La violenza economica di genere è un freno all’emancipazione delle donne e può essere un utile campanello d’allarme per altri abusi
Nel 2024 nel nostro Paese ci sono stati 104 Femminicidi Lesbicidi Transcidi (dati dell’8 novembre). Nel 2023 sono state 120 le donne uccise in Italia; più della metà (63) per mano del proprio partner. I primi due semestri di quest’anno hanno visto un incremento delle chiamate al numero di emergenza 1522. Nei soli primi tre mesi del 2024 c’è stato l’83,5% di contatti (17.880). Nei successivi tre il numero è stato raggiunto dal 57,4% in più di donne rispetto all’anno precedente (15.109). Rispetto allo stesso periodo nel 2023, sono aumentati i casi di stalking e diminuiti quelli di violenza fisica.
La violenza sulle donne è un fenomeno complesso, composito. È violenza quella fisica, ma anche gli abusi sessuali, quelli psicologici. Sono ritenute violenza le minacce a compiere azioni, la coercizione o la privazione di libertà. Sono violenza alcuni atteggiamenti nei luoghi di lavoro, in quelli accademici, ma anche per strada, al supermercato, a bordo dei mezzi pubblici.
Parliamo di violenza economica di genere
Come testata con lo sguardo orientato all’economia sostenibile e alla finanza etica, il 25 novembre abbiamo scelto di parlare di violenza economica di genere, una forma di violenza più subdola, spesso meno riconosciuta perché radicata nell’educazione, nella cultura generale, nelle tradizioni familiari. Una forma di violenza che però è utile imparare a riconoscere perché un freno all’emancipazione delle donne. Ma anche perché spesso pone le basi per altre forme di abuso, perché può essere un utile campanello d’allarme.
È vittima di violenza economica di genere il 33% delle donne che si rivolgono a un centro antiviolenza. Il 49% delle donne intervistate per una ricerca di WeWorld Onlus sul tema ha dichiarato di averla subita almeno una volta nella vita. È accaduto al 67% di quelle che hanno vissuto un divorzio o una separazione. Più di una su quattro ha subito le decisioni finanziarie di qualcun altro.
In che misura le donne del nostro Paese siano esposte a prevaricazione e violenza economica di genere risulta chiaro già solo guardando ai dati sull’occupazione e sul coinvolgimento nella gestione finanziaria familiare da giovanissime. Nel 2020 15.559 donne hanno intrapreso un percorso di uscita dalla violenza. Quasi la metà non era autonoma dal punto di vista economico.
La violenza economica di genere in Italia
Il 4 ottobre 2024 la Capo Dipartimento Tutela della clientela ed educazione finanziaria della Banca d’Italia Magda Bianco ha relazionato alla Camera dei Deputati sul tema, riportando i dati più aggiornati a nostra disposizione.
A giugno di quest’anno il tasso di partecipazione femminile al mercato del lavoro, in Italia, era del 58%; quello di occupazione era il 53,2%. In entrambi i casi siamo sotto la media europea, rispettivamente del 70,8 e del 66,3%. Le donne che lavorano non se la passano meglio. Nonostante nel 2023 la quota di part-time involontari sia scesa al di sotto del 10%, la quota di quelli destinati a donne è tripla rispetto a quelli firmati dagli uomini. Spesso a questi part-time si associano contratti a tempo determinato.
Le donne sono impiegate in gran parte dei casi in settori a bassa remunerazione, spesso lavori di cura (segregazione orizzontale), ed escluse da ruoli apicali sia nel pubblico sia nel privato (segregazione verticale). Le retribuzioni – e qui siamo in linea col resto d’Europa – sono più basse se sei donna. La relazione annuale del 2022 della Banca d’Italia quantifica questo gap nel privato. Nel 2021 una donna guadagnava l’11% in meno rispetto a un suo collega uomo.
Nella formazione e nel lavoro ci sono gli anticorpi alla violenza economica di genere
Occupazione e inclusione finanziaria sono strettamente legate. Lo vediamo nell’Indagine sull’alfabetizzazione finanziaria degli adulti in Italia di Banca d’Italia. L’89% delle donne ha accesso a servizi finanziari di base come conti correnti, carte per il pagamento o strumenti per il pagamento telematico. Gli uomini sono il 93%. Se però guardiamo a lavoratori dipendenti e autonomi, il divario si annulla.
