Michele Paris 

Gli eventi di questi ultimi mesi in Europa orientale sembrano rappresentare sempre più una specie di campo di prova di quanto potrebbe accadere a breve in Asia orientale, dove il confronto tra Cina e Stati Uniti rischia di sfociare in un conflitto ancora più caldo e distruttivo di quello in corso tra Washington e Mosca. A tracciare un collegamento tra i due casi è frequentemente lo stesso governo americano, i cui piani in primo luogo di carattere militare per “contenere” la Cina avanzano ormai alla luce del giorno. In un’intervista di questa settimana al Financial Times, un altissimo ufficiale dei Marines ha ammesso in maniera insolitamente esplicita i preparativi degli USA e dei loro alleati regionali per una guerra contro Pechino in un futuro probabilmente non molto lontano.

Il generale James Bierman comanda un contingente di stanza in Giappone che, in caso di guerra contro la Cina, svolgerebbe un ruolo di fondamentale importanza per le forze americane. Bierman ha spiegato che “il livello di successo” ottenuto dal suo paese contro la Russia in Ucraina è dovuto ai preparativi e a una pianificazione in atto da ben prima dell’inizio delle ostilità. Queste manovre, attuate in anticipo, sono quello che i militari americani chiamano “preparare il teatro” di guerra e, in parallelo agli eventi ucraini, il generale Bierman ha spiegato che i preparativi sono ben avviati anche nel continente asiatico, “in Giappone, nelle Filippine” e altrove.

Se l’Ucraina costituisce un modello, è facile immaginare come in Estremo Oriente sia Taiwan l’esca per la Cina e, come si può osservare da tempo, attorno allo status dell’isola continuano a verificarsi provocazioni da parte di Washington che sembrano avere come scopo quello di spingere Pechino verso un intervento militare. Per concludere il parallelo con la situazione ucraina, gli Stati Uniti intendono assegnare al Giappone, alle Filippine e ad altri alleati, come ad esempio l’Australia o la Corea del Sud, il compito assegnato all’Europa, ovvero quello di pedine da utilizzare per le loro esigenze militari e logistiche in un’ipotetica guerra contro la Cina.

Lo stesso comandante americano ha spiegato in maniera più circostanziata il lavoro fatto con il regime ucraino a partire dal 2014. Mentre la Russia e le popolazioni del Donbass attendevano inutilmente l’implementazione degli accordi di pace di Minsk (I e II), Washington si preparava per “il futuro conflitto” addestrando le forze ucraine, “pre-posizionando le forniture [di armi] e identificando i siti da cui operare” sul campo.

Le parole del generale James Bierman suscitano più di un interrogativo, oltre al legittimo timore per l’escalation militare in corso. Per cominciare, la pretesa che il conflitto in Ucraina sia un “successo” per Kiev e Washington è semplicemente assurda. La guerra sta distruggendo letteralmente le forze armate, l’economia e la società ucraine. Allo stesso tempo, l’Occidente è andato incontro a una gravissima crisi economica a causa delle politiche suicide anti-russe, soprattutto in ambito energetico. Infine, i riflessi della guerra voluta dagli Stati Uniti stanno accelerando le spaccature all’interno della NATO, mentre l’invio di armi ed equipaggiamenti all’Ucraina sta svuotando gli arsenali dei paesi membri.

Vista la situazione, c’è da chiedersi quale sia la ragione dell’ottimismo ostentato al Financial Times dal generale Bierman. Non si tratta probabilmente solo di retorica al fine di sostenere la propaganda occidentale che vuole la Russia in ginocchio e l’Ucraina sull’orlo del trionfo militare. È del tutto possibile che la classe dirigente americana ritenga realmente un successo il solo risultato di trascinare una potenza rivale come la Russia in un pantano bellico senza via d’uscita o di spezzare i rapporti che la legavano all’Europa. Questa prospettiva potrebbe essere la stessa allo studio per l’Asia orientale e la Cina, tanto più se si considera che sono in molti a giudicare improbabile un successo militare degli Stati Uniti in una eventuale guerra convenzionale con Mosca e/o Pechino.

Va anche ricordato che politici e accademici ufficiali a Washington ritengono la Cina il vero nemico in grado di liquidare definitivamente gli Stati Uniti come potenza egemone planetaria. Per questo motivo, è necessario continuare a sostenere la favola del “successo” in Ucraina, così da evitare una nuova umiliazione militare e tenere il passo dei preparativi per il confronto con Pechino. In ogni caso, l’intervista del generale Bierman conferma come gli ambienti “neo-con” americani, che conservano un ascendente determinante sulle scelte di politica estera USA, sono ben decisi a rischiare un conflitto in Estremo Oriente pur di provare a invertire la parabola discendente del loro paese sul piano internazionale.

Questi progetti vanno di pari passo con quelli predisposti dai principali alleati americani, a cominciare dal Giappone. L’integrazione sempre più accentuata delle forze armate dei due paesi è l’obiettivo principale, così da garantire la partecipazione di Tokyo a qualsiasi scontro dovesse scoppiare tra Washington e Pechino.  L’attuale governo giapponese del primo ministro Fumio Kishida ha dato un’ulteriore spinta alla militarizzazione del paese, facendo carta straccia della Costituzione pacifista, imposta oltretutto dagli USA dopo la Seconda Guerra Mondiale.

Il Giappone ha appena pubblicato tre nuovi documenti strategici che definiscono le priorità del prossimo futuro ed esse coincidono per molti versi con quelle americane. Il principale punto di incontro è naturalmente l’individuazione della Cina come minaccia maggiore alla propria sicurezza. Per contrastare questo pericolo, Tokyo aumenterà sensibilmente il proprio bilancio militare nei prossimi anni, fino a fare del Giappone il terzo paese in assoluto per spese stanziate in questo ambito, dopo USA e Cina.

La minaccia cinese è tuttavia tale per il Giappone solo in funzione degli interessi strategici di Washington. La decisione della classe politica nipponica di legare le proprie sorti a quelle americane comporta rischi enormi in caso di guerra con la Cina, come sta dimostrando il caso dell’Europa, piegatasi ai diktat degli USA malgrado gli interessi vitali che la legavano alla Russia. Così come la Russia e l’Oriente rappresentano un elemento decisivo per lo sviluppo del Vecchio Continente, anche la Cina dovrebbe essere infatti un’occasione unica di crescita per il Giappone, ma in entrambi i casi prevale per ora e per varie ragioni l’opzione peggiore e più pericolosa, quella cioè della salvaguardia dei rapporti con l’Impero in declino.

https://www.altrenotizie.org/primo-piano/9867-washington-e-il-fronte-cinese.html

Di L.M.

Appassionato sin da giovanissimo di geopolitica, è attivo nei movimenti studenteschi degli anni novanta. Militante del Prc, ha ricoperto cariche amministrative nel comune di Casteldelci e nella C.M. Alta Valmarecchia. Nel 2011 crea il blog Ancora fischia il vento.

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