Giovanna Lo Presti

23 febbraio 2024: oggi non è una giornata allegra. Abbiamo dovuto constatare che il nostro Paese sta deviando dalla linea che dovrebbe seguire un Paese democratico, in cui la protesta, tanto più se totalmente pacifica, dovrebbe essere rispettata e, se è il caso, tutelata dalle forze dell’ordine. Invece no: le immagini mostrate ai telegiornali poche ore fa sono inequivocabili: a Pisa, a Firenze cortei formati da studenti, sono stati respinti con forza e a suon di manganellate da poliziotti bardati di tutto punto. Coloro che prendevano manganellate, invece, erano ragazzi inermi, con le mani alzate in segno di resa. Due giovani pisani sono stati presi e fatti sdraiare a forza sull’asfalto bagnato e – chissà perché – immobilizzati. Leggo il comunicato che i docenti di questi ragazzi hanno immediatamente diramato; ci spiega che, di fronte all’ingresso del Liceo artistico “Russoli” di Pisa, i poliziotti in tenuta antisommossa hanno caricato gli studenti che procedevano pacifici, dopo averli di fatto chiusi in modo da non consentire loro l’allontanamento. Gli studenti avevano deviato dal tragitto concordato? E se pure fosse, di fronte a un corteo pacifico, la polizia di un Paese democratico cerca di trattare con i manifestanti, non parte alla carica menando manganellate. Un episodio simile si è verificato oggi anche a Firenze.

Andiamo alle ragioni della protesta odierna: si chiede che finalmente il massacro che dal 7 di ottobre 2023 vede come oggetto la popolazione palestinese abbia fine. Oh, scusate: dovevo premettere che il 7 ottobre Hamas ha colpito Israele con un attacco che ha causato circa 1.400 vittime tra civili e militari e portato alla cattura di 240 ostaggi. Ma – scusate ancora – ho dimenticato di specificare come si viveva in Palestina prima del 7 ottobre 2023: «Dagli anni ’90 la popolazione palestinese non era più in grado di muoversi liberamente. Dal 2006 l’introduzione di un blocco israeliano contro Hamas ha peggiorato la situazione. Le conseguenze economiche sono state catastrofiche: disoccupazione, dipendenza dagli aiuti internazionali, difficoltà a ottenere cure mediche e infrastrutture fondamentali regolarmente distrutte dalle guerre». Insomma, in Palestina si dovevano sopportare angherie quotidiane e da molto tempo. Persino Giulio Andreotti aveva avuto modo di affermare nel 2006: «Credo che ognuno di noi, se fosse nato in un campo di concentramento e non avesse da cinquant’anni nessuna prospettiva da dare ai figli, sarebbe un terrorista». Questa non è una giustificazione dell’attacco di Hamas del 7 ottobre: ma se fossi sul palco di Sanremo e avessi detto quel che ho scritto, ci sarebbe la Mara Venier di turno che puntualizza. E che cosa puntualizza? Il fatto che l’orrore di 30.000 vittime civili (ma chissà quante saranno davvero) è equiparabile all’orrore dell’attacco di Hamas e che non possiamo parlare delle vittime palestinesi senza ricordare il diritto di Israele a esistere e difendersi. Anche quando difendersi vuol dire far morire per fame, sete, mancanza di cure mediche quei civili palestinesi che non muoiono sotto le bombe e che magari nemmeno si identificano con Hamas?

No, così non va. La mia solidarietà, qui ed ora, visto che siamo partiti dalla scuola, va a tutti i docenti che hanno accolto l’appello allo sciopero delle pochissime formazioni del sindacalismo di base che oggi si sono esposte per lo sciopero a difesa della Palestina (nessuna delle formazioni “maggiori”, né del sindacalismo istituzionale né di quello cosiddetto di base ha ritenuto valesse la pena di scioperare contro il massacro dei palestinesi), a tutti gli studenti che si stanno muovendo contro le guerre, a tutti coloro che sentono come un’offesa alla propria intelligenza e al proprio sentimento l’unanimismo pro-israeliano dei nostri mezzi di comunicazione di massa e infine, con vera vicinanza, a quegli israeliani che condannano le scelte dissennate di Netanyahu. La pace è un punto d’approdo di cui, per ora, non si intravvedono i contorni. Anche Netanyahu, per esempio, vuole la pace, ma sospetto somigli da vicino alla “pax romana”. Desertum fecerunt et pacem appellaverunt: lasceremo che si arrivi a questo in nome della presunta sicurezza di Israele? E quanti terroristi farà germinare il sangue innocente che scorre in Palestina?

Oggi bisogna essere tenacemente contro la guerra. Sarà pur vero che “guerra è sempre” ma è altrettanto vero che la capacità di arrivare alla tregua e di renderla il più stabile e duratura possibile, nel rispetto di tutti, è l’unico cammino verso un maggior grado di civiltà. E per noi, in Italia, è necessaria la massima all’erta: tira un forte vento di destra, che per ora si indirizza sulle proteste studentesche ma che non esiterebbe a reprimere con maggior durezza ogni dissenso. Anche per questo motivo, oltre che per protestare contro guerra, violenza, discriminazione sociale, le nostre piazze devono essere piene: facciamo comprendere a chi ci governa con l’uso della propaganda quando non addirittura con la menzogna che l’era della servitù volontaria sta per finire e il popolo ha capito che un unico filo tiene insieme la guerra sociale e la drammaticità senza rimedio della guerra vera.

Di L.M.

Appassionato sin da giovanissimo di geopolitica, è attivo nei movimenti studenteschi degli anni novanta. Militante del Prc, ha ricoperto cariche amministrative nel comune di Casteldelci e nella C.M. Alta Valmarecchia. Nel 2011 crea il blog Ancora fischia il vento.

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