Bonaccini e Schlein in duello per il PD che verrà, entrambi provenienti politicamente dalla regione dove tutto è nato e dove con ogni probabilità tutto deve finire.

Il PD che verrà

Era destino che l’ultimo duello, anzi quadriello, dopo svariate transizioni spalmate su oltre un secolo di storia, avvenisse qui, nella culla del socialcomunismo, alla congiunzione arcaica fra il mondo padano e l’Etruria.

Dove tutto è nato e dove con ogni probabilità tutto deve finire. Il municipalismo socialista e il profetismo cooperativo, il sistema comunista togliattiano di partito, ma anche la sinistra americanista, l’insurrezionalismo sociale del ’77, il prodismo, l’Ulivo e l’ulivismo, e persino il grillismo e il renzismo, sino al sardinismo.

Mistero apparentemente imperscrutabile, ma che ha la sua spiegazione probabile nella forza del calco social-comunista e nella peculiarità della conformazione rurale-urbana della Via Emilia. Dove la partecipazione via partito delle masse è alta e ovunque diffusa si crea un vortice che attiva aspettative concorrenti di ogni tipo.

Inutile cincischiare. Non esistono programmi senza interpreti. L’identità è sempre tracciabile, inscritta e distillata nel corpo e nella sua biografia. Prima d’essere enunciata va letta come un tatuaggio.

Stefano Bonaccini viene da Campogalliano ed è stato concepito dal Pci emiliano, per tramite di una comune famiglia urbano-rurale del dopoguerra. E’ una creatura palesemente terragna, frutto dell’ortogenesi. Del resto Campogalliano è baricentrica, esattamente nel medio della Via Emilia all’incrocio della direttrice del Brennero, ovvero del nord-est.

Anche per questo è normale che si senta in sintonia con la regione padana e i suoi interpreti ufficiali. L’autonomia differenziata è retta da corde delle quali il Bonaccini non è che l’ultimo traente e l’unica limitazione dipende dalla forza inibitoria che Emiliano e De Luca sapranno esercitare a suo sostegno.

Erroneamente si tende a mettere in risalto il marchio del renzismo impresso sulla sua figura, a suo tempo, dall’entusiastica adesione all’uomo di Rignano. Bonaccini è stato renziano quanto zingarettiano e ancor prima bersaniano. Un uomo ubiquo, per tutte le stagioni. Intendenza votata a seguire, come secondo tradizione locale, ma veramente mai leale con alcuno. Ed è questa affidabile inaffidabilità che lo rende, per quanto rozzo, animale politico capace di offesa e perciò da temere.

Ragazzo di bottega innalzato nel suo ego da certo intrinseco maraglismo padano, ma soprattutto in causa della mediocrità generale e per la fortunata concessione di un governatorato strappato in anomale circostanze, Bonaccini non è che l’ultimo sottoprodotto dell’ennesima mutazione-corruzione ‘modernista’ della socialdemocrazia emiliana.

Sorta di quarta via fuori tempo massimo, nel suo sforzo titanico quanto patetico di trovare un aggancio col neo-liberismo manifatturiero e post-moderno, ma portandosi dietro i residui svigoriti del modello storico: la concertazione sindacale, lo Spi territoriale, le cooperative, le multiutility, pezzi di organizzazione solida di partito, l’Arci, l’Anpi, la classe amministrante locale.

Residui al seguito, inerti pur se ancora innestati nel territorio a macchia di leopardo e capaci di una qualche governance sebbene ormai del tutto ineffettuali in termini di egemonia ideologica.

Si pensi all’intiera pianura (un tempo il grande serbatoio rurale della subcultura rossa) e alla montagna dove la destra imperversa nel voto politico, ma dove molte amministrazioni comunali restano appannaggio del Pd. Una governance capace di rendimento e riscossione fiduciaria anche in assenza di una egemonia ideologica a sostegno.

Tutta la più gran parte di questo mondo eteroclito sarà naturaliter al seguito di Bonaccini, specie le periferie popolari delle grandi città, Bologna e Modena in primis, dove -singolare anomalia nazionale- il Pd trae il proprio consenso elettorale. Non dalla ztl, ma dalle periferie urbane e dalle corone residenziali e manifatturiere a contorno delle città.