È nella formazione e nel lavoro che si radicano gli anticorpi alla violenza economica di genere. Le diverse forme che essa può assumere, come accesso alle informazioni sul reddito familiare, limitazione nell’utilizzo dei propri guadagni o controllo delle proprie spese, sono percepite raramente. Spesso sono innestate già dall’educazione familiare. Si manifesta attraverso i comportamenti di genitori, fratelli o altri parenti, oltre che dei partner. Lo mostrano i risultati dell’Indagine internazionale OCSE-PISA 2022. Il 70% delle quindicenni italiane intervistate ha espresso disagio nel parlare di questioni economiche, a fronte del 40% dei coetanei maschi. Le adolescenti hanno riportato che in famiglia sono poco coinvolte sul tema e, se lo sono, è in maniera marginale. Con le ragazze di parla di soldi in riferimento ad acquisti da effettuare, mentre i ragazzi sono messi a parte di questioni più ampie, sono invitati a commentare le notizie di economia o a esprimersi sui budget familiari.
La violenza economica di genere dal punto di vista normativo
Dal punto di vista normativo, l’Italia è particolarmente indietro. Non esiste una definizione legislativa ufficiale, anche se è menzionata nell’articolo 3 della legge 119 del 2013 tra gli esempi di violenza domestica.
A livello internazionale è stata riconosciuta nel 2011 nella Convenzione del Consiglio d’Europa sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza economica. È la cosiddetta Convenzione di Instabul. L’articolo 3 definisce violenza nei confronti delle donne «una violazione dei diritti umani e una forma di discriminazione contro le donne, comprendente tutti gli atti di violenza fondati sul genere che provocano o sono suscettibili di provocare danni o sofferenze di natura fisica, sessuale, psicologica o economica, comprese le minacce di compiere tali atti, la coercizione o la privazione arbitraria della libertà, sia nella vita pubblica, che nella vita privata».
Per l’Organizzazione delle Nazioni Unite è violenza economica «rendere o tentare di rendere una persona finanziariamente dipendente mantenendo il controllo totale sulle risorse finanziarie, negando l’accesso al denaro e/o vietando di frequentare scuola o lavoro». L’ONU inoltre annovera tra gli strumenti di prevenzione e contrasto la partecipazione ai corsi scolastici e al mondo del lavoro.
Le banche possono avere un ruolo maggiore nel contrasto. E dovrebbero averlo
Le banche sono attori coinvolti troppo poco nella prevenzione e nel contrasto del fenomeno. Eppure hanno a disposizione una serie di strumenti che potrebbero dare loro un ruolo proattivo. Innanzitutto dal punto di vista del monitoraggio. Una raccolta oculata di dati potrebbe essere uno strumento utile a disegnare i contorni del fenomeno, verificarne la pervasività. E a dare una base sulla quale intervenire. Formare il personale bancario a riconoscere i segnali di violenza economica, rafforzare l’accesso al credito e alla gestione del risparmio per le donne sono altri strumenti utili.
Le banche potrebbero costruire percorsi di collaborazione strategica con i Centri Antiviolenza, cui potrebbero offrire formazione e servizi di inclusione finanziaria, oltre a finanziare i progetti di inclusione lavorativa per donne provenienti da percorsi di violenza.
Monetine contro la violenza economica
Il progetto Monetine è un’iniziativa educativa del gruppo Banca Etica che prevede la formazione del personale bancario per la gestione dei casi di violenza economica. L’avvio delle attività ha visto la strutturazione e diffusione di un questionario conoscitivo, chiedendo al personale a diretto contatto con i clienti informazioni utili per meglio comprenderne i contorni. Dopo la raccolta dati, è prevista la formazione di tutto il personale del gruppo.
Seguirà poi un modulo formativo specifico, rivolto al personale a diretto contatto con la clientela. A questo verranno trasmesse le competenze necessarie a riconoscere i segnali di violenza economica di genere, gli strumenti per identificarla e quelli per intervenire. Il progetto prevede la strutturazione di una cabina di regia. Il gruppo, composto dal personale delle funzioni di controllo e dell’ufficio legale, coordinerà le azioni di intervento e fornirà supporto alle clienti.
Al primario obiettivo di supporto alle vittime di violenza economica di genere, Monetine aggiunge quello di divulgazione e sensibilizzazione. All’interno di Banca Etica, del suo gruppo, ma anche all’esterno. L’obiettivo è «rafforzare l’autonomia economica delle donne e di favorire una maggiore consapevolezza sul tema della violenza economica».