I vizi degli uomini (estensibili, con qualche variante, alle donne) che sono al potere – o che anelano conquistarlo – sono stati censiti da qualche migliaio di anni e sono scritti in testi profondi che, però, oggi non legge quasi nessuno. Sono anche indicati gli antidoti per contenere questi vizi: regole giuridiche di cui oggi, posto che qualcuno le conosca, raramente se ne avverte l’utilità, specie l’utilità politica. E così di fronte a questi pericoli – persone pericolose – siamo del tutto sprovveduti a causa della nostra ignoranza.
L’ex ministro Sangiuliano ha dimostrato di non saper governare né la propria ambizione né la propria vanità: vizi, direi, tipici di chi cerchi a tutti i costi di far carriera per soddisfare un incontrollabile desiderio di ammirazione, innanzi tutto di auto-ammirazione, come Ambrogio Lorenzetti ci aveva spiegato inserendo, nell’Allegoria del Cattivo Governo affrescata nel Palazzo Pubblico di Siena, quella figura femminea, ritraente la Vanità, che guarda intensamente la propria immagine sullo specchio che ha in mano e con cui si accompagna.
Che così fosse l’ex ministro doveva essere abbastanza evidente se, tempo fa, lo avevo indicato, in questa Rivista, come uno che potesse creare problemi al Presidente del Consiglio, al Governo e, soprattutto, all’Italia. È accaduto. Ma non c’è alcuna particolare attitudine previsionale in chi scrive; solo la constatazione di quel che era palese a tutti o quasi. Non però a Giorgia Meloni; e qua sta la nota più preoccupante di tutta la vicenda, una nota che investe il Presidente del Consiglio in carica che – ma non è la prima volta – sembra non percepire i contesti nella loro integralità e, dunque, talora disporsi a scelte, e a farle, dannose innanzi tutto per lei, oltreché, si capisce, per la “Nazione” (il che è, per noi, la cosa più importante).
È l’ambizione smodata che ha condotto Sangiuliano ad umiliarsi davanti a tutta Italia, anzi davanti a tutto il mondo o quasi, nell’ormai iconica intervista resa al Tg1 il 4 settembre. Una cosa del genere, in Italia, non s’era mai vista (e, speriamo, che non si veda mai più). È certissimo che all’estero non solo avranno abbondantemente riso, ma ne avranno anche tratto l’ennesima prova della cifra macchiettistica dei politici italiani e, temo, anche dei cittadini italiani. Ma Sangiuliano l’aveva tentata soltanto per rimanere in sella, con la benedizione indubitabile di Giorgia. Ma era veramente ipotizzabile che entrambi l’avrebbero sfangata? Ovviamente no, a meno che non si sia capaci di leggere correttamente i contesti: l’intervista ha provato, al di là di ogni ragionevole dubbio, questa incapacità di Genny (ormai fuori e pronto a far danni altrove) e di Giorgia (dentro e pronta a far danni alla sua leadership e, ahimè, all’Italia).
La vicenda è emblematica del grado di inconsapevolezza e, al contempo, di avidità in cui è sprofondata tutta (dico tutta) la politica italiana. Può essere che questa decadenza spettacolare, perché si tratta di sceneggiate diffuse ed esaltate dal sistema mass-mediatico, sia un tratto caratteristico della politica del decadente Occidente. Ma da noi soffia il vento più forte e non è un caso. Si arrivano a dire, ai vertici istituzionali, delle autentiche sciocchezze. Come quella per la quale Sangiuliano sarebbe potuto restare nonostante tutto in quanto egli non avrebbe preso, per omaggiare la fantomatica consulente ministeriale, un soldo dal denaro pubblico. Se questa affermazione fosse inclusa in una barzelletta, potremmo magari plaudire al barzellettiere (anzi, ai barzellettieri). Ma non è così.
L’ex ministro era serissimo e ci credeva. Lui, però, era uno che aveva creduto alla Boccia. Ma anche il Presidente del Consiglio aveva creduto che bastassero le evidenze contabili di Sangiuliano – da lui sbandierate ai quattro venti – per consegnare il pacco al gossip. A parte che il gossip è, mi pare, davvero altra cosa. Ora, avendo noi – una repubblica – dimenticato del tutto (a cominciare dai Costituenti) i fondamentali della tradizione repubblicana, abbiamo anche pensato, rallegrandoci, che basti osservare le leggi penali, magari da interpretarsi nel senso più vantaggioso per noi, per essere a posto: le leggi penali esaurirebbero il campo (largo) dell’etica pubblica. Non esisterebbero doveri se non quelli sanciti dalle leggi; l’uomo virtuoso coinciderebbe con l’uomo osservante delle leggi.
Ma non è così. La soluzione è di tutto comodo per noi e, soprattutto, per i politici. Soprattutto non è così in una repubblica: qui l’etica pubblica è quanto ciascuno di noi può – e deve – fare per gli altri, per la comunità, per lo Stato, anche nel silenzio delle leggi penali. Tutto ciò è scritto da qualche migliaio di anni. La conclusione è che ci sono sfuggite le categorie e non sappiamo più come comportarci; meglio ci comportiamo in un certo modo non accorgendoci che quel modo è scorretto. Vale per tutti. Ma dalla destra al governo ci si sarebbe attesi che la categoria dell’onore pubblico fosse finalmente recuperata. Illusione e illusi coloro che per questo hanno votato Giorgia.
Un’altra coordinata è sfuggita, anche a costoro che si professano conservatori. Una volta contava qualcosa il profilo di competenza. Specie quando si trattasse di scegliere persone all’altezza in settori che non possono essere guidati se non da persone qualificate. Se debbo individuare il ministro della cultura, non posso che muovermi nel novero delle persone che la cultura ce l’abbiano veramente. Domandiamoci – anzi domandiamo a Giorgia – se crede davvero che Sangiuliano fosse sufficientemente titolato e se tale sia il suo successore. Magari, guardare un po’ all’interno delle università pubbliche, no? O gli intellettuali veri, anche quelli non comunisti, sono antropologicamente inaffidabili? Tutti, proprio tutti? Parrebbe proprio così
https://www.lafionda.org/2024/09/09/sangiuliano-ovvero-il-non-profilo-di-un-ministro