E’ possibile che l’analisi delle complessità delle contraddizioni in atto sia ridotta ad un “pensiero unico” e obbligato?
Nei giorni scorsi la coincidenza con il doloroso passaggio della morte di Gianni Vattimo ha riportato alla luce il dibattito attorno al “pensiero debole”: quel “pensiero debole” caratterizzato dall’abbandono delle pretese di fondazione della metafisica tradizionale e di ogni concezione filosofica o ideologica che intenda presentarsi come assoluta.
Su quella base si mossero le accuse di “passatismo” e di “residualità” che hanno colpito, nel corso di questi ultimi anni, i sostenitori di una “qualità dell’agire politico” nel quadro di un pensiero “forte” di stampo occidentale.
In realtà l’attenzione andrebbe portato attorno all’ormai cancellato “pensiero critico”.
Se si intende affrontare davvero la “complessità dell’esistente” il primo atto da compiere sarà quello di rompere la gabbia della subalternità del pensiero verso la tecnica ormai giudicata “neutrale”.
In secondo luogo si tratterà di tornare all’articolazione che la storia ha sempre offerto al pensiero umano.
Del resto è stato del tutto insufficiente occuparci di alcuni temi politici che pure sono emersi all’interno di questa crisi dell’essere.
Ritorna un punto nevralgico a partire dal giudizio da esprimere sul valore complessivo del “pubblico” rispetto al “privato”.
Ci sarà da riflettere sull’acquisizione di una nuova nozione di “senso del limite”.
L’idea del “senso del limite” ci arriva direttamente dallo stare vivendo “questa” tragedia epocale, ma non basterà neppure aprire questo livello di riflessione per giungere a un piano di elaborazione sulla quale poggiare una prospettiva di “pensiero lungo”.
Servirà una ripresa di costruzione dell’ideale.
Un ideale che rompa l’idea dell’ineluttabile soggezione all’esistente.
Si rovescia l’impostazione hegeliana: sarà necessario essere migliori del proprio tempo.
Sarà banale affermarlo ma l’ottimismo della volontà dovrà tornare a prevalere sul pessimismo dell’intelligenza.
Il rapporto tra cultura e politica accusa ormai da molti anni un ritardo particolarmente vistoso rispetto alle necessità imposte dalla storia.
Un rapporto quello tra cultura e politica ormai uscito dalla richiesta di “organicità totalizzante” (che pure sembra stare nelle corde di chi intende aggiudicarsi una molto presunta “egemonia”) ma che invece è stato ridotto all’assemblaggio di un insieme di tecnicismi.
Ciò è avvenuto in diversi campi da quello accademico, per arrivare a quello istituzionale, economico e soprattutto della comunicazione laddove la politica appare ormai confusa con l’economicismo e il giurisdizionalismo astratto.
Si tratta invece di ripartire per una ricognizione di fondo, prescindendo dal proposito di sviluppare una “ricerca di parte”.
Nel compiere l’operazione intellettuale di ritorno alla dialettica il primo traguardo da indicare dovrà essere quello di ricostruire una sorta di percorso nella storia del pensiero politico, cercando di riassumerne le fasi più importanti, individuare i passaggi al fine di orientare l’idea di un possibile confronto.
L’esigenza di ricercare questo equilibrio tra “storia del pensiero politico” e realtà “dell’agire politico”, deve nascere dal ritorno alla convinzione che il pensiero politico sia un “pensiero concreto”.
Un pensiero politico coinvolto attivamente nel mondo, sia come critica dell’esistente, cioè come de-costruzione, sia come costruzione, cioè come progetto di edificare un ordine migliore, ovvero rispondente a criteri di legittimità diversi da quelli dell’ordine presente.
Servirà legarsi a un filo conduttore, coscienti del fatto che il pensiero politico non si sia rivolto sempre ai medesimi problemi attraverso le medesime categorie.
Insomma, è necessario mettere in rilievo che la concretezza del pensiero politico consiste proprio nel fatto che esso aderisce alle drammatiche discontinuità dell’esperienza storica, e anzi le riconosce, le interpreta, le mette in forma.
Ricostruire l’idea di progresso dentro a un quadro di consapevolezza del “limite” umano e delle risorse: questa la sola sintesi possibile per indicare la necessità e l’urgenza di aprire un discorso molto difficile in questo momento di apparente invisibilità dell’orizzonte.