Estremo paradosso: l’ultima trincea dove il Pd può rivendicare la continuità di una identità è quel corpo solido che ha programmaticamente scassato nella forma liquida del suo progetto. Deriva da questo paradosso pratico l’ubiquo guazzabuglio del discorso bonacciniano: il pragmatismo a-ideologico ostile al ‘massimalismo’ e ai ‘principi’ come tali (come scrive Antonio Floridia), e insieme la forza di una biografia di stampo popolare, ivi compresa l’orgogliosa rivendicazione del passato da ‘comunista emiliano’.

Col risultato di ottenere il consenso della destra renziana e post-democristiana nel mentre professa una identità biografica per essa oscena. Insieme riabilitando l’intero ceto politico di estrazione post-comunista (Andrea De Maria in primis: l’ultimo chierico della chiesa rossa; l’unico ad aver sollevato alla direzione del Pd la questione della guerra come causa della debacle elettorale lettiana…).

‘Robusto’ è l’aggettivo più insistentemente evocato nei suoi discorsi, che come nell’olio d’oliva è contrapposto a ‘gentile’. La rivendicazione innanzitutto di uno stile. Concretismo pratico contro astrattismo ideologico e identitario, aderenza al senso comune dell’uomo del bar emiliano contro il culturalismo del linguaggio complesso e ricercato, priorità dell’economia e dell’impresa con la conseguente aderenza molto neofita agli anglicismi high tech, col risultato di un miscuglio lessicale emiliano californiano, più fatti meno parole (cioè pugnette).

Big data per il big man, che poi la California è anche una frazione in quel di Castelfranco, nel modenese, ove a suo tempo mio nonno coltivava un fondo d’altri…..rapidità esecutiva e tutto il cascame dromologico a seguire.

Si direbbe un modenese in salsa meneghina e volitiva, un ‘ghe pensi mi’ molto anomalo rispetto all’antropologia classica del partito modenese quale era incarnata da leader come Rubes Triva, Guerzoni, Imbeni e Lanfranco Turci, specie quelli di vocazione amendoliana. Altri tempi, d’accordo

Una evoluzione nel segno di una deriva lombarda dell’Emilia più affine a personaggi come i Cervetti e i fratelli Borghini, a suo tempo transitati al craxismo.

Rispetto a Bonaccini Elly Schlein è esattamente alle antilopi. Rispetto al mix emiliano californiano fatto in casa come l’acetobalsamico del modenese essa è bostonismo puro.

Infatti si è forgiata fra New york e Chicago pedinando la campagna di Obama. Cosmopolita e multigender per stile di vita e ascendenze familiari, ennesima configurazione aristocratica della diaspora ebraica e del suo riconosciuto contributo allo spirito liberal euro-atlantico.

Occidente e critica dell’occidente. La rete mobile sospesa nello spazio è il suo mondo, laddove l’ortogenetico Bonaccini ha i piedi piantati nella terra. Post-modernità soft versus modernismo hard. Per quanto il tocco del radicalismo sociale sia ben marcato (lavoro povero e precariato sempre in testa) il suo regno precipuo è la ztl.

Dove la ‘sinistra radicale‘, anche questa una anomalia tutta bolognese, ha il suo avamposto di massa. Lascito controintuitivo delle trasformazioni occorse al centro storico con i piani di recupero delle amministrazioni guidate da Zangheri e Bubi e delle dinamiche innestate dal ’77. E’ qui che Coraggiosa ha preso i suoi voti, ma anche Vasco Errani all’atto di Leu. Ceti medi riflessivi iper-acculturati e i loro discendenti planati su Bologna attratti dall’innovazione urbana e dall’Alma mater studiorum.

Nulla è più glocal della Ztl dove la gentry di nuovo conio ha il suo aristocratico focolare domestico ma dove è in rapporto col mondo euro-occidentale grazie alla rete, agli scambi culturali e alla navetta del people moover. E’ per queste vie che la Schlein è planata a Bologna svolazzando fra l’atlantico e la Mitteleuropa.

