È fallito il tentativo di colpo di Stato che nella giornata di ieri ha scosso la Bolivia facendo temere l’ennesimo terremoto politico nella Nazione sudamericana, una delle più turbolente e politicamente instabili della regione. Da quanto emerso, il fallito golpe, organizzato dal generale dell’esercito boliviano Juan José Zúñiga, è stato ordito in vista delle prossime elezioni del 2025 con l’obiettivo di impedire la ricandidatura di Evo Morales, ex presidente boliviano rimosso dal suo incarico nel 2019 in seguito a un “golpe morbido”. Non sarebbe la prima volta che la destra boliviana – supportata dagli Stati Uniti – mette in atto tentativi di colpo di Stato per sabotare Morales e il suo partito, il Movimento al Socialismo (MAS), e lo stesso Morales, in seguito alla sua rimozione nel 2019, aveva apertamente accusato gli USA di avere pianificato il golpe contro di lui. Sostenitore di un programma di riforme istituzionali e socioeconomiche, Morales, durante i suoi tre mandati, si è opposto a ingerenze straniere, nazionalizzando tutte le riserve di gas naturale e il settore energetico, promuovendo la riforma agraria e l’aumento dei salari. Considerata la ricchezza di risorse naturali della Bolivia, la nazionalizzazione e l’estromissione di multinazionali straniere dalla possibilità di sfruttare tali risorse hanno certamente messo in cattiva luce il governo socialista di Morales da parte di Paesi terzi, tra cui Washington. Da parte sua, la Casa Bianca ha fatto sapere che sta monitorando da vicino lo sviluppo degli eventi.
Le crescenti tensioni per le elezioni del 2025 hanno portato il generale Zúñiga a dichiarare che Morales non dovrebbe potersi ricandidare, minacciando apertamente di bloccarlo se avesse tentato di farlo. Ciò, a sua volta, ha spinto il presidente Arce a rimuoverlo dal suo incarico, fatto che ha poi innescato il tentativo di colpo di Stato. Quest’ultimo è durato circa tre ore, durante le quali i militari hanno occupato temporaneamente Palacio Quemado, la sede del governo a La Paz, dopo avervi fatto irruzione con un veicolo blindato. Il presidente ha denunciato il tentativo di rovesciare il governo parlando di «mobilitazione irregolare di alcune unità dell’esercito boliviano» e invitando al rispetto della democrazia. Arce, dunque, ha subito nominato un nuovo comandante dell’esercito, il generale José Wilson Sánchez, che ha ordinato ai soldati di ritirarsi sventando il colpo di Stato. Un video della televisione locale ha mostrato il presidente affrontare il generale ribelle nell’androne del Palacio Quemado, dicendogli «sono il suo capitano e le ordino di ritirare i suoi soldati e non permetterò questa insubordinazione». Subito dopo, l’insurrezione – che ha causato nove feriti – si è conclusa con l’arresto di Zúñiga. Poco prima del suo arresto, il generale aveva affermato che fosse stato lo stesso Arce a chiedergli di organizzare il golpe per aumentare la sua popolarità: non ci sono, però, prove a sostegno di questa tesi e lo stesso presidente boliviano ha categoricamente smentito le accuse.
L’ex presidente Morales si è unito ad Arce nel chiamare a raccolta la popolazione affinchè si mobilitasse a sostegno della democrazia: «Non permetteremo alle forze armate di violare la democrazia e intimidire la gente», ha detto. Il risultato è stato che migliaia di cittadini si sono ritrovati in Plaza Murillo per difendere l’attuale presidente, scontrandosi con i militari ribelli, che hanno risposto alle proteste popolari con il lancio di lacrimogeni. Nel frattempo, diversi capi regionali hanno espresso il loro pieno sostegno ad Arce: «Esprimiamo la più forte condanna del tentato colpo di stato in Bolivia. Il nostro totale sostegno al presidente Luis Alberto Arce Catacora», ha detto su X il presidente messicano Andres Manuel Lopez Obrador. La stessa opposizione ha condannato il tentativo di sovvertire l’ordine costituzionale: «Respingo pienamente la mobilitazione dei militari in Plaza Murillo che tenta di distruggere l’ordine costituzionale», ha scritto sempre su X l’ex presidente Jeanine Anez, incarcerata nel 2022 in seguito a disordini politici, aggiungendo che «Il MAS con Arce ed Evo deve essere eliminato con il voto del 2025. Noi boliviani difenderemo la democrazia».
L’insurrezione militare è avvenuta nel pieno di una crisi economica e politica che sta destabilizzando il già precario equilibrio dello Stato sudamericano: la crisi che attanaglia il Paese deriva, infatti, almeno in parte, da una profonda divisione interna al MAS (Movimento la Socialismo) che vede contrapposti l’attuale presidente Arce e il suo ex alleato Morales, entrambi membri del partito. La lotta politica tra i due per la corsa alla presidenza del 2025 ha complicato gli sforzi dell’attuale governo per affrontare la difficile situazione economica, causata da alta inflazione, scarsità di dollari e dalla diminuzione della produzione di gas. La tensione tra i due politici era nata nel 2019, quando Morales si era candidato per un quarto mandato giudicato incostituzionale. Tuttavia, il Tribunale costituzionale boliviano aveva autorizzato il politico socialista a ricandidarsi e alle consultazioni, Morales si era aggiudicato la maggioranza dei voti. Successivamente, accusato di frode e travolto da violente proteste di massa, il primo politico indigeno boliviano era stato costretto a fuggire e alle elezioni del 2020 era risultato vincitore il suo ex alleato Arce. Quest’ultimo, ora, vede la candidatura di Morales come un rischio per la sua rielezione, anche considerato che Morales è ancora estremamente popolare tra le comunità indigene del Paese. Alle accuse di incostituzionalità circa la sua campagna elettorale, in un recente discorso l’ex presidente ha risposto che «abbiamo rispettato le regole».
Anche a causa della sua enorme ricchezza di risorse e giacimenti di gas, la Bolivia è un Paese attraversato da forti turbolenze e divisioni interne: da metà Ottocento, quando dichiarò la sua indipendenza dalla Spagna, il Paese ha subito 190 colpi di Stato. Con la prossimità delle elezioni politiche e il timore di un ritorno al potere di Morales, le tensioni sono tornate a destabilizzare lo Stato sudamericano, già afflitto dalle proteste per il tracollo economico.
[di Giorgia Audiello]