Luigi Pandolfi

A leggere i giornali italiani, pare che a Cernobbio si sia rinnovato il rapporto di fiducia tra imprese (quelle grandi) e Governo. Preparando il terreno per una nuova stagione di austerità, complice anche il nuovo patto di stabilità europeo che l’esecutivo ha sottoscritto in sede di Consiglio, Giorgia Meloni ha sottolineato che «i soldi sono pochi e non si possono buttare». Applausi da parte di Confindustria, che non ha fatto mancare il suo grazie per i soldi che, a suo dire, finora «sono stati spesi bene». Parliamo dei soldi dati alle imprese, naturalmente. A cominciare da quelli di Industria 5.0: 12 miliardi di euro sotto forma di crediti d’imposta, ovvero meno tasse che servirebbero a finanziare la spesa sociale.

Una linea confermata per i prossimi anni. Anche per il 2025 e seguenti i «pochi soldi» prenderanno questa strada. «La prossima manovra aiuterà ancora imprese e famiglie», ha assicurato la Presidente del Consiglio. Un’altra pioggia di sgravi, deduzioni, creditizi d’imposta, taglio delle tasse a chi può e deve pagarle, insomma. In nome di una strana concezione del laissez faire (ricordate il «lasciar fare a chi vuole fare» con cui la Meloni esordì al momento del suo insediamento?). O forse no. Mica siamo ai tempi di Adam Smith. Una cosa è l’ingerenza dello Stato a tutela del lavoro, da contrastare in nome del mercato e della sua intrinseca efficienza, altro è il sostegno, diretto o indiretto, dei governi alle imprese, intorno alle quali ruota l’economia e dalle quali dipende la stessa “creazione” dei posti di lavoro. Un discorso che oggi può essere esteso anche al settore finanziario. Banche e fondi d’investimento devono essere “liberi” di scorrazzare per i mercati globali, ma se qualcosa va sorto gli stati devono intervenire, com’è accaduto con l’ultima crisi finanziaria del decennio scorso. E se grazie a una particolare congiuntura internazionale (pandemia, guerra, inflazione, tassi di interesse fissati dalle banche centrali) le banche fanno più profitti del normale mentre i cittadini, per le stesse ragioni, perdono potere d’acquisto e non ce la fanno a pagare il mutuo? Non è un problema dei governi. Infatti, quello italiano s’è guardato bene dal tassare i cosiddetti extraprofitti degli istituti di credito (nel 2023 gli utili delle banche hanno superato i 40 miliardi di euro). L’aveva promesso, salvo rimangiarsi la parola. Troppo rischioso sfidare il potere dei banchieri.

Imprese, finanza, guerra. Dicevamo che Giorgia Meloni ha messo l’accento sulla “coperta corta” a proposito della prossima legge di bilancio. La politica del rigore riguarderà anche la spesa militare? Non si direbbe. Anche perché l’Europa ha deciso che i soldi spesi per armamenti non verranno computati nel calcolo del deficit. E poi c’è il dato di quest’anno, indicativo della traiettoria che ha preso questa voce di bilancio: 29 miliardi di euro, in aumento del 5,1% rispetto al 2023 e del 12,5% rispetto al 2022. La guerra fa male ai popoli, direttamente con morti e distruzioni; indirettamente, con l’aumento dei costi per l’energia, con l’inflazione, con la svalutazione dei salari. Ma c’è anche chi ci guadagna. Gruppi finanziari e industriali che si compenetrano fino alla confusione dei confini degli uni e degli altri. Un nuovo “complesso militare-industriale-finanziario”, che che sta accumulando profitti stratosferici grazie ai conflitti in corso, dall’Ucraina alla Palestina, fino alle guerre endemiche nel continente africano.

Ma «i soldi sono pochi», ci ricorda la Presidente del Consiglio che viene dal popolo e del popolo si sente. Anzi pochissimi per il sistema sanitario, per l’istruzione, per combattere la povertà. Ah, ecco, la povertà. Nel Paese che «va meglio degli altri in Europa» i poveri assoluti sono ormai 5,7 milioni. Ai massimi da 10 anni a questa parte. Al 9,8% tra gli individui e all’8,5% tra le famiglie, secondo l’Istat (le famiglie, quelle care alla Meloni, insieme alle imprese). Poveri anche se si ha un lavoro. Tra i maggiori Paesi Ue, l’Italia è l’unico posto dove il potere d’acquisto delle retribuzioni dei lavoratori è diminuito anziché aumentare negli ultimi dieci anni (-4,5%). Ma guai a parlare di salario minimo. O, peggio ancora, di una tassa patrimoniale per redistribuire la ricchezza che negli ultimi anni si è accumulata in poche mani.

Nel complesso, nemmeno i tassi di crescita dell’economia lasciano ben sperare per il futuro. Leprevisioni sul PIL per il 2024 indicano un misero +0,6%, con la produzione industriale che a giugno fa registrare un calo di oltre il 3% su base tendenziale (anno su anno). Male anche il fatturato dell’industria e dei servizi, che nello stesso periodo si è contratto del 3,7% in valore e del 3,3% in volumi. Significa che la macchina industriale è quasi ferma (con l’eccezione dell’industria delle armi). Un problema anche per i conti pubblici. Che l’esecutivo vorrebbe puntellare ricorrendo a una nuova ondata di privatizzazioni (obiettivo 20 miliardi). Dopo le quote di Eni e Mps, resterebbero Poste e Ferrovie. Un film già visto, con protagonisti, ancora, i grandi fondi speculativi internazionali.

Interessante, in questo quadro, è osservare il crescente divario tra andamento dei listini di borsa e tassi di crescita dell’economia reale. Anche nel nostro Paese. A fronte di un’economia che ristagna, che non si è mai ripresa seriamente dai tempi della pandemia, gli indici di borsa fanno numeri da record. A Milano siamo ai massimi dal 2008. Significa che l’economia produttiva è sempre più un’appendice del settore finanziario (marxianamente, la prevalenza di D-D’ su D-M-D’: denaro che genera denaro senza passare per il processo produttivo e la vendita di merci). È da quest’ultimo che vengono i profitti stratosferici di cui gode una fetta ristrettissima della popolazione. La causa della crescente polarizzazione della ricchezza e delle diseguaglianze.

Ovviamente, di queste cose al Forum Ambrosetti non se ne può parlare. E allora si dice che «i soldi sono pochi», che «vanno spesi bene», che quel poco che c’è dev’essere incanalato verso le imprese, perché solo le imprese “creano il lavoro” e “fanno cresce l’economia”. Meloni? Fa quello che ha sempre fatto la destra in tutto il mondo e in ogni epoca. Quello che domani potrebbero fare Marine Le Pen in Francia o l’Afd in Germania, definitivamente sdoganate

https://volerelaluna.it/in-primo-piano/2024/09/09/cernobbio-confindustria-applaude-il-governo-amico

Di L.M.

Appassionato sin da giovanissimo di geopolitica, è attivo nei movimenti studenteschi degli anni novanta. Militante del Prc, ha ricoperto cariche amministrative nel comune di Casteldelci e nella C.M. Alta Valmarecchia. Nel 2011 crea il blog Ancora fischia il vento.

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