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Ferdinando Pastore

Il Senato ha approvato il disegno di legge che introduce lo sviluppo di competenze non cognitive e trasversali nei percorsi scolastici e di formazione professionale, le cosiddette ‘life skills‘, segnando un nuovo capitolo per l’educazione in Italia. In una non sorprendente comunanza di interessi bipartisan, ha reso la pedagogia d’impresa e di mercato la missione ideologica dell’istituzione scolastica.

La scuola totalitaria delle life skills

Antonio Gramsci intendeva resistere alla spontanea solidarietà verso le classi popolari, quando queste percepivano nell’organizzazione scolastica un imbroglio pianificato dall’alto contro i figli dei proletari.

Il loro restare indietro rispetto ai rampolli borghesi non doveva scatenare un desiderio di semplificazione della didattica e di “render facile ciò che non può esserlo senza essere snaturato”. Il nesso tra emancipazione di classe e accesso all’alta cultura, con la fatica che quello studio avrebbe comportato, era elemento essenziale per un orizzonte progressista.

Solo in quel modo il proletariato avrebbe potuto formare una propria classe dirigente, autonoma rispetto a quella borghese e pienamente cosciente del proprio ruolo storico.

Progressivamente però, grazie alla diffusione di un certo spirito pauperista intimamente connesso alla tradizione militante del cattolicesimo sociale e alla nuova visione antiautoritaria della controcultura libertaria, quello spirito di sacrificio funzionale all’elevazione di classe fu rimesso in discussione dal più consolante “tutto fa cultura”.

Qualsiasi esperienza di vita poteva diventare materia letteraria in un contesto in cui emarginazione, alienazione e borgata sottoproletaria assumevano all’improvviso la dignità del folklore.

La legge del desiderio personale superava ogni tipo di proposizione etica e anche la Scuola perdeva la consapevolezza della propria missione nel momento in cui l’approccio all’alta cultura e l’incoraggiamento alla crescita del senso critico si disperdevano in un rassicurante cerimoniale decorativo.

La sostanza del nuovo credo didattico diventava facilitare l’inclusione, democratizzare il percorso scolastico psicologizzando l’esperienza formativa.

Perché questo nuovo e stimolante scopo fosse alla portata di tutti occorreva relativizzare l’importanza di alcune aree del sapere. L’architettura scolastica andava umanizzata, resa agevolmente consumabile e depurata dalle incrostazioni dei traumi adolescenziali, così difficili poi da dipanare.

Nell’armonia pacificata di questo clima, così afrodisiaco per i tanti campi del sapere improvvisamente elevati di rango, fece improvvisa irruzione il vocabolario della pedagogia neoliberale che si servì dell’opera già avviata dalla filosofia controculturale.

L’alta cultura e la didattica non erano sufficienti per la formazione individuale, per la costruzione di un soggetto capace di operare scelte razionali. Occorreva un apparato esterno alla Scuola, composto da imprese e professionisti – quali il manager ascetico, lo psicologo comportamentista, lo scrittore civilizzato, l’influencer di grido – in grado di razionalizzare l’educazione in senso evolutivo.

La Scuola andava aziendalizzata sia negli affari correnti che nella sua missione pedagogica. Gli studenti si misuravano nella nuova veste di clienti e con loro i sempre vigili genitori, i veri sottoscrittori dell’investimento di capitale; gli indirizzi programmatici dovevano essere armonizzati con continue avventure extra didattiche capaci di fornire una doratura al prodotto Scuola e di renderlo appetibile sul mercato concorrenziale ma soprattutto adatte alla somministrazione di spinte gentili per la formazione di un soggetto davvero cosciente della propria imprenditorialità, in grado di percepirsi come agente economico unico responsabile per le proprie scelte, affrancato da un vero e proprio “saper essere”.

Un “saper essere” accomodante, docile e perfettamente compatibile con un canone astratto di impiegabilità. Essenziale improntare l’educazione di questo “saper stare al mondo” alla rimozione continua dell’ostacolo, del negativo e dell’Altro.

La logica esistenziale doveva adattarsi a quella prestazionale e quindi a una linea evolutiva della crescita interna ai meccanