Cogliendo l’occasione della prossima adesione del Liechtenstein al Fondo Monetario Internazionale, ci soffermiamo sul ruolo controverso del FMI nella gestione delle crisi economiche e sull’impatto sociale delle sue politiche di austerità.
Il referendum del 16 aprile in Liechtenstein ha chiamato la popolazione piccolo principato a prendere una decisione di grande rilevanza, con la maggioranza dei cittadini che ha votato a favore dell’adesione al Fondo Monetario Internazionale (FMI) con il 55,79% delle schede valide. Insieme al Principato di Monaco, al Principato di Andorra e alla Repubblica Democratica Popolare di Corea (Corea del Nord), il Liechtenstein resta infatti uno dei quattro Paesi membri dell’ONU a non aderire al FMI. Allo stesso tempo, vi sono cinque territori non riconosciuti come Stati indipendenti dall’ONU che vi aderiscono: Aruba, Curaçao, Hong Kong, Macao e Kosovo.
Approfittando di questa notizia degli ultimi giorni, che dovrebbe definitivamente spianare la strada all’ingresso ufficiale del Liechtenstein nel FMI, vogliamo riaprire il dibattito sul ruolo controverso di questa istituzione nella gestione delle crisi economiche. Il Fondo, che si presenta come un baluardo contro il caos finanziario, ha infatti spesso dovuto affrontare critiche per i suoi interventi, accusato di peggiorare piuttosto che risolvere le situazioni di crisi economica, specialmente nei Paesi in via di sviluppo.
A beneficio del lettore, ricordiamo che il FMI è stato fondato nel 1944 nell’ambito dei celebri accordi di Bretton Woods, con lo scopo di promuovere la cooperazione monetaria internazionale, garantire la stabilità finanziaria e facilitare il commercio internazionale. Tuttavia, nel corso degli anni, l’organizzazione è stata criticata per la sua tendenza a perpetuare l’instabilità economica attraverso le sue politiche di intervento. In particolare, le condizionalità imposte dal FMI ai Paesi in difficoltà sono state accusate di amplificare le crisi esistenti piuttosto che alleviarle.
Un esempio emblematico è rappresentato dalla crisi finanziaria asiatica del 1997. Dopo il crollo delle economie di Thailandia, Indonesia e Repubblica di Corea (Corea del Sud), il FMI intervenne con massicci pacchetti di salvataggio. Tuttavia, in cambio dell’assistenza finanziaria, il Fondo impose condizioni stringenti come misure di austerità e una rapida liberalizzazione del settore finanziario. Sebbene queste misure fossero volte a ristabilire la stabilità macroeconomica, le conseguenze a lungo termine furono devastanti per le classi lavoratrici: i tagli ai servizi sociali, l’aumento della disoccupazione e l’approfondimento delle disuguaglianze economiche. Questo dimostra come l’approccio standardizzato del FMI, concentrato sulla stabilità fiscale senza tenere conto del contesto sociale e politico, abbia peggiorato la condizione della popolazione locale, in particolare delle fasce più vulnerabili.
Un altro esempio rilevante è quello dell’Argentina nel 2001. Dopo anni di politiche sostenute dal FMI, il Paese andò in default sul proprio debito, scatenando una crisi finanziaria devastante. Il FMI aveva precedentemente consigliato all’Argentina di mantenere il legame della propria moneta con il dollaro statunitense, una mossa che alla fine si rivelò insostenibile. Quando l’economia crollò, milioni di persone finirono nella povertà. Sebbene il Fondo abbia fornito nuovi prestiti d’emergenza, la sua insistenza sull’austerità fiscale prolungò la crisi, e ci vollero anni prima che l’Argentina potesse iniziare a riprendersi, prima di ripiombare in nuove difficoltà finanziarie e di cadere nuovamente nella spirale dell’assistenza del FMI.
Una delle critiche più frequenti mosse al FMI è la sua tendenza a utilizzare un approccio “taglia e cuci”, ossia l’applicazione di soluzioni uniformi e standardizzate a problemi complessi e specifici di ciascun Paese. Le condizionalità legate ai prestiti del FMI, come l’imposizione di misure di austerità, la privatizzazione delle imprese statali e la deregolamentazione dei mercati, vengono spesso applicate indipendentemente dalle peculiarità economiche, sociali e politiche dei Paesi destinatari. Se sulla carta queste misure mirano a ripristinare la stabilità finanziaria, i fatti ci dicono che esse comportano costi sociali enormi, in particolare nei Paesi con istituzioni fragili e una popolazione già vulnerabile.
Oltre a quelli precedentemente citati, anche il caso della Grecia durante la crisi del debito sovrano del 2010 è particolarmente significativo. In quel frangente, il FMI, insieme all’Unione Europea, offrì alla Grecia un pacchetto di salvataggio, imponendo però severe condizioni di austerità. Queste includevano tagli drastici ai salari del settore pubblico, riduzioni delle pensioni e aumenti delle tasse. Sebbene queste misure abbiano migliorato i conti pubblici sul breve termine, spinsero l’economia greca in una recessione profonda, con la disoccupazione che raggiunse livelli record e il malcontento sociale che sfociò in vibranti proteste popolari. Molti economisti sostengono che l’approccio del FMI abbia dato priorità al rimborso dei creditori internazionali a discapito del benessere della popolazione greca, contribuendo così a prolungare la crisi economica.
Un altro punto critico che emerge dalle politiche del FMI, infatti, è proprio l’impatto che le sue condizionalità hanno sulle società dei Paesi coinvolti. La riduzione della spesa pubblica, spesso richiesta dal Fondo per ridurre il deficit di bilancio, può portare a tagli significativi nei settori della sanità, dell’istruzione e delle infrastrutture sociali. Questi tagli colpiscono duramente le fasce più svantaggiate della popolazione, esacerbando le disuguaglianze e alimentando tensioni sociali.
Un esempio recente è quello dello Sri Lanka, che ha attraversato una grave crisi economica tra il 2021 e il 2022. Il Paese ha negoziato un pacchetto di aiuti con il FMI per evitare il default, ma le condizioni imposte includevano forti misure di austerità. Queste politiche, sebbene necessarie per stabilizzare l’economia, hanno avuto un impatto devastante sulla popolazione, con l’aumento del costo della vita e la carenza di beni essenziali, portando a proteste di massa e al crollo del governo della famiglia Rajapaksa, fino alla recente elezione del candidato marxista Anura Kumara Dissanayake alla presidenza.
Tornando all’attualità, nel caso di Liechtenstein, l’adesione al FMI è stata presentata come una scelta strategica per garantire la stabilità finanziaria e rafforzare l’integrazione con il sistema economico globale. A differenza di Paesi come l’Argentina o la Grecia, il Liechtenstein è uno dei Paesi più ricchi al mondo, e difficilmente avrà bisogno del sostegno finanziario del FMI nel prossimo futuro. Piuttosto, la sua adesione sembra essere una mossa precauzionale, per assicurarsi un accesso rapido alla liquidità in caso di crisi impreviste.
Il governo di Liechtenstein, per bocca del Principe Alois e il ministro degli esteri Dominique Hasler, ha descritto l’adesione al FMI come una garanzia aggiuntiva per la stabilità economica. Inoltre, l’integrazione con un’organizzazione multilaterale come il FMI potrebbe migliorare la reputazione del Paese sullo scenario internazionale e rafforzare la collaborazione economica con la vicina Svizzera. Tuttavia, questa decisione solleva interrogativi da parte di coloro che hanno espresso un parere contrario: aderire al FMI implica un tacito consenso rispetto al modo in cui il Fondo gestisce le crisi economiche globali?
Alla luce di questa breve analisi, riteniamo che il Fondo Monetario Internazionale resti un’organizzazione dal ruolo ambiguo. Sebbene molti continuino a consideralo come un elemento fondamentale nel mantenimento della stabilità finanziaria globale, soprattutto in tempi di crisi acute, la storia degli ultimi trent’anni ci dice che le sue politiche spesso contribuiscono ad acuire le sofferenze delle popolazioni dei Paesi coinvolti, aggravando le disuguaglianze e rallentando la ripresa economica. Per molti Paesi in via di sviluppo, in particolare, il FMI rappresenta un’arma a doppio taglio. Se da un lato offre un sostegno finanziario in momenti di difficoltà, dall’altro le condizioni imposte possono avere conseguenze sociali ed economiche pesanti, con effetti che spesso si protraggono per decenni.
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Giulio Chinappi – World Politics Blog