di Riccardo Carraro

A un anno dall’inizio del conflitto pubblichiamo questa intervista a Francesco Vignarca, coordinatore delle campagne di Rete Pace e Disarmo, per comprendere la situazione e intravedere quali siano i percorsi possibili di mobilitazione e ricerca di pace

A un anno dall’inizio della guerra in Ucraina, quali speranze ci sono rispetto a una trattativa che porti alla cessazione delle ostilità?

Purtroppo non ci sono buone prospettive all’orizzonte ed è la ragione per cui stiamo riprendendo la mobilitazione. Non si stanno investendo energie e risorse rispetto ad una soluzione negoziale.

Tutte le parti in causa cercano una vittoria sul piano militare per partire in condizioni di vantaggio in ipotetici futuri negoziati. Invece questi ultimi devono partire da subito. Sappiamo che sono complessi ma non si può aspettare ancora. Il negoziato può sembrare all’inizio un vicolo cieco ma bisogna iniziare a sgretolare il Moloch della guerra.

Inoltre come organizzazioni della società civile impegnate per la fine del conflitto stiamo ribadendo da tempo che non è possibile pensare ad un negoziato solo con Russia e Ucraina. Se siamo giunti a questa situazione drammatica è perché c’è un ordine globale sistemico che l’ha provocata, solo mettendo al tavolo tutte le parti in causa si può provare a ripristinare condizioni di pace nell’area che possano garantire in modo duraturo la sicurezza e la vita alle popolazioni che vi abitano.

Un anno di guerra ha portato inevitabilmente a una crescita esponenziale del mercato delle armi. Quali sono le conseguenze di questa crescita, in generale e nello specifico del nostro paese.

Oltre agli impatti devastanti sulla popolazione civile in Ucraina questa guerra ha come vittima i percorsi di pace. Ha rafforzato le retoriche e le giustificazioni fittizie di sostegno delle spese militari per aumentare la corsa agli armamenti. Si è diffusa la notizia falsa che gli arsenali fossero ormai vuoti perché tutto era stato utilizzato in Ucraina e si è giustificata la corsa agli armamenti praticamente in ogni paese, inclusi paesi costituzionalmente pacifisti come il Giappone.

Sicuramente c’è stato un impatto negativo tanto in termini di fatturato complessivo dell’industria militare, quanto in termini di aumento delle spese nazionali da parte dei singoli stati. Nonostante  dinamiche simili fossero già presenti da tempo, tutto si è accentuato.

La guerra in Ucraina è stata utilizzata per giustificare una crescita di spesa che non ha senso. Riteniamo che non abbia senso neanche se pensata rispetto al “pericolo Russia”, paese che ha speso dal 2015 in poi meno di 14 volte il totale di quanto speso dalla Nato e meno di 3,8 volte rispetto a quanto speso dall’Unione Europea.

Agitare lo spettro russo è solo una argomentazione fittizia per far crescere gli affari dell’industria delle armi.

Purtroppo anche in Italia ci aspettiamo una spesa maggiore, già nel 2023 è prevista maggiore di 800 milioni rispetto all’anno scorso, per un totale di 26,5 miliardi di euro con oltre 8 miliardi per l’acquisto di nuovi sistemi di arma, secondo le previsioni di Milex, il nostro osservatorio sulla spesa militare.

Si dice spesso che l’Unione Europea è l’entità perdente di una guerra che non ha saputo né evitare né gestire, pur trovandola alle proprie porte. Concordi con questo? Quali ripercussioni vedi sul lungo termine nell’assetto politico di Bruxelles?

Con questa guerra è sicuramente venuto meno il progetto politico di una Europa come potenza in grado di promuovere la pace ma anche quello di una Europa come potenza globale capace di negoziare in un conflitto.

Non si è cercata linea politica comune, si è solo avallato il protagonismo singolo di alcuni come Macron o Scholz. L’unica risposta comune vera e propria si è manifestata nella forma della pressione politica creata tramite l’aumento di spese di militari.

Già a suo tempo contestammo il fondo European Peace Facility quando fu istituito. Come volevasi dimostrare questo fondo EPF è stato utilizzato per inviare aiuti militari ed è stato esteso fino a 3,6 miliardi di euro per permettere ai singoli stati membri di contribuire agli armamenti per l’Ucraina in modo non concordato.

Questo fenomeno accoppiato alla rinnovata centralità strategica della Nato ovviamente affossa per molto tempo qualunque prospettiva di politica comune di pace europea.

Quali prossimi passi immaginate come movimento per la pace italiano, oltre il 24 febbraio? C’è desiderio di provare a riattivare la grande quantità di persone che si sono riversate in piazza a Roma il 5 novembre 2022?

Nell’anniversario della guerra abbiamo deciso di radicarci in forme di attivazione territoriale, non perché non sia utile tornare a manifestare in massa come è stato a Roma il 5 novembre, ma perché crediamo che sia proprio il momento di attivare energie a livello locale e territoriale per costruire percorsi di solidarietà e pace. Fare rete nel territorio è fondamentale per noi della coalizione Europe for Peace

Solo così possiamo rafforzare un sentimento antibellicista contro la guerra che è ancora forte nel nostro paese, come dimostrano i sondaggi, che non riesce sempre a coagularsi e a volte ha motivazioni non vicine al movimento pacifista.

Dobbiamo far capire l’importanza di proposte e alternative di pace concrete anche a chi ha paura della guerra semplicemente perché teme una escalation o per paura dell’aumento prezzi.

Vogliamo ricercare una mobilitazione politica comune dal basso che abbia l’obbiettivo di far cambiare posizione al governo e che dia un ruolo di pace centrale al nostro paese.

Il tema poi della fine della guerra in Ucraina deve essere collegato alle tantissime altre guerre ignorate nel mondo, alla crescita delle spese militari, al pericolo nucleare, tutte questioni che vanno rinsaldate assieme alla richiesta di pace.

Costruire la pace non è solo raggiungere il cessate il fuoco anche se questo è il primo passo. C’è un sistema di insicurezza globale che fa vittime tra la popolazione in Ucraina ma anche in tante altre parti del mondo e che va cambiato perintero con politiche di pace e nonviolenza.

Immagine di copertina da Wikipedia di Mvs.gov.ua

Di L.M.

Appassionato sin da giovanissimo di geopolitica, è attivo nei movimenti studenteschi degli anni novanta. Militante del Prc, ha ricoperto cariche amministrative nel comune di Casteldelci e nella C.M. Alta Valmarecchia. Nel 2011 crea il blog Ancora fischia il vento.

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