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Con BRICS Pay i Paesi emergenti vogliono liberarsi dalla dipendenza dal dollaro, dall’egemonia Usa e dal potere dei grandi fondi

Alessandro Volpi

Tra i vari temi discussi nell’incontro dei Brics in Russia ne è emerso uno di particolare rilievo. Dal vertice di Kazan esce, rafforzata, l’idea di un sistema di pagamento alternativo allo Swift, il sistema oggi largamente prevalente. Si tratta di una soluzione ancora fragile che dovrebbe legarsi alla dedollarizzazione. Un processo assai complesso fino a quanto i grandi player come la Cina avranno una bilancia commerciale decisamente attiva nei confronti degli Stati Uniti. E realtà come India e Brasile saranno ancora profondamente legate alla finanza delle principali Borse internazionali.

Tuttavia la piattaforma programmatica discussa al vertice prevede, prima ancora della creazione di una valuta vera e propria, dotata di credito e convertibilità internazionali, la definizione di varie tappe per la nascita di una unità contabile comune. E di un sistema di pagamenti internazionali in valute digitali con una regolamentazione e criteri di funzionamento diversi da quelli “occidentali”. In sintesi, il progressivo abbandono del dollaro potrebbe avvenire con una gradualità destinata a favorire l’acquisizione di una reale autonomia degli stessi Brics nel loro insieme.

BRICS Pay, una blockchain distinta dal dollaro

I pagamenti, secondo quando ipotizzato a Kazan infatti, avverranno su una blockchain detta BRICS Pay totalmente distinta dal dollaro, che permetterebbe a questi Paesi, dopo aver acquisito il controllo delle proprie economie reali, di dotarsi di uno strumento in grado di liberarli dalle oscillazioni e dalle speculazioni operate dai grandi player finanziari sui mercati monetari. Spesso assai dannose per la stabilità dei prezzi delle loro bilance commerciali. In merito a questo tema, vale la pena concentrare l’attenzione su chi siano i “proprietari” di Swift, il sistema attualmente vigente.

I due principali soci sono Euroclear e Clearstream. Il primo ha sede legale in Belgio ed è un’emanazione di Jp Morgan – quindi delle Big Three. La seconda è partecipata da una serie di grandi fondi, a cominciare da Vanguard, e ha sede in Lussemburgo. Alla luce di ciò, forse, i membri dei Brics non sbagliano a creare un sistema alternativo a uno che si regge su paradisi fiscali e fondi. Inoltre, la riforma del mercato unico di capitali, auspicata dal Rapporto Draghi, potrebbe modificare anche la proprietà di Swift. Rendendola ancora di più una realtà totalmente nelle mani di un unico grande soggetto finanziario con tratti apertamente monopolistici

I ruolo dell’economia nelle elezioni Usa

Nelle valutazioni prodotte a Kazan incide poi un dato più generale dell’economia globale. Il vincitore o la vincitrice delle prossime elezioni americane dovrà fare i conti con alcuni elementi di fondo dell’economia statunitense. In primo luogo dovrà decidere come affrontare la questione del costante ingigantirsi del debito federale che ha superato i 36mila miliardi di dollari. Pari al 121% del PIL. E che cresce di mille miliardi di dollari ogni 60 giorni.

Questa montagna di debiti, con cui il governo degli Stati Uniti finanzia una imponente spesa federale, è per circa il 70% collocata negli Stati Uniti, con un ruolo rilevante di fondi pensione, fondi di investimento e banche. Attualmente nelle mani di pochissime società di gestione del risparmio. La rimanente parte è venduta all’estero, con una percentuale importante in mano a un numero molto limitato di soggetti. A cominciare dal Giappone, con oltre 1300 miliardi. Seguito da Taiwan, Canada, Francia e India.

La caduta dell’impero americano

Naturalmente per finanziare questo debito così grande sono necessari tassi di interesse remunerativi che dipendono in larga misura dalla prerogativa del Tesoro degli Stati Uniti di pagare simili interessi attraverso la dollarizzazione. È invece ormai scomparsa dalla lista dei compratori di debito Usa la Cina. Un segnale non certamente favorevole per la stessa dollarizzazione. Sempre più minacciata dalla sopra ricordata ricerca di una autosufficienza monetaria non solo cinese, ma del complesso dei Paesi Brics.

Un passaggio siffatto può rendere assai complesso anche un ulteriore elemento che caratterizza l’economia Usa, costituito da una posizione finanziaria netta passiva per oltre 21mila miliardi di dollari. La piattaforma di Kazan dunque sembra avere ben chiara la dipendenza degli Stati Uniti dalla dollarizzazione. Una dipendenza che anche la sola prospettiva di un sistema di pagamenti alternativo può rendere decisamente problematica. E può trasformare nella causa evidente di un indebolimento profondo di ogni pretesa egemonica a stelle e strisce

Di L.M.

Appassionato sin da giovanissimo di geopolitica, è attivo nei movimenti studenteschi degli anni novanta. Militante del Prc, ha ricoperto cariche amministrative nel comune di Casteldelci e nella C.M. Alta Valmarecchia. Nel 2011 crea il blog Ancora fischia il vento.

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