Federico Giusti

Il governo con il decreto Lavoro di inizio maggio ha tagliato del 4% il cuneo fiscale, ennesima riduzione delle tasse sul lavoro dopo i provvedimenti dei precedenti esecutivi. Ci siamo già interrogati sul recupero del potere di acquisto (assai esiguo) derivante da questo provvedimento: i vantaggi per la parte datoriale sono ben maggiori se consideriamo anche gli aiuti derivanti dalla detassazione dei premi di risultato e dalle deroghe ottenute nella contrattazione di secondo livello con l’avallo sindacale rispetto ai contratti nazionali in materia di orario, organici, prestazioni straordinarie, flessibilità varie.

L’Italia è il solo paese Ue in cui le tasse sul lavoro sono diminuite negli anni pandemici e siamo anche la nazione che ha operato i maggiori tagli alle risorse destinate alla sanità. Dovremmo quindi focalizzare la nostra attenzione sugli effetti perversi derivanti dalla riduzione del cuneo fiscale, su come si manifesta nei tagli alla Pubblica Amministrazione.

Riflettendo sui vantaggi per le parti datoriali che non aumentano i salari o rinnovano al ribasso i contratti nazionali va considerato che fra essi ci sono anche lo Stato e il variegato pianeta degli enti locali.

Il governo diminuendo i contributi a carico della forza lavoro aumenta al contempo il reddito imponibile ai fini Irpef. Se Draghi, e prima di lui Renzi, come spiega il portale liberale lavoce.info, avevano tagliato le tasse a carico dei lavoratori, il provvedimento dei governo Meloni diminuisce il cuneo fiscale ma al contempo i benefici derivanti da questa misura potrebbero essere vanificati dalla crescita del prelievo Irpef.

Qui entrano in gioco i diversi trattamenti fiscali riservati a redditi d lavoro e rendite da capitale: se si vuole accrescere il potere di acquisto è possibile ricorrere ad aumenti contrattuali in base al costo della vita sapendo che ridurre le tasse alla fine produce un altro effetto nefasto: il depotenziamento del welfare e della P.A. Ma l’aumento dei salari adeguandoli al costo della vita avrebbe effetti negativi sui profitti e sui bilanci delle imprese, sullo Stato e sui suoi conti che devono rispettare i tetti imposti da Bruxelles, restituirebbe potere di acquisto e contrattazione alla forza lavoro rappresentando un rischio per la pace sociale imposta dall’alto.

E qui veniamo all’ultimo punto ossia il lento e inesorabile depotenziamento della P.A.

Siamo la nazione in Ue che ha la forza lavoro, nei comparti pubblici, più vecchia d’Europa, la meno formata e forse la più demotivata anche a causa di quel meccanismo deleterio rappresentato dalla performance, una sorta di “premio dei migliori”. L’ideologia del merito, che da anni si somma ai bassi salari e alla contrazione del potere di acquisto e di contrattazione, non è servita ad accrescere o migliorare i servizi pubblici. Fin qui nulla di nuovo, non staremo a ripetere come la performance non abbia niente di oggettivo essendo strumento discrezionale utile, all’occorrenza, per costruire clientele, passività e impotenza nella forza lavoro, per dividere lavoratori e lavoratrici mettendoli in una assurda competizione solo al fine di percepire istituti contrattuali irrisori o semplicemente la compiacenza dirigenziale.

A conferma della crisi della P.A. l’ultimo censimento della forza lavoro indica come siamo ai minimi storici negli ultimi 25 anni con meno di 3 milioni di dipendenti con contratti a tempo indeterminato (precisamente 2.932.529) ma con una percentuale crescente caratterizzata da precarietà (contratti di collaborazione e soprattutto a tempo determinato che aumentano di 22 mila unità solo nell’ultimo anno).

Quanti pensavano che il PNRR fosse uno strumento di crescita della P.A. dovranno ricredersi perché molti enti locali sono impossibilitati a rispettare i tempi e le modalità previste per la presentazione dei piani non avendo risorse umane e strumenti adeguati e sufficienti a tale scopo.

La precarietà domina soprattutto nella scuola e nella sanità (63mila lavoratori), dove terminata l’emergenza ufficiale del Covid sono ripresi i tagli alle spese correnti e di personale; da qui deriva la cronica carenza degli organici che poi determina minori servizi alla cittadinanza favorendo al contempo il ricorso al privato.

E’ ormai acclarato come investire nella P.A. sia premessa indispensabile per la ripresa dell’economia, se guardiamo al rapporto annuale FPA sul lavoro pubblico ci rendiamo conto di come l’Italia abbia intrapreso altre strade decretando la marginalità della nostra economia al cospetto di altri paesi UE.

Molti giornali, soprattutto di centro destra parlano impropriamente di crescita degli occupati nella P.A. sorvolando sulla natura contrattuale dei nuovi assunti: meno impieghi stabili e decine di migliaia di rapporti a tempo determinato, tanto che se guardiamo solo agli indeterminati siamo fermi a quasi 25 anni or sono . E paradossalmente crollano i dipendenti di ruolo proprio nei Comuni che dovrebbero essere la spina dorsale del PNRR (solo tra il 2007 e 2021 hanno perso il 28,4% dei dipendenti) ed essere in condizione di erogare servizi al cittadino dignitosi.
Urge poi ricordare che i contratti sono scaduti a fine 2021 e il nostro paese ha una delle percentuali più basse nella Ue di dipendenti i pubblici in rapporto alla popolazione (5,5 ogni 100 abitanti, contro il 6,1 in Germania, 7,3 in Spagna, 8,1 in Uk e 8,3 in Francia) o al totale degli occupati (il 14% italiano si confronta con il 16,9% del Regno Unito, il 17,2% della Spagna e il 19,2% della Francia). Il 36,7% dei dipendenti supera i 55 anni di età e un milione andrà in pensione da qui a 10 anni; con le regole attuali in merito alla spesa di personale ci saranno presto numeri assolutamente inadeguati a gestire i servizi e le attività, spianando la strada a feroci processi di privatizzazione per i quali si sta alacremente spendendo il governo Meloni

Di L.M.

Appassionato sin da giovanissimo di geopolitica, è attivo nei movimenti studenteschi degli anni novanta. Militante del Prc, ha ricoperto cariche amministrative nel comune di Casteldelci e nella C.M. Alta Valmarecchia. Nel 2011 crea il blog Ancora fischia il vento.

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