Il terribile attacco terroristico israeliano contro il Libano e la Siria attraverso l’esplosione simultanea di migliaia di cercapersone, sembra indicare la volontà di Netanyahu di chiudere i conti con Beirut. Tante le tessere del mosaico che si stanno incastrando, in queste ore, a completare lo scenario di un probabile assalto contro Hezbollah.
Israele stato canaglia: l’attacco terroristico a Libano e Siria
In una delle operazioni più sofisticate e contemporaneamente più criminali mai condotte dall’intelligence israeliana, migliaia di cercapersone utilizzati da funzionari e membri di Hezbollah sono stati hackerati e fatti esplodere quasi simultaneamente. Questo attacco cibernetico, risultato di mesi di preparazione, ha provocato un bilancio devastante: 11 morti e quasi 3.000 feriti, di cui 200 in condizioni critiche.
Tra le vittime, anche l’ambasciatore iraniano in Libano, Mojtaba Amani. L’attacco ha colpito diverse aree dal sud del paese fino a Beirut, lasciando la leadership di Hezbollah scioccata e disorientata. Diverse vittime anche in Siria.
L’esplosione dei 5000 cercapersone è un’azione che, per inciso, sia in Europa che negli USA pare non sia stata giudicata meritevole di una nota ufficiale non diciamo di condanna, ma almeno di biasimo, a parte quella di Petra De Sutter, vice primo ministro del Belgio.
Attacco preparatorio a una possibile invasione israeliana?
L’attacco è stato un duro colpo per Hezbollah, che ha visto la sua prima linea di collegamento diretto crollare, compromettendo la sua capacità di coordinare le operazioni militari.
La scelta del momento non sembra casuale: l’attacco potrebbe rappresentare il preludio a una possibile invasione israeliana del sud del Libano. La situazione geopolitica nella regione è tesa, e la strategia israeliana potrebbe avere l’obiettivo di neutralizzare Hezbollah prima di un’eventuale operazione militare su larga scala.
Netanyahu e il Gabinetto di guerra
Il Primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu sembra determinato a procedere con un’offensiva contro Hezbollah. Una serie di decisioni politiche e militari stanno costruendo un quadro che lascia pochi dubbi sulla direzione in cui Israele si sta muovendo.
Il Gabinetto di guerra israeliano, come riportato dal Jerusalem Post, ha approvato una risoluzione che stabilisce un “nuovo obiettivo strategico”: il ritorno sicuro dei residenti evacuati dalle loro case nel nord di Israele, vicine al confine con il Libano.
Questo è un punto cruciale, poiché la questione dei rifugiati israeliani, circa 70.000 persone costrette a lasciare la Galilea, è ora considerata un “casus belli” di pari importanza rispetto al conflitto con Gaza e alla liberazione degli ostaggi. Netanyahu sta cercando di giustificare un’eventuale guerra preventiva contro Hezbollah, cercando al contempo di mitigare le potenziali reazioni interne e internazionali.
Israele è sotto forte pressione temporale: il Primo ministro ha dichiarato che la questione del nord deve essere risolta prima dell’arrivo degli inviati statunitensi in Medio Oriente, tra cui Antony Blinken, Lloyd Austin e Amos Hochstein. Tuttavia, il tempo a disposizione è ridotto, e all’interno del governo israeliano non vi è unanimità su come procedere.
In questo contesto emerge la figura del Ministro della Difesa, Yoav Gallant, la cui posizione è particolarmente delicata. Gallant è stato in passato uno dei principali sostenitori di un attacco preventivo contro Hezbollah, ma sembra ora esitare, forse influenzato dalla vicinanza all’amministrazione Biden, che non vede di buon occhio un’escalation militare.
Secondo il quotidiano Haaretz, Netanyahu avrebbe considerato la sostituzione di Gallant con Gideon Sa’ar, leader del partito Nuova Speranza, ma il cambio sembra essere stato rinviato a causa della mancanza di tempo per elaborare nuovi piani di guerra. Gallant, dunque, rimane al suo posto, ma solo perché è l’unico in grado di gestire l’imminente attacco.
Il coinvolgimento degli Stati Uniti
Nonostante le divergenze interne al governo israeliano, è evidente che Netanyahu non può permettersi di ignorare le implicazioni geopolitiche più ampie. Gallant, vicino all’amministrazione Biden, ha forse cambiato posizione rispetto al passato per adattarsi alle pressioni internazionali. L’amministrazione statunitense, infatti, sembra essere contraria a un’escalation in Libano, pur riconoscendo la necessità di contenere Hezbollah.
In un clima di crescente tensione, si profilano scenari di instabilità politica in Israele. La sostituzione di Gallant potrebbe essere attuata non tanto per questioni militari immediate, ma per ragioni strategiche di lungo periodo.
L’eventuale ingresso di Gideon Sa’ar nel governo, con un possibile rimpasto che lo vedrebbe alla guida del Ministero della Difesa, rafforzerebbe la posizione di Netanyahu, specialmente considerando il sostegno parlamentare che Nuova Speranza potrebbe portare alla coalizione di governo.
L’ultima preoccupazione di Netanyahu riguarda la possibilità di un contrattacco missilistico da parte di Hezbollah. Secondo fonti vicine all’intelligence israeliana, una recente riunione segreta del Gabinetto di sicurezza avrebbe discusso l’eventualità di un attacco simile a quello condotto lo scorso 25 agosto, quando i razzi e i missili lanciati dal Libano furono distrutti a terra prima di poter colpire obiettivi israeliani.
La paura più grande per Israele è che Hezbollah possa rispondere all’attacco sui civili israeliani, colpendo le zone densamente popolate del nord del Paese. Tuttavia, sembra che la questione degli ostaggi, al momento, sia passata in secondo piano rispetto alla minaccia rappresentata dai missili di Hezbollah