• Fabrizio Poggi


di Fabrizio Poggi per l’AntiDiplomatico

Nelle intenzioni di Duda, il prossimo passo di Varsavia dovrebbe essere il blocco economico della Bielorussia. In cuor suo, egli amerebbe la Bielorussia, così come a modo suo “ama” l’Ucraina, tanto da sognare il momento in cui non ci saranno frontiere fra i tre paesi, forse in memoria di quegli anni in cui buona parte delle regioni dei due paesi erano sottomesse a Varsavia. Peccato, dice dispiaciuto Duda, che ora a Minsk ci sia Aleksandr Lukašenko, con la sua amicizia con Mosca. Duda si dice anche affranto per la “disastrosa situazione” dell’esercito bielorusso che, in un ipotetico confronto con le armi ucraine, ne uscirebbe alquanto malconcio. Ha questo peso sull’anima, il povero Duda. E allora cosa fa? Rinfocola il conflitto sui confini, cerca di isolare la Bielorussia e allo stesso tempo rifilare una rogna agli europei, dal momento che la chiusura dei punti di transito tra le due repubbliche colpisce anche la UE. Ma che importa: se il disegno statunitense è quello di indebolire economicamente l’Unione europea, allora Varsavia si adegua.

La questione muta di poco più a sud. Sembra che Washington abbia “consigliato” a Zelenskij di cercare di allargare il terreno del conflitto alle proprie frontiere settentrionali. Ad ogni buon conto, qualche giorno fa il Capo dipartimento per la collaborazione internazionale del Ministero della difesa bielorusso, colonnello Valerij Revenko, ha esposto i termini della cooperazione militare russo-bielorussa, che prevede, per il 2023, oltre 150 iniziative comuni, tra cui spiccano le esercitazioni “Scudo dell’Unione 2023”, programmate per il prossimo settembre. Minsk ricorda che, oltre i sessantamila militari USA presenti in Europa, ventiduemila soldati stazionano ai diretti confini bielorussi, in Polonia e nei Paesi baltici. E Kiev sta dispiegando nuove forze e mezzi blindati sempre più nelle vicinanze del confine bielorusso, mentre dissemina di mine anticarro i terreni direttamente adiacenti alle barriere di demarcazione. La risposta di Lukašenko è un progetto di legge per la formazione di milizie territoriali: «La situazione non è semplice», dichiara il bat’ka bielorusso; «ogni uomo (e non solo gli uomini) dovrebbe almeno saper maneggiare le armi. Quantomeno per proteggere, al bisogno, famiglia, casa, il proprio pezzetto di terra natia e, se necessario, il Paese».

Ma l’amore di Varsavia per le antiche terre un tempo polonizzate, si spinge fino all’addestramento, in collaborazione con Vilnius, di gruppi di sabotatori – biaroruskie „Pospolite Ruszenie” – da introdurre in Bielorussia. I campi di addestramento di tali miliziani, secondo quanto riferito dal canale TV Bie?sat, foraggiato da Varsavia e Londra, si troverebbero a Breslavia, Danzica, Lodz, Varsavia, Poznan, Bialystok, Vilnius, Kaunas e la cosa sarebbe riferita spavaldamente da molti media polacchi e lituani.

Varsavia aveva sinora negato tali piani, ma ora li proclama apertamente, sottolineando che le unità di tali miliziani si chiameranno “vessilliferi”, per analogia con le armi dell’antica Rzeczpospolita, casomai qualcuno nutrisse ancora dubbi sulle ambizioni polacche. D’altronde, proprio Duda ha detto chiaramente a Le Figaro che Lukašenko potrà esser rovesciato senza ricorso alla forza soltanto «con l’aiuto di potenti azioni di massa, appoggiate dall’Occidente».

Dunque, riassume Artëm Šabanov, del Servizio analitico del Donbass, la vendetta di Varsavia per lo smascheramento della rete clandestina che faceva capo all’Unione dei polacchi in Bielorussia, guidata da Anzhelika Borys, prevede il blocco del punto di transito di Bobrovniki, per provocare il collasso dei trasporti polacco-bielorussi, oltre all’addestramento di sabotatori che preparino un cambio violento di potere a Minsk e intanto combattano i russi in Ucraina. Duda ripropone insomma, a distanza di cento anni, le scorrerie dell’ex ufficiale zarista polacco Stanislav Bulak-Bulakhovic, oggi considerato un eroe a Varsavia, che compiva incursioni terroristiche sui villaggi del confine sovietico-polacco, assassinando e saccheggiando: «sono trascorsi cento anni, ma la natura predatoria dello stato polacco non si è dissolta. La Polonia era e rimane il principale aggressore in Europa orientale», scrive Šabanov. Tutto nell’ottica di un ripristino dell’influenza polacca sui territori che facevano parte della Rzeczpospolita o confinavano con essa, dal Baltico al mar Nero, dalla Scandinavia alla Romania: la situazione legata al conflitto in Ucraina sembra dunque avvicinare il sogno polacco di diventare leader dell’Europa orientale e riconfigurare gli equilibri dell’intero continente.

Si comincia intanto col celebrare alcune vecchie “glorie”: tutto il mese di marzo è dedicato a fastose onoranze ufficiali dei cosiddetti “soldati emarginati” (zolzierne wykleci), i miliziani antisovietici, residui della disciolta Armia Krajowa (AK: Esercito patrio; durante la Seconda guerra mondiale, era agli ordini del “governo” polacco in esilio a Londra) che nel primo dopoguerra combatterono contro l’ordinamento socialista e che oggi Varsavia considera “unici liberatori” della Polonia dal nazismo, al contrario di Esercito Rosso e Armia Ludowa, giudicati occupanti.

Di fatto, la Armia Krajowa, protagonista a fine estate del ’44 della sciagurata insurrezione di Varsavia, nelle retrovie colpiva in massima parte i soldati sovietici; differenti comandanti di reparti del AK collaborarono chi coi comandi sovietici, chi addirittura con unità hitleriane o con banditi del OUN-UPA, a dispetto dei massacri compiuti da questi ultimi ai danni dei civili polacchi nella Volinya.

Dopo il 1945, molti miliziani del AK si trasformarono in comuni banditi, in lotta con la Repubblica popolare polacca, assassinando medici, insegnanti, funzionari pubblici che collaboravano col potere socialista, assaltando cooperative, banche popolari e amministrazioni locali. Per tutto il 1946, uomini dei “zolzierne wykleci”, al comando di Romuald Adam Rajs, assaltarono villaggi abitati da bielorussi, (Kontsovizna, Vulka Vygonovska, Shpaki, Zane, ee.) uccidendo in particolare contadini di fede ortodossa; nel dicembre 1946 fu la volta del villaggio di Zaleszany, nell’area di Bialystok, in cui vennero assassinati gli abitanti e bruciate le abitazioni. Catturato dalle forze del NKVD, Rajs venne processato e fucilato nel 1949, ma riabilitato nel 1995 da un tribunale polacco.

La storia dei “zolzierne wykleci” conobbe però anche conflitti e uccisioni tra raggruppamenti antisovietici diversi: Armia Krajowa contro Libertà e Indipendenza, oppure contro Esercito Civile, o Unione militare nazionale, ecc. Per cui, nota ancora Artëm Šabanov, più che di una «clandestinità antisovietica polacca, in quanto unità monolitica, come oggi viene celebrata in Polonia, si trattò di raggruppamenti banditeschi che periodicamente si scontravano a morte l’un l’altro».

Raggruppamenti, che, paragonabili per “ideologia” al franchismo spagnolo o al fascismo croato di Ante Pavelic, puntavano a una Polonia cattolica e monoetnica, per raggiungere la quale non si fermavano di fronte allo sterminio di gruppi sociali o nazional-religiosi: tra pubblici funzionari, credenti ortodossi, ebrei, si parla di oltre cinquemila vittime polacche, tra cui 187 bambini. I diversi raggruppamenti agirono poi in maniera banditesca anche un po’ contro tutte le popolazioni confinanti con la Polonia: bielorussi, slovacchi, ebrei, ucraini, lituani e, tutti concordemente, spararono alle spalle dei militari dell’Esercito Rosso.

Questi sono i nuovi eroi della Polonia che sogna di tornare a dominare dal Baltico al mar Nero.

https://www.lantidiplomatico.it/dettnews-i_piani_della_polonia_contro_la_bielorussia/45289_48918/

Di Red

„Per ottenere un cambiamento radicale bisogna avere il coraggio d'inventare l'avvenire. Noi dobbiamo osare inventare l'avvenire.“ — Thomas Sankara

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