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Zela Satti

L’operazione Albania, annunciata come un pilastro della gestione dei flussi migratori italiani, si è rivelata un clamoroso fallimento logistico, politico e giuridico. Presentata come un modello di efficienza e rigore, si è trasformata in un pasticcio amministrativo e un enorme spreco di risorse pubbliche.

Operazione Albania, la smobilitazione di Medihospes: un sintomo del flop

Al centro di questa debacle c’è Medihospes, l’ente incaricato di gestire i centri di Schengjin e Gjader. Gli operatori della cooperativa, inizialmente inviati per assistere i richiedenti asilo, sono tornati in Italia a causa dell’assenza di migranti da “valutare” o “ospitare”. In pratica, i veri rimpatriati dell’operazione sono stati gli stessi operatori.

L’intera infrastruttura è ora mantenuta da un numero ridotto di personale amministrativo e sanitario, necessario solo per garantire la manutenzione minima. L’incertezza pesa sui contratti dei lavoratori, mentre il contratto stesso tra la Prefettura di Roma e Medihospes, a sei mesi dall’aggiudicazione, resta “fantasma”, come rivelato da Altreconomia.

Numeri del fallimento: risorse sprecate e migranti assenti

Le ambizioni iniziali prevedevano la presenza di 295 agenti di polizia, supportati da circa 800 tra traduttori, mediatori culturali, medici e psicologi. Tuttavia, la realtà racconta ben altro: il personale si è ridotto a meno di 100 unità operative e nel centro di Gjader sono transitate appena 18 persone. Un numero ridicolo rispetto alle aspettative, che rende evidente lo spreco di risorse impiegate per mantenere strutture praticamente vuote.

Ad oggi, per ogni migrante portato in Albania – nel tragicomico balletto di partenze e ripartenze visto qualche settimana fa, l’Italia spende 85 mila euro.

Oltre alla cattiva gestione, l’operazione è stata penalizzata da problemi strutturali e climatici. Le condizioni meteo invernali complicano i trasferimenti via mare, e gli spazi della nave Libra, utilizzata per il trasporto dei migranti, si sono dimostrati inadeguati per condizioni avverse.

Ma i problemi principali restano di natura giuridica. La base legale per i trattenimenti in Albania, ovvero la lista dei “paesi sicuri”, è al centro di numerosi contenziosi legali. La Corte di Giustizia dell’Unione Europea sta esaminando il caso, sollevando dubbi sulla conformità delle decisioni italiane alle normative comunitarie.

Reazioni e contromosse

Il governo italiano, guidato dalla linea dura del Ministro dell’Interno Matteo Piantedosi, tenta di difendere il modello nonostante i ripetuti insuccessi. L’emendamento “Musk”, recentemente approvato, sposta la competenza delle convalide dei trattenimenti dalle sezioni specializzate in immigrazione alle Corti d’appello, con l’obiettivo di superare i numerosi dinieghi ricevuti finora. Tuttavia, gli esperti dubitano che queste modifiche possano risolvere le problematiche legali e politiche sottostanti.

Il fallimento rischia di costare caro non solo politicamente ma anche economicamente. La Corte dei Conti potrebbe aprire procedimenti per danno erariale, mettendo ulteriormente in difficoltà il governo. Intanto, l’argomento Albania sembra essere stato accantonato a livello politico, mentre il progetto rischia di congelarsi con l’arrivo dell’inverno.

Di L.M.

Appassionato sin da giovanissimo di geopolitica, è attivo nei movimenti studenteschi degli anni novanta. Militante del Prc, ha ricoperto cariche amministrative nel comune di Casteldelci e nella C.M. Alta Valmarecchia. Nel 2011 crea il blog Ancora fischia il vento.

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