Al di là delle vicende contingenti l’assunzione dell’estrema destra al governo del Paese ha riaperto il “caso italiano” ponendo in evidenza una crisi particolare della liberaldemocrazia rispetto a quella in atto in Francia che è crisi essenzialmente istituzionale e in Germania che è crisi del forzato (e sbagliato) esodo della socialdemocrazia dal suo ambito naturale.
Da anni la società italiana soffre di disgregazione strutturale, di eccesso di fluidità e vive di individualismi reattivi e rabbiosi perché percorsi da grandi disuguaglianze: la risposta è stata – assieme – quella del populismo, dell’antipolitica, del vuoto di potere colmato dalla magistratura o dall’asservimento alla tecnica di bilancio nel nome del “ce lo chiede l’Europa”.
Una società percorsa da paure universali e da una disordinata accettazione delle difficoltà dell’universalismo avviata nel post-globalizzazione dalle grandi crisi prima del 2001 con le Torri Gemelle, poi nel 2007-2008 con la crisi dei subprime a dimostrazione che era illusoria l’idea della “fine della storia” avanzata al momento della caduta del muro di Berlino: tanto è vero che è tornata la guerra ad occupare per intero proprio quella scena della storia.
La destra ha offerto un progetto che si basa su alcune indicazioni di facile comprensione: una politica “forte” con una tendenza alla soluzione penale delle questioni sociali intesa come scudo a difesa delle condizioni di vita e di produzione di una società che si articola economicamente sulla centralità degli egoismi individuali inseriti nel contesto ritenuto naturale (la famiglia).
La destra implementa sia l’avversità verso l’economicismo e il giurisdizionalismo esterno, quanto l’uniforme acconciamento alla fluidità interna affrontati attraverso concetti di identità religiosa civile, culturale (la Patria/Nazione): la lotta della destra diventa allora quella per la tradizione offesa per l’affermazione di valori ritenuti minacciati rifiutando così l’accoglienza di stili di vita nuovi in un quadro generale di profonda modificazione nel rapporto tra struttura e sovrastruttura che ignora il trasformarsi culturale dei modi della produzione capitalistica (anche se ne sfrutta in termini mediatici la ricaduta nell’innovazione tecnologica in ispecie sul piano della comunicazione).
La sinistra è chiamata a rispondere a questa radicalità ponendo mano a un progetto di sistema che tenga conto della particolarità del caso ma riuscendo al tempo stesso di tenere fermo il concetto di “spazio politico europeo” e di impronta costituzionale.
Non esiste lo spazio intermedio di “ponte” e neppure di adagiamento nell’errore di considerare la governabilità quale punto esaustivo della democrazia liberale.
E’ necessario pensare al rafforzamento dei corpi intermedi (opponendosi alla visione corporativa di “elargizione del potere”) rappresentati sia dai partiti che da sindacati in grado di lottare per un riequilibrio economico tra profitti e salari e di uno Stato forte al punto di saper riproporre servizi sociali intesi come forma concreta e democratica di sicurezza e di uguaglianza : oltre a una politica estera autonoma e al contempo capace di mediazione partendo da un punto che si era sollevato nel corso della campagna elettorale europea e poi abbandonato circa la non coincidenza tra UE e Nato.
La costituzione italiana che rimane punto avanzato rispetto allo schema liberaldemocratico classico per ragioni storiche e politiche garantisce la cornice adatta per questa necessità di contrapposizione, a patto di difendere la forma di governo fondata sulla ridotta e da recuperare centralità del Parlamento (gioca qui il tema della legge elettorale) e la forma di stato unitaria ripensando anche al ruolo delle Regioni che ha subito nel corso degli anni una profonda trasformazione.
Nel sistema politico italiano si ravvedono ancora tracce di questa identità costituzionale ma siamo privi di una soggettività che le traduca in impatto politico immediato.
Respingere l’idea della Costituzione come anticaglia novecentesca; considerarla ancora come fattore di transizione; ricordare sempre che si tratta del frutto di chi l’8 settembre tra sacrifici immensi seppe stare dalla parte giusta della storia