Il breve e sintetico testo di Benjamin Abelow (Come l’Occidente ha provocato la guerra in UcrainaFazi 2023) si aggiunge alla serie di libri che propongono una analisi della crisi in termini urticanti e provocatori per chi si è abituato agli slogan dei media dominanti: “c’è un aggressore e un aggredito”, “la crisi è dovuta al rigurgito di imperialismo russo”, “tutta colpa di Putin” e simili.

Nonostante l’insistente tartassamento dei poteri dominanti, se nei primi mesi di guerra la cappa di omologazione e conformismo delle opinioni è stata pesantissima, nell’anno seguente si sono susseguite delle analisi che restituiscono una complessità alla situazione meno incline al manicheismo. Fra queste spunta il testo di Abelow, che può essere utile accostare al libro di Noam Chomsky 11 settembre. Le ragioni di chi? , pubblicato a ridosso dell’attentato alle Torri Gemelle. Anche allora un evento traumatico tendeva ad addossare tutte le colpe su dei “cattivi” – ieri gli islamisti di Al-Qaeda, oggi i vertici della Federazione Russa – e si cercava di costruire un consenso mobilitante dell’opinione pubblica. Anche vent’anni fa un breve testo ci diceva che no, le cose non erano affatto così semplici come ce le raccontano e senza una comprensione più articolata una soluzione vera non si sarebbe trovata. E infatti il bilancio della War on Terror, basata su friabili basi analitiche, è catastrofico. Se vent’anni fa si fossero adottate politiche diverse, meno inclini al suprematismo occidentalista, ci saremmo risparmiati guerre, centinaia di migliaia di morti e un restringimento delle libertà inedita dai tempi più cupi della guerra fredda.

Oggi sempre di essere tornati ai tempi oscuri del confronto con l’URSS, con la infamante accusa di “putiani” riversata contro tutti coloro che non si assimilano al pensiero dominante.

Va detto chiaramente che tale etichettatura è una scempiaggine propagandistica al livello della stigmatizzazione come “comunisti” dei vertici del centro-sinistra ai tempi d’oro di Berlusconi. Una roba di una stupidità stomachevole incommentabile. I gruppi ed i movimenti che avevano una simpatia politica per il presidente Putin e per il suo conservatorismo oggi o tacciono o sostengono Kiev. Mentre molti di coloro che mettono in discussione la narrativa dei governi e del cocuzzaro di opinionisti al seguito (personaggi dimenticabili come Tocci e Ottaviani) in passato hanno espresso tutta la loro opposizione al leader russo. Abelow è uno storico con un forte interesse religioso che ai tempi della guerra fredda si era impegnato sui temi degli armamenti nucleari in senso antimilitarista e pacifista, per cui è da escludersi se possa avere una simpatia politica per i vertici della Russia.

