, pari all’importo che veniva prelevato ogni anno dalle società madri dell’operatore privato. A Londra, il potenziamento della fibra ottica e della segnaletica del sistema di trasporto cittadino è stato realizzato internamente a un costo di circa 11 milioni di sterline (12,4 milioni di euro), a fronte dei 24 milioni circa di sterline (27 milioni di euro) richiesti se l’incarico fosse stato affidato a una società privata. Il Comune di Bergen (Norvegia) ha ripreso la gestione diretta di due centri per anziani, realizzando profitti per 500.000 euro, mentre si prevedevano perdite per un milione di euro. In Spagna, nella città di León, la rimunicipalizzazione dei servizi ambientali ha permesso di ridurre in modo sostanziale i costi, passati da 19,5 milioni a 10,5 milioni di euro l’anno e 224 lavoratori sono oggi assunti con il contratto “enti locali”.

I servizi pubblici non sono ovviamente perfetti solo perché sono pubblici. Devono essere costantemente migliorati e rinnovati nel proprio impegno nei confronti della società. E molti esempi di rimunicipalizzazione offrono l’opportunità di rilanciare un’etica dell’impegno e del bene pubblico e di creare un contesto che consente la co-gestione tra più soggetti dei servizi di base, ipotizzando nuovi interessanti modelli gestionali: aziende municipali che collaborano con cooperative di comunità (come ad esempio nel settore energetico ad Amburgo, Bristol e Boulder); consorzi e reti intercomunali (come nel caso dei servizi idrici in Francia e Spagna); imprese di servizi pubblici a livello locale parzialmente di proprietà dei lavoratori (come l’azienda idrica di Buenos Aires); cooperative di utenti (parco eolico Middelgrunden a Copenhagen); cooperative di cittadini autorizzate a fungere da prestatori di servizi (Isola di Kauai e Minnesota); associazioni con amministrazioni locali (Glasgow, Scozia), ecc. Tutti modelli possibili di come potrebbe configurarsi la proprietà pubblica del futuro.

La (ri)municipalizzazione è molto più comune di quanto non si pensi, e funziona. Essa rappresenta una strategia chiave per la transizione e la democrazia in campo energetico. La rimunicipalizzazione dei servizi si rivela, a conti fatti, la scelta più conveniente per le amministrazioni locali e promuove servizi pubblici migliori e più democratici. Perché continuare a spingere l’Italia in un’altra direzione quando in tutto il mondo, Comuni e singoli cittadini si mobilitano per riconquistare il controllo dei servizi di base, chiedendo che siano tolti dalle mani delle società private e riaffidati al pubblico?

Di L.M.

Appassionato sin da giovanissimo di geopolitica, è attivo nei movimenti studenteschi degli anni novanta. Militante del Prc, ha ricoperto cariche amministrative nel comune di Casteldelci e nella C.M. Alta Valmarecchia. Nel 2011 crea il blog Ancora fischia il vento.

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