Il destino del corpo, della fisicità come dell’emotività di ogni persona, nell’Italia governata da Giorgia Meloni, è una messa in discussione prima di tutto di una serie di parametri che escludevano, almeno fino ad oggi, l’interpretazione delle differenze come qualcosa di negativo, di stigmatizzante, di settorializzante e, quindi, di discriminante.

Tanti avverbi sono necessari per figurare un cambiamento che si prospetta, tra gli altri, come l’ennesimo tassello di una visione veramente conservatrice della famiglia, del suo ruolo nella società e del tipo di relazione tra essere umano e cittadino, tra cittadino e Stato.

Ciò rientra alla perfezione nell’idea che la destra ha dei generi, del sesso, di una cultura dei corpi che segue un dettame che va oltre l’ideologico e che odora di clericalismo, di curialismo, di religiosità applicata ad una cultura che dovrebbe essere repubblicana ma soprattutto laica.

Una cultura che rispetti l’individuo in quanto essere umano e in quanto membro di una comunità più ampia, quella di un popolo, in cui le differenze siano messe a valore per essere comprese: capite e condivise, incluse in un processo di maturazione vicendevole, dove lo scambio è arricchimento e non solo confronto statico, icasticamente descrivibile con pochissime parole di prammatica.

Nel corso della quasi ottantennale vita della Repubblica, l’applicazione dei princìpi costituzionali è andata separandosi in due tronconi principali: quello dell’istituzionalismo e quello della socialità espressa dai movimenti spontanei ad anche dai partiti, dai sindacati, dalle associazioni culturali. Il punto di incontro di queste due anime del Paese, di questi due cammini spesso non convergenti, avrebbe dovuto essere la scuola pubblica.

Lì si sarebbe dovuta sintetizzare una proteina rigeneratrice per la salute di uno Stato che ha cercato il suo orizzonte democratico massimo nel compromesso tra bene comune e diritto del privato, tra vantaggio pubblico e privilegio padronale, tra gestione condivisa delle risorse e proprietà privata.

Questo è valso anche riguardo la personalità di ognuno di noi: potersi esprimere pienamente senza che nessun ostacolo si frapponesse alla volontà, al desiderio, alla proposta, all’immaginazione, persino al sogno di dare un contributo alla comunità partendo dalla singolarità delle nostre menti, delle nostre capacità, della nostra espressività.

E’ evidente che una impostazione (un po’ sessantottina) della libertà individuale e collettiva a tutto campo, salvo “le forme e i limiti della Costituzione“, è quanto di più in contrasto oggi si possa rilevare nel rapporto con una destra di governo che non ha una idea espansiva dei diritti, bensì una loro contrazione entro i soli spazi concessi dalla tradizione, dalla costumanza, dalla discendenza dei valori che derivano da una consuetudine millenaria.

Quella di un cattolicesimo reale che si è fatto politica per mille anni nella temporalità pontificia, quella di un democristianesimo che ha incluso tutte le correnti del popolarismo novecentesco, lambendo il conservatorismo di una destra pronta a scalzare la linea di compromesso costituzionale della DC e ad imporre al Paese una saldatura tra poteri economici e poteri politici più vicina all’autoritarismo.

La tentazione è stata grande e, probabilmente, non è mai del tutto venuta meno; nemmeno in questa Italia del nuovo millennio che pensiamo modernissima, degna di stare tra i grandi sette del mondo, semper fidelis alla NATO e al partenariato con gli Stati Uniti d’America.

La dimensione occidentale, che nella narrazione delle destre postfasciste e conservatrici è quell’invenzione antistorica delle “radici giudaico-cristiane“, ha permesso anche ai nostalgici del regime mussoliniano e dell’almirantismo d’annata di potersi reinventare verginalmente come forza di governo senza bisogno di altri sostegni del vecchio liberalismo che traslava sé stesso nel liberismo capitalistico ipermoderno.