Un radicalismo liberal, molto americano cui già la migliore intellettualità sociologica del Mulino aveva aperto la strada. Per quanto essa si sforzi di tenere largo il registro tematico, con un continuo richiamo al sociale ‘debole’, la forza di spinta è rappresentata soprattutto dall’universalismo dei diritti civili individuali, ben più che dall’agenda marshalliana della cittadinanza sociale.

Era così con Vendola e le sue cosmopolitiche, è così con sinistra italiana ed è stato così nel movimento civatiano di occupy Pd che assecondò il renzismo. Se è vero che in termini logici cittadinanza sociale e civile stanno in successione e che non sono necessariamente antagonistici, è vero che dal lato pratico il neo-liberismo come reaganismo soft offre una cornice più solida e ideologicamente coerente alla tematica dei nuovi diritti.

E’ per questo che le sinistre radical non hanno cavato un ragno dal buco e la loro critica al capitalismo ha trovato adepti non nel popolo delle periferie sociali ma solo nella borghesia radical delle zone centrali. Il loro linguaggio post-moderno è anni luce rispetto al senso comune dei ‘semplici’ schiacciati nella pre-modernità.

Altro paradosso. La Schlein col suo richiamo a entrare-prendere il Pd per cambiarlo non fa che interpretare al meglio il partito veltroniano delle origini nella sua pretesa idraulica di fare scorrere la società civile, in via immediata, in un partito-canale con sponde basse e lasche perciò accoglienti.

Ritorna il mito, incarnato dalle primarie, di una ‘occupabilità’ della leadership per via spontanea ed user friendly. Più che cambiare il Pd la sua pretesa è semmai di realizzarlo nelle sue premesse utopiche, democratiche, liquide e direttiste.

Nel duello fra i due, Bonaccini e Schlein, si realizza il più completo rovesciamento delle parti. La destra economicista si monda, con Bonaccini, in qualche misura del renzismo, almeno nel senso che rivendica il partito come apparato di governance di regime recuperando ‘rottami’ solidi del mondo che Renzi aveva assunto come suo bersaglio iconoclastico.

Tanto quanto la ‘sinistra’ a vocazione sociale di estrazione post-comunista rientra a tutta forza, con la Schlein, nell’utopia democrat del veltronismo delle origini. E’ come se fosse tornata al ‘correntone’ che vide un tempo accomunati Walter Veltroni, Sergio Cofferati, Mussi, Giovanni Berlinguer e altri nella lotta contro Massimo D’Alema. E che qui sono interpretati da Roberto Speranza, Boccia, Dario Franceschini, Letta, Orlando, Zingaretti, Provenzano ecc. ecc.

Per una strana e imponderabile eterogenesi dei fini la sinistra Pd e art 1 sono alla fine periclitati in quel brodo primordiale del veltronismo dalla cui critica traevano la loro identità.

Altro che critica del partito leggero e delle primarie. Essi tornano a tutta velocità al mito-utopia dell’occupabilità del partito ad opera di movimenti, flussi di opinione, provvisorie aggregazioni di pretenedenti al trono. Al ‘partito dei passanti’.

Del resto questo è stato il grande limite (e il fallimento) dell’esperienza bersaniana di Art. Uno. Per quanto molti dei suoi quadri venissero, anche detenendo incarichi dirigenti, dal mondo solido del partito-storia e delle figurazioni sociali (dallo Spi all’Arci, passando per la Cgil, Articolo Uno, malgrado la popolarità di Pier Luigi Bersani, non è riuscito ad avocare a sè le basi sociali di quei mondi residuali, amalgamandoli in un rinnovato soggetto politico della sinistra sociale.

In Emilia, come altrove, essi sono rimasti abbarbicati al Pd, malgrado le mazzate subite. Il mito fantastico del ‘partito unitario’ ed egemonico ha continuato ad agire malgrado le circostanze. Ed è così, in causa di questo fallimento, che Art. Uno, pur fieramente e persino antropologicamente eteronomo rispetto al sinistrismo radical di Vendola e Fratoianni, come sostiene da tempo Marcella Mauthe, ha finito in qualche misura per assimilarne i cromosomi partecipando alle varie liste ‘Coraggiose’ e sempre rifiutando di mettersi alla prova in proprio.

