Il comitato aziendale del gigante automobilistico tedesco Volkswagen ha confermato l’intenzione di chiudere tre stabilimenti in Germania. Lo ha dichiarato ieri la presidente del Consiglio di fabbrica del Gruppo, Daniela Cavallo, ai dipendenti del più grande stabilimento della casa automobilistica a Wolfsburg, aggiungendo che nessuna fabbrica è al sicuro e che si prevedono forti ridimensionamenti su larga scala. La decisione di Volkswagen, che non ha precedenti in 87 anni di storia e rappresenta un durissimo colpo per l’occupazione tedesca, è motivata dagli elevati costi dell’energia e della manodopera, dalla forte concorrenza asiatica, dall’indebolimento della domanda in Europa e Cina e da una transizione elettrica che si è rivelata più lenta del previsto. Con circa 300.000 dipendenti nel Paese, infatti, la possibile chiusura delle fabbriche potrebbe generare decine di migliaia di licenziamenti. Mentre il governo di Berlino si è affrettato a invitare l’azienda a preservare i posti di lavoro, appare chiaro che la situazione in cui versa il colosso tedesco sia il segno più tangibile di una crisi profonda che, come dimostrano i dati, affligge l’intera industria automobilistica europea.

«Il Consiglio di Amministrazione vuole chiudere almeno tre stabilimenti Volkswagen in Germania», ha reso noto domenica mattina Daniela Cavallo davanti a migliaia di lavoratori, aggiungendo che la Volkswagen prevede di tagliare gli stipendi di almeno il 10% e di congelare le retribuzioni sia nel 2025 che nel 2026. Il tentativo sarebbe infatti quello di risparmiare 4 miliardi di euro. IG Metall, il più grande sindacato metalmeccanico tedesco, ha veementemente criticato i piani dell’azienda, ritenendo che minaccino l’intera base occupazionale di Volkswagen e che danneggino irreparabilmente il settore industriale tedesco. «Che Volkswagen sia in una situazione difficile è risaputo, ma per ora non ci sono notizie ufficiali e dobbiamo aspettare che VW chiarisca», ha dichiarato in conferenza stampa il portavoce del cancelliere tedesco Olaf Scholz, Wolfgang Buechner, evidenziando che il cancelliere ha già affermato nelle scorse settimane che «le eventuali decisioni sbagliate  del management non debbano ricadere sulle spalle dei lavoratori e che si debbano mantenere i posti di lavoro». Nel frattempo, è già partita la mobilitazione, con migliaia di lavoratori che si sono radunati a Wolfsburg, dove l’azienda ha sede da quasi nove decenni. I manifestanti, che si sono fermati per un’ora bloccando la produzione, hanno suonato corni e fischietti, protestato contro la possibile chiusura degli impianti.

La crisi in atto in WV è il chiaro sintomo delle più ampie criticità che affliggono il settore europeo dell’auto, aggravate dalla complessità della transizione energetica e dall’instabilità geopolitica. In passato, l’azienda automobilistica tedesca ha investito massicciamente nei veicoli elettrici, ma senza ottenere i risultati sperati, perdendo invece terreno in Cina e lottando con costi di produzione elevati. Le difficoltà si sono esacerbate in un contesto in cui la domanda di auto è scesa del 20% rispetto ai livelli pre-Covid nel continente europeo, dove il settore non riesce più a garantire la sostenibilità degli attuali livelli di produzione. D’altronde, quasi un terzo dei principali impianti di autovetture delle cinque più grandi case automobilistiche europee – BMW, Mercedes-Benz, Stellantis, Renault e VW –, l’anno scorso sono stati sottoutilizzati, producendo meno della metà dei veicoli che hanno la capacità di produrre. Ponendo la lente di ingrandimento sul nostro Paese, non si può che evidenziare come la produzione di Stellantis, nel primo semestre dell’anno, sia calata di oltre il 25%.

[di Stefano Baudino]

Di L.M.

Appassionato sin da giovanissimo di geopolitica, è attivo nei movimenti studenteschi degli anni novanta. Militante del Prc, ha ricoperto cariche amministrative nel comune di Casteldelci e nella C.M. Alta Valmarecchia. Nel 2011 crea il blog Ancora fischia il vento.

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