La missione, quindi, delle destre di governo è quella di applicare un modello di società, di famiglia e di identità personale, fisica, mentale e morale, che corrisponda ad un etnocentrismo fondato sull’italianità: dall’origine, quindi dalla nascita, alla fine, quindi alla morte.

Il costrutto etico che si uniforma all’idea dell’italiano del nuovo secolo e del nuovo millennio è il prototipo di una teorizzazione aggiornata del vecchio razzismo novecentesco, applicato ad un oggi in cui non proprio tutto del liberalismo, ed anche del socialismo, si può in fondo buttare.

Ma, siccome sono sempre soltanto i diritti ad essere mobili, mutabili e controvertibili, si può fare molto più di due più due se si mettono una accanto all’altra tutte le azioni messe in campo dal governo Meloni in quasi un anno di amministrazione dello Stato.

Fisicità e mentalità del cittadino, racchiuse nella materialità del corpo, sono la dualità che è sotto attacco costantemente. Diritti civili e sociali sono percossi da politiche di restrizione degli spazi di espressione, di manifestazione delle libertà più elementari e fondamentali, a partire da quelle dell’apparenza e dell’essenza che provano a compenetrarsi fin dove è possibile e che possono anche convivere senza giurarsi eterna aderenza e sovrapposizione.

Essere ed apparire vengono, invece, assemblati forzosamente dal conservatorismo di destra. Non esiste altra possibilità per il governo se non farle coincidere. Nel nome della tradizione cristiano-cattolica, di un familismo che viene declinato in quanto tale soltanto se eterosessuale, richiamando speciosamente a testimone della verità in questo senso proprio la Costituzione che parla di “famiglia” e non di “coppie“, tanto meno di “coppie omogenitoriali” o di “coppie di fatto“.

L’accelerazione impressa alla discussione del disegno di legge che intende far diventare la Gestazione per altri (GPA) un “reato universale” si mostra in tutta la sua presunzione già partendo da questo principio: una sorta di diritto internazionale italiano che si impone sugli altri, che pretende di andare alla ricerca nel mondo di tutti quegli italiani che hanno fatto figli grazie al corpo di una donna che non fa parte della famiglia.

Paternità e maternità, soprattutto se espressione di un comune desiderio, adulto e consapevole, tra due donne o due uomini, sono l’obbrobrio più nefando che la destra possa trovare sulla sua strada in materia di diritti civili, di diritti persino umani. Una umanità che le forze del governo, del resto, non dimostrano di avere quando trattano di altri corpi immersi letteralmente in altri grandi problemi che esulano la volontà del singolo.

Eppure anche i migranti hanno dei desideri: di avere un giorno una vita, un futuro degni di questi nomi e di poterli rendere tali nella parte del mondo che si vanta delle sue ricchezze e che le protegge dall’invasione africana o mediorientale.

Si tratta, ad ogni modo, di storie di corpi e di anime, molto poco platonicamente intese, molto legate ad un concetto che le avvicina alla sfera dei diritti dell’uomo, della donna, del cittadino e della cittadina. Su quei barconi non stanno solamente fisicità pigmentate di nero, ma sogni, ispirazioni, voglie e desideri di essere liberi e felici.

La domanda, riguardo la surrogazione di maternità è questa: se due persone si amano e vogliono costruire una famiglia e se per poterlo fare avessero bisogno dell’aiuto di una terza persona; se tutti costoro, inoltre, fossero pienamente consapevoli di ciò che fanno, liberi e non costretti da niente e nessuno, quindi anche al di là delle ricompense (pure giuste) e se la Legge regolamentasse il tutto tutelando prima di ogni altra cosa i nascituri, ma che impedimenti morali vi potrebbero essere affinché tutto questo possa avvenire?

Si obietta che diventerebbe un commercio di bambini, una pratica trasformata in una sorta di lavoro per alcune donne, soprattutto quelle più indigenti e bisognose. E’ una considerazione opportuna. Ma il legislatore è lì proprio per evitare al massimo possibile che tutto questo accada.

