Giuseppe Lorenzetti 

Alcuni la chiamano l’era delle emergenze: 2001 torri gemelle e terrorismo islamico, 2008 crisi finanziaria, 2019 pandemia di coronavirus, e poi ancora, sempre più veloci, 2022 guerra in Ucraina e rischio nucleare, 2023 cambiamento climatico. A vederla da fuori, sembrerebbe quasi la trama di un brutto film hollywoodiano, ma poi ti ricordi di esserci dentro.

In tanti negli ultimi anni hanno cominciato a mettere in discussione la narrazione ufficiale sulle continue “calamità” che dall’alto si abbattono su di noi, le spiegazioni sulla loro origine e le soluzioni proposte dalle istituzioni. Man mano che le sventure si ripetevano, c’è chi ha iniziato a riconoscere una sorta di copione e, resistendo alla tentazione della paura, ha osato osservare la realtà con uno sguardo critico e fare dei collegamenti. Ci sono stati medici che, disobbedendo ai protocolli, hanno continuato a curare i loro pazienti e ad accorgersi che potevano guarire. Ci sono cittadini che si sono opposti all’infantile dialettica di guerra che divide in “buoni” e “cattivi”, in aggressore e in aggredito, e hanno osato ripudiare lo schizofrenico mantra del “servono armi per fare la pace”. Ci sono scienziati di fama internazionale che contestano la spiegazione antropica circa l’origine dei cambiamenti climatici e mettono in allerta da letture e proposte di soluzioni riduzioniste, stranamente funzionali ad avvallare alcune distopiche proposte di trasformazione della nostra società.

Per quanto il potere mediatico sia oggi più invadente e monopolistico che mai, ci sono ancora uomini e donne che hanno il coraggio di esercitare i propri diritti e di non farsi schiacciare dalla pressione del pensiero unico, corretto o sbagliato che sia. Tuttavia, per quanto valoroso possa essere battersi per la verità, c’è qualcosa di ancora più importante del nostro tentativo di capire e di aiutare altri a capire se queste emergenze siano casuali o provocate, affrontate o strumentalizzate e, eventualmente, quali interessi economici e sociali esse facilitino.

Infatti, che la leggiamo nel modo giusto o in quello sbagliato, uno stato d’emergenza, da un certo punto di vista, gioca la sua partita come il banco al casinò: vince sempre. Che ci siano giocatori che riescano ad indovinare il colore e altri, che, ad occhi chiusi, continuino a puntare sul lato sbagliato della roulette, rimane un effetto di fondo, il più deleterio e forse il più sperato; la distrazione. Il più grande potere dell’emergenza continua è quello di creare distrazione, di trasformarci in giocatori del suo gioco che, anziché pensare e vivere, nel vero senso della parola, si limitano a reagire a degli stimoli, in un modo o nell’altro vittime del rumore dell’emergenza. Distrazione da cosa? Da noi stessi, dall’altro, dalla vita, dal nostro percorso di crescita.

L’emergenza, infatti, genera ansia, confusione, divisione e come una dipendenza è capace di catturare tutte le nostre attenzioni, fino a farci dimenticare chi siamo e quali sono i nostri desideri. Se davvero l’uomo fosse sotto attacco, dovremmo domandarci quale sarebbe la più alta forma di resistenza e di difesa. La più alta forma di resistenza – sembrerà banale – è proprio quella di rimanere uomini. L’uomo è colui che cerca la verità, che si batte contro le ingiustizie, ma che, allo stesso tempo, non perde la sua capacità di stupirsi, di amare, di commuoversi di fronte alla bellezza, di ascoltare, di emozionarsi, di conoscere sé stesso, di rimanere in collegamento con sé e con gli altri, e ancora, di assaporare la vita, di esprimere la propria forza di volontà, di creare, di sognare, di guardare verso l’alto, di costruire il proprio futuro. Contrastare le derive in atto nella nostra società richiede per prima cosa la capacità di resistere alla retorica dell’emergenza, di rimanere liberi dalla schiavitù della paura che essa vuole imporre e per farlo dobbiamo, innanzitutto, non dimenticare chi siamo e cosa desideriamo

Di L.M.

Appassionato sin da giovanissimo di geopolitica, è attivo nei movimenti studenteschi degli anni novanta. Militante del Prc, ha ricoperto cariche amministrative nel comune di Casteldelci e nella C.M. Alta Valmarecchia. Nel 2011 crea il blog Ancora fischia il vento.

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