Immagine del Ladakh

IL LADAKH NON RAGGIUNTO.
Al Kashmir e al suo popolo.

Il cielo sopra Srinigar è azzurro, limpido e all’orizzonte c’è l’ Himalaya innevato. Il lago Dal brilla e sulle sue acque senza onde c’è il mercato quotidiano con barche al posto di bancarelle e frutta e verdura dai molti colori. Ho la domenica libera, dopo aver bevuto  noon chai dal color rosa, affitto una jeep  e prendo la strada  che porta al Ladakh. L’autista fuma kashmiri bidi una dietro l’altra, ne fumo un paio anch’io. L’ aria gelida che entra dai finestrini aperti spazza via il fumo. Percorro un centinaio di chilometri di strada stretta lungo tornanti  che si inerpicano. Non vado oltre il passo Zoji dove finisce il Kashmir e inizia il Ladakh. Un’altro mondo da Srinigar e dintorni.                     

Ritorno a Bombay con il Ladakh in testa. Leggo e guardo foto del piccolo Tibet. I paesaggi sono fuori dal comune. Distese desertiche e rocciose con oasi di verde e i monasteri, i gompa.                        

 Un paio di mesi dopo devo andare in un cantiere della ferrovia Srinigar-Jammu per offrire assistenza tecnica per ingegneria del suolo. Terminato il lavoro ritornerò a Srinigar e prenderò l’aereo per Leh. Appena fuori Srinigar sul pendio di una collina dei ragazzi di un villaggio giocano a cricket. Non hanno divise per distinguere una squadra dall’altra, le mazze sembrano fatte in casa con legno degli abeti del vicino bosco. Hanno la palla, ma non i guantoni. Soldati armati sono gli spettatori. Il cricket in India è lo sport che unisce tutti dal Punjab al Kerala. Forse solo in Ladakh non si gioca. Durante la riunione vengo informato che nella collina dove i ragazzi giocavano a cricket c’è stato uno scontro a fuoco tra militanti kashmiri e soldati indiani, con morti. Penso alla frase di Mughal Jahangir, citata da  Bhanu. A volte il paradiso si infiamma e diventa un inferno. La strada che conduce a Srinigar è bloccata dall’esercito. Non ho con me il passaporto, ma solo la carta d’identità italiana, buona in circostanze normali. Non posso rischiare un fermo fino a che recupero il passaporto. Possono trascorrere giornate.                                 Raggiungo Jammu in qualche ora attraverso un paesaggio di valli verdi e montagne bianche per prendere l’aereo per Delhi. Il pezzo di Tibet in terra indiana, rimarrà per me un tentativo di viaggio fallito.

strada  che porta al Ladakh. L’autista fuma kashmiri bidi una dietro l’altra, ne fumo un paio anch’io. L’ aria gelida che entra dai finestrini aperti spazza via il fumo. Percorro un centinaio di chilometri di strada stretta lungo tornanti  che si inerpicano. Non vado oltre il passo Zoji dove finisce il Kashmir e inizia il Ladakh. Un’altro mondo da Srinigar e dintorni.                     

 Ritorno a Bombay con il Ladakh in testa. Leggo e guardo foto del piccolo Tibet. I paesaggi sono fuori dal comune. Distese desertiche e rocciose con oasi di verde e i monasteri, i gompa.                        

Un paio di mesi dopo devo andare in un cantiere della ferrovia Srinigar-Jammu per offrire assistenza tecnica per ingegneria del suolo. Terminato il lavoro ritornerò a Srinigar e prenderò l’aereo per Leh. Appena fuori Srinigar sul pendio di una collina dei ragazzi di un villaggio giocano a cricket. Non hanno divise per distinguere una squadra dall’altra, le mazze sembrano fatte in casa con legno degli abeti del vicino bosco. Hanno la palla, ma non i guantoni. Soldati armati sono gli spettatori. Il cricket in India è lo sport che unisce tutti dal Punjab al Kerala. Forse solo in Ladakh non si gioca. Durante la riunione vengo informato che nella collina dove i ragazzi giocavano a cricket c’è stato uno scontro a fuoco tra militanti kashmiri e soldati indiani, con morti. Penso alla frase di Mughal Jahangir, citata da  Bhanu. A volte il paradiso si infiamma e diventa un inferno. La strada che conduce a Srinigar è bloccata dall’esercito. Non ho con me il passaporto, ma solo la carta d’identità italiana, buona in circostanze normali. Non posso rischiare un fermo fino a che recupero il passaporto. Possono trascorrere giornate.                                 Raggiungo Jammu in qualche ora attraverso un paesaggio di valli verdi e montagne bianche per prendere l’aereo per Delhi. Il pezzo di Tibet in terra indiana, rimarrà per me un tentativo di viaggio fallito.

Di Francesco Cecchini

Nato a Roma . Compie studi classici, possiede un diploma tecnico. Frequenta sociologia a Trento ed Urbanistica a Treviso. Non si laurea perché impegnato in militanza politica, prima nel Manifesto e poi in Lotta Continua, fino al suo scioglimento. Nel 1978 abbandona la militanza attva e decide di lavorare e vivere all’estero, ma non cambia le idee. Dal 2012 scrive. La sua esperienza di aver lavorato e vissuto in molti paesi e città del mondo, Aleppo, Baghdad, Lagos, Buenos Aires, Boston, Algeri, Santiago del Cile, Tangeri e Parigi è alla base di un progetto di scrittura. Una trilogia di romanzi ambientati Bombay, Algeri e Lagos. L’ oggetto della trilogia è la violenza, il crimine e la difficoltà di vivere nelle metropoli. Ha pubblicato con Nuova Ipsa il suo primo romanzo, Rosso Bombay. Ha scritto anche una raccolta di racconti, Vivere Altrove, pubblicata da Ventura Edizioni Traduce dalle lingue, spagnolo, francese, inglese e brasiliano che conosce come esercizio di scrittura. Collabora con Ancora Fischia IL Vento. Vive nel Nord Est.

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