Accomodandosi infine nel Pd lettiano coi suoi massimi dirigenti, Roberto Speranza Arturo Scotto in primis, per poi dissolversi nell’occupy Pd di Elly. Rinunciando, con tutto il resto della sinistra, ma in linea con un certo connaturato ‘realismo pavido’, a elaborare un proprio progetto e una propria candidatura unitaria. Al momento del dunque c’è sempre un papa straniero, o una papessa, dietro il quale nascondersi.

Fra questi mondi, quello del Bonaccini e quello di Elly, ci vorrebbe una mediazione, che però non c’è, salvo il generoso quanto improbabile tentativo di Gianni Cuperlo …. Certo che sono compatibili. E’ sulla base di una loro felice convergenza ‘sardinesca’ che Bonaccini vinse le regionali d’impeto e che Matteo Lepore regge con buona fermezza il Comune di Bologna. Peccato che tutto ciò si realizzi in un ‘solo paese’, Bologna e neanche tutta l’Emilia-Romagna. E in nessun altro posto, persino c’è da dubitare della Toscana.

Un caput senza più alcun mondo a sostegno, un ridotto isolato, una ènclave, Senza neppure più il sostegno della ‘dorsale adriatica che dalle Marche arrivava al Salento. La stessa Pina Fasciani, alla fine ha dovuto migrare da Pescara a Bologna per conservare la sua natura, aderendo ai 5S. Mentre nel sud, fatte le dovute eccezioni, la Schlein è un corpo sostanzialmente estraneo.

Sarà però interessante vedere come evolverà il cozzo di questi mondi locali tanto paralleli quanto complementari. Bologna, nuovamente, come crocevia di una nazione perduta. ‘Punto focale’ di una contraddizione, per riprendere il linguaggio togliattiano-berlingueriano, che però sta altrove.

Ed è del tutto logico che chiusa la saracinesca siano rimasti nel bar la De-Micheli, a rappresentare l’estremo limbo della marginalità piacentina, l’Emilia che non c’entra, e Gianni Cuperlo che pure nel suo viaggio da Treste a Roma, transitò da Bologna, come già Pasolini, per completare gli studi al Dams. Cuperlo che, fra l’altro, è fra tutti i candidati l’espressione di una sinistra interna meglio capace di offrire una sintesi rigeneratrice a un partito di stampo veltroniano ma con una più significativa vocazione sociale. E’ singolare che la sinistra non sia andata a suo sostegno, magari inglobando al seguito la Schlein e il suo movimento.

Comunque tutto esaurito. Ciak, si gira. Sfida all’Ok Corral. Credetemi se vi dico che mi auguro con tutto il cuore un lieto fine. Un partito liberal borghese con qualche vocazione sociale non è inutile nella realtà italiana. Tutt’altro ! Riuscisse a vanificare sulla sua destra la diaspora calendiana sarebbe già una buona premessa per la costituzione di un campo capace di fronteggiare la destra. Ma di una cosa sono certo: questa sfida non avvicinerà la gente finita nel bosco, le periferie sociali, urbane e territoriali.

Non ci sarà alcuna ‘rinascita’ della sinistra. La fistola che spurga elettori verso il movimento di Conte resterà aperta. La nottata è ben lungi dal finire ed io, per quel che mi riguarda, sono ormai nient’altro che un chirottero, un pipistrellone, una nottola in gabbia. che neanche s’alza in volo alla sera.

* Grazie a Fausto Anderlini 

Di L.M.

Appassionato sin da giovanissimo di geopolitica, è attivo nei movimenti studenteschi degli anni novanta. Militante del Prc, ha ricoperto cariche amministrative nel comune di Casteldelci e nella C.M. Alta Valmarecchia. Nel 2011 crea il blog Ancora fischia il vento.

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