Il testo si distingue per una brevità che lo rende facilmente accessibile, la semplicità di linguaggio e la logica stringente che lo innerva. Si compone di otto capitoli: nei primi due si elencano tutte le provocazioni della NATO e degli USA verso la Russia dal 1990 ad oggi. Nel terzo si chiede cosa succederebbe se gli Stati Uniti fossero al posto dei russi e di come reagirebbero a loro volta. Nel successivo si argomenta che il ritiro unilaterale degli USA dal trattato sulle forze nucleari a raggio intermedio spaventi la leadership russa e l’abbia spinta verso un atteggiamento più duro. Nella quinta sezioni si citano diversi esperti di politica estera, affatto pacifisti e meno che mai filo russi, su come l’allargamento della NATO (un “dettaglio” che i blasonati commentatori più disagiati preferiscono non menzionare) abbia danneggiato la cooperazione con la Russia e su come tutto ciò fosse largamente prevedibile dagli anni Novanta. Nel capitolo seguente si argomenta come il perpetuarsi di tale errore diventi una “profezia che si autoavvera”: l’allargamento della NATO avrebbe irrigidito le relazioni con Mosca, e quando ciò fosse avvenuto si sarebbe dato la colpa al militarismo russo, dandosi una (illusoria) giustificazione a posteriori. La citazione è nientemeno di George Kennan, figura chiave della guerra fredda i cui scritti hanno direttamente influenzato le politiche antisovietiche del “contenimento” dell’URSS. L’argomento vene riproposto nel capitolo seguente come una narrativa paranoide in contraddizione con i dati di realtà. Nelle conclusioni si rileva come l’attuale linea del blocco euro-atlantico (molto atlantico e molto poco “euro” in verità) rischiano di portarci al disastro nucleare. En passant si nota come la proposta di mediazione del governo tedesco poco prima dello scoppio del conflitto (il 19 febbraio 2022) sia fallita per il rifiuto di Zelensky di dichiarare la propria neutralità rinunciando all’ingresso nella NATO. Sarebbe stato possibile senza che gli USA lo sostenessero in questa scelta? Ovviamente – ci sentiamo di aggiungere – non c’è una certezza assoluta che la guerra sarebbe state evitata; in fondo Kiev in pratica è già molto legata al militarismo occidentale, e si può ipotizzare che il presidente Putin avrebbe potuto avanzare ulteriori richieste. Ma si sarebbe trattato di una base negoziale da cui partire, e invece evidentemente è mancata ogni volontà politica di trattativa. In tal modo si vede come il titolo, così lontano dalla narrativa che va in scena all’apertura di ogni tg, non sia discorde dai fatti. 

Il testo di cui parliamo più che uno studio asettico e pacato è un pamphlet militante, nello stile di critica radical al militarismo americano proprio di autori di Chomsky o Howard Zinn. Quanti di coloro che nell’anno che ci sta alle spalle hanno lavorato per demistificare la propaganda avrebbero voluto scriverlo anziché leggerlo: mettere giù un testo non tanto difficile da arrivare ad un gran pubblico è un vero e proprio talento divulgativo, prezioso per chi vuole dare strumenti alla base popolare per farsi un’idea autonoma.

Diversi autori citati sono più vicini al realismo o al conservatorismo che all’idealismo liberal; una figura che giganteggia è il politologo John Mearsheimer, di scuola schiettamente realista. La cosa va sottolineata per due ragioni: primo, è importante partire da una descrizione accurata della realtà e non vedere solo ciò che è conforme alle proprie convinzioni e simpatie; secondo, fa effetto come molti commentatori che si erano fatti una reputazione di progressisti e “di sinistra” (qualsiasi senso si voglia dare a tale espressione) siano caduti nella trappola di una visione semplicistica e manichea. Paradossalmente echeggiando in salsa progressista la stessa distorsione di destre e conservatori di vent’anni fa: di traslare una valutazione di assetto interno sugli atti di politica estera, il che è errato: una specchiata democrazia è perfettamente capace di atti non democratici e veri e propri crimini di guerra nella sua politica estera e di difesa. Quindi rispunta la mistica del “mondo libero” contro le autocrazie (russa, cinese, e simili), per cui lo status interno irrora e determina la politica estera. 

Ma questa visione non è realistica, è astratta dalla realtà e non funziona per cercare soluzioni che comportino una de-escalazione della violenza. A meno che la “soluzione” ricercata non sia la sconfitta della Russia costi quello che costi, facendo trionfare gli interessi strategici USA lasciandosi dietro una area di instabilità proprio accanto all’Europa i cui vertici politici preferiscono un indegno scodinzolare di fronte a Biden che cercare una autonomia politica. 

Vista l’opposizione di una fetta assai vasta di opinione pubblica al bellicismo pro-NATO, per cui l’unica opzione sia la totale disfatta dell’esercito russo, rimpinzando Zelensky di armi, si può dire che un’area di pensiero critico è assai più sintonizzata su bisogni, paure e aspirazioni popolari del mainstream dominante, i cui maîtres à penser preferiscono non leggerlo nemmeno Abelow

Matteo Bortolon

Di Red

„Per ottenere un cambiamento radicale bisogna avere il coraggio d'inventare l'avvenire. Noi dobbiamo osare inventare l'avvenire.“ — Thomas Sankara

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