Nessun sistema politico in precedenza si è mai proposto di annientare la civiltà e buona parte della popolazione mondiale per sopravvivere: è la strategia del neocapitalismo, l’unico sistema che pone sé stesso prima del bene comune.
Neocapitalismo e catastofe mondiale
– Francesco Erspamer*
Gli unici a non credere che il pianeta sia sull’orlo di una catastrofe ambientale e sociale sono gli imbecilli che si nutrono delle chiacchiere e menzogne spacciate ogni giorno dai media, tutti posseduti da miliardari (e nessuno che protesti).
I miliardari lo sanno benissimo che il loro mondo è in disfacimento e per questo stanno preparandosi al peggio. Anzi, lo stanno attivamente perseguendo in modo da trasformarlo in un vantaggio: provocando sistematicamente la Russia, per esempio, in modo da costringerla o a piegarsi e dunque a diventare anch’essa un protettorato americano che fornisca risorse sufficienti per tirare avanti ancora per qualche decennio, oppure a reagire militarmente.
In questa prospettiva una guerra globale, non importa se nucleare, non è un rischio: è la strategia del neocapitalismo in difficoltà e disposto ad azzerare i problemi per ricominciare avendo il totale controllo di quello che resterà, poco o tanto che sia ma tutto suo.
Del resto, a ricostruire dalle macerie si fanno tanti soldi; a preservare e migliorare quello che c’è, molti meno: per non dire del vantaggio di cancellare le tracce di un passato storico politicamente scorretto perché comunitario (quegli edifici religiosi, quei palazzi costruiti per durare, quelle piazze fatte per incontrarsi, tutta quella inutile cultura).
Nessun sistema politico in precedenza si è mai proposto di annientare la civiltà e buona parte della popolazione mondiale per sopravvivere; non il comunismo, demonizzato dai fanatici del capitalismo e che invece si è lasciato sconfiggere senza far pagare ai vincitori il prezzo che avrebbe potuto esigere; perché il comunismo, al di là dei mezzi usati, aveva come fine il bene dell’umanità.
Forse Hitler avrebbe lanciato bombe atomiche se le avesse avute, anche sulla Germania che pensava, nella sua follia, che lo avesse tradito. Ma il Terzo Reich non aveva la bomba: non la aveva voluta con la convinzione davvero fanatica con cui la vollero Oppenheimer e i piddini americani.
Per cui non sapremo mai cosa avrebbe fatto la Germania; sappiamo invece che gli Stati Uniti la usarono, unico paese nella Storia, e contro un paese in ginocchio, che aveva perso la guerra e che si sarebbe arreso comunque, solo un po’ dopo.
E loro avevano fretta; ma la fretta non è una ragione sufficiente. Come non era una ragione sufficiente la presunzione che occorresse attaccare preventivamente l’Unione Sovietica nel 1962, al tempo della crisi di Cuba, perché i «rossi» avrebbero certamente attaccato.
Se non fosse stato per Kennedy (inferiore al suo mito ma migliore di qualunque altro presidente gli Stati Uniti abbiano avuto da allora in poi e forse anche prima) la terza guerra mondiale sarebbe scoppiata allora.
Significativo che nessuno dei generali, ministri, giornalisti, che garantirono che l’attacco sovietico era imminente e fosse dunque giustificato lanciare i missili per primi, non sia stato impiccato una volta che fu dimostrato che il Cremlino non aveva alcuna intenzione di scatenare una guerra; ma non solo non furono impiccati ma neppure licenziati e vilipesi nei libri di Storia.
Il fatto è che il capitalismo è l’unico sistema che pone sé stesso prima del bene comune (quale che sia la sua definizione), prima degli interessi del paese e del popolo, prima dello stesso genere umano. Perché? Perché il capitalismo non è guidato da intelligenze umane: è da sempre guidato da un’intelligenza artificiale, ossia da numeri, calcoli, statistiche, tecnologie, non solo nella valutazione dei risultati ma anche e soprattutto nelle previsioni.
Al Pentagono, come a Wall Street e come a Silicon Valley, dei mostri educati a Harvard, al MIT (dove ha studiato Draghi, uno di loro) o in altre celebri e ricchissime università, ragionano esclusivamente in termini di interessi, di crescita, di profitti.
Non sanno neppure pensare alla possibilità di accontentarsi, di accettare il fatto che oltre un certo limite non si può continuare e che si starebbe lo stesso bene, tutti, o meglio, tutti meno quel 5-10% della popolazione che sta bene solo quando può avere molto più degli altri e crede di meritarselo.
Quanto all’ipotesi di potersi sbagliare, neppure li sfiora: è da «loser», da perdenti, mentre loro sono, sanno di essere, oggettivi e scientifici oltre che nel giusto. Piuttosto, come ho detto, sono disposti, sentendosi molto razionali, a distruggere il pianeta per permettere poi ai vincenti (che nella loro arroganza non hanno dubbi che sarebbero loro) di continuare a fare l’unica cosa che sanno fare: moltiplicare il denaro investito.
Vanno fermati, a qualunque costo perché qualunque costo sarà inferiore a quello che pagheremo lasciandoli al potere. Ovviamente sono potentissimi e brutali; i massacri di Gaza, politicamente e militarmente inutili, hanno l’unico scopo di confermare che possono permettersi qualsiasi nefandezza, tanto la gente si beve quello che dice la televisione o si distrae con lo sport, l’intrattenimento, il turismo compulsivo e altre pornografie.
Chi minacciasse la loro egemonia verrebbe liquidato senza alcuno scrupolo e nel disinteresse generale. Per cui la lotta non fa fatta direttamente contro di loro, non adesso; prima occorre sviluppare una controegemonia. Sono gli imbecilli che li sostengono che vanno affrontati, combattuti, cambiati.
La resistenza deve iniziare nella vita quotidiana, sostituendo la partecipazione e l’impegno all’individualismo mediatico.
* Dalle riflessioni ‘social’ di Francesco Erspamer, professore di studi italiani e romanzi a Harvard; in precedenza ha insegnato alla II Università di Roma e alla New York University, e come visiting professor alla Arizona State University, alla University of Toronto, a UCLA, a Johns Hopkins e a McGill