I diritti costituzionali norme sono intoccabili e non dovrebbero nemmeno essere oggetto di revisione alcuna. Invece, noi prevediamo il pareggio di bilancio e lasciamo fuori dalla nostra Carta le riforme che sarebbero più necessarie: aggiornare non la seconda parte bensì la prima, inserendo tutte quelle nuove tutele e garanzie dei nuovi corpi e delle nuove anime laiche di una Repubblica che è sempre in divenire. Come la società che dovrebbe esprimere.

La cultura della conservazione, del tradizionalismo, che fa discendere da dio qualunque principio, mettendo in secondo piano la libertà del laicismo e lo spirito stesso dello Stato rinato dopo la dittatura fascista e la guerra, tenta oggi un nuovo patto con le prerogative della classe dominante, provando a fare uno scambio…

Palazzo Chigi si impegna nella salvaguardia dei privilegi padronali e dei soli diritti dell’impresa dentro una perfetta logica liberista, a discapito dei diritti sociali e di tutto un mondo del lavoro sempre più povero e senza futuro, mentre la classe dirigente economico-finanziaria, speculatrice e parassita, sostiene un esecutivo che condanna il Paese ad enormi passi indietro in tema di evoluzione civile, di moralità, di cultura, di crescita a tutto tondo.

La coscienza degli esseri umani è il frutto di un condizionamento sociale e civile, di uno scontro tra i rapporti di forza e non può essere mai trattata, al pari della cultura, come qualcosa che è distinguibile quindi dalla loro fisicità, dal loro essere pienamente dentro i fatti del mondo. Il modo in cui trattiamo i nostri corpi è, inevitabilmente, il modo in cui trattiamo le nostre coscienze.

Se non c’è rispetto per il lavoro, per la fatica, per la sopravvivenza di milioni e milioni di persone, per i drammi epocali che si stanno verificando nei tanti sud del mondo, allora non può nemmeno pretendersi di veder progredire una moralità coscienziosa che si elevi a più alti cieli, che emerga sopra una bruttura umana dilagante.

Noi prendiamo coscienza di ciò che ci viene tolto nel momento in cui perdiamo delle opportunità, delle possibilità di esprimere ciò che siamo e ciò che vogliamo. Noi diventiamo non ciò che aspiriamo essere, ma ciò che non siamo più rispetto al passato, rilasciando tutta una serie di scorie che oggi, invece, vengono presentate come nuove, grandi conquiste per una società “normale“.

Normalmente italiana, normalmente eterosessuale, normalmente bianca, normalmente autoctona, normalmente famigliare, normalmente credente, normalmente cattolica. Normalmente occidentale. Una Italia così può ipocritizzare su qualunque cosa.

Può spacciare le epurazioni in RAI per pluralismo, la guerra per pace, la ricchezza dei padroni per contributo sociale, la decrepitizzazione dei salari per innovazione economica, l’autonomia differenziata per qualificazione regionale delle eccellenze territoriali… e così via.

Una Italia così è da disconoscere. Siamo italiani ma dovremmo dichiararci apolidi, almeno per un quarto d’ora di anticelebrità. E in quei quindici minuti provare a pensare perché solamente la maggioranza deve avere dei diritti ed essere considerata come la “popolazione eccellente“: nel corpo e nell’animo, nella mente e nel più recondito luogo dove nascono i nostri sentimenti, i nostri desideri a cui dobbiamo dare tutte le libertà di espansione di cui necessitano.

Comprimerli vuol dire soltanto condannarsi ad una sopravvivenza non solo più materiale, ma questa volta anche (in)civile e (im)morale.

MARCO SFERINI

Di L.M.

Appassionato sin da giovanissimo di geopolitica, è attivo nei movimenti studenteschi degli anni novanta. Militante del Prc, ha ricoperto cariche amministrative nel comune di Casteldelci e nella C.M. Alta Valmarecchia. Nel 2011 crea il blog Ancora fischia il vento.

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