Negli ultimi giorni, la situazione a Gaza, specialmente nella città di Jabaliya, ha raggiunto un livello drammatico di devastazione e sofferenza umanitaria. La città e le aree circostanti sono diventate teatro di bombardamenti intensivi, demolizioni e dislocazioni forzate, trasformando l’intero territorio in una zona di guerra. Colpita duramente dall’offensiva israeliana, Jabaliya è simbolo di una crisi che mette a nudo l’enormità della tragedia in corso.
Distruzione e sofferenza a Jabaliya: la crisi umanitaria nella Striscia di Gaza
L’intensificarsi dell’azione israeliana ha colpito duramente le infrastrutture vitali per la popolazione civile. Tra gli obiettivi più colpiti, l’ospedale Kamal Adwan, uno dei principali punti di cura della regione, che ha subito pesanti bombardamenti.
L’attacco ha causato 150 tra morti e feriti gravi, inclusi 14 bambini. Lo scenario all’interno dell’ospedale è drammatico: la carenza di risorse mediche e di personale rende impossibile garantire assistenza tempestiva a tutti i feriti, molti dei quali non riescono a sopravvivere alle gravi ferite riportate.
I medici e gli operatori sanitari descrivono una situazione di disperazione, con decine di persone che perdono la vita quotidianamente a causa dell’impossibilità di trasferire i feriti o curarli efficacemente.
La crisi colpisce anche il sistema educativo, poiché le scuole, che spesso fungono da rifugi per sfollati, non sono immuni dalla distruzione. Nell’ultima ondata di attacchi, una scuola situata a Nuseirat è stata colpita, causando la morte di almeno 17 persone.
Le scuole e gli edifici destinati a ospitare civili sono spesso bersagliati, con la giustificazione di presunti legami con centri di comando nemici. Questa situazione lascia migliaia di famiglie sfollate e senza alcun rifugio sicuro, nemmeno nelle zone centrali e meridionali di Gaza.
Jabaliya: un massacro pianificato
Jabaliya, uno dei principali campi profughi della Striscia, ha subito un duro assedio durato settimane, in cui le forze israeliane hanno bombardato scuole e case e incendiato interi quartieri.
Questo attacco sistematico ha causato un “bagno di sangue” definito tra i più gravi da almeno un anno. Secondo fonti palestinesi e operatori umanitari, le vittime del recente bombardamento di Jabaliya sono in gran parte civili, inclusi molti bambini.
Il bilancio provvisorio è di almeno 100 morti, con centinaia di feriti e operazioni di soccorso che si rivelano sempre più difficili a causa del persistente fuoco israeliano.
L’allontanamento forzato e il “Piano dei Generali”
Negli ultimi venti giorni, il nord di Gaza è stato teatro di operazioni militari che hanno spinto decine di migliaia di palestinesi a spostarsi verso il sud e il centro della Striscia. Con cibo e acqua scarse, e i rifornimenti umanitari che arrivano con il contagocce, la popolazione vive uno stato di emergenza assoluta.
Gli osservatori internazionali hanno riferito dell’esistenza di un presunto piano israeliano – il cosiddetto “Piano dei Generali” – che prevede la creazione di una zona cuscinetto disabitata a nord di Gaza per poi renderla disponibile ai coloni israeliani. Sebbene Tel Aviv neghi ufficialmente questo progetto, l’ipotesi di uno spopolamento sistematico della regione continua a trovare riscontro nei fatti, mentre le autorità israeliane accusano Hamas di ostacolare l’evacuazione volontaria dei civili.
Fosse comuni e accuse di genocidio
L’escalation dei bombardamenti ha sollevato accuse di genocidio, sostenute da prove sempre più inquietanti. In diversi ospedali e campi di rifugiati, sono state scoperte fosse comuni contenenti centinaia di corpi. Secondo un’inchiesta condotta dalla giornalista palestinese Nour Swirki, nei pressi delle principali cliniche palestinesi sono stati ritrovati 520 corpi, molti dei quali appartenenti a persone giustiziate, con segni evidenti di maltrattamenti. L’ONU ha confermato la scoperta di sette fosse comuni a Gaza, indicando una possibile escalation dei crimini contro l’umanità.
Le immagini dei civili massacrati e delle famiglie che fuggono portano a un crescente dibattito internazionale sulle responsabilità dell’assedio e dei massacri. La Corte Penale Internazionale ha già avviato un’inchiesta su possibili crimini di guerra, raccogliendo testimonianze di personale medico e umanitario che lavora in condizioni di estremo rischio. Tra le accuse, vi sono quelle di genocidio, crimini di guerra e crimini contro l’umanità.
Il ruolo degli Stati Uniti
La risposta diplomatica americana, guidata da Antony Blinken, si trova in una situazione ambigua. Da un lato, l’amministrazione statunitense chiede una tregua, ma dall’altro mostra difficoltà a esercitare una reale pressione su Israele.
Durante una recente visita a Doha, Blinken ha annunciato che presto si terranno negoziati per una tregua in Qatar, coinvolgendo anche una delegazione israeliana guidata dal capo del Mossad. Tuttavia, l’attuale primo ministro israeliano, Benyamin Netanyahu, non ha ancora accettato una cessazione del conflitto, dichiarando che Israele non si fermerà fino al raggiungimento dei suoi obiettivi militari.
L’incertezza riguardo a un cessate il fuoco solleva dubbi sull’efficacia della diplomazia americana, mentre si aggrava la crisi umanitaria nella Striscia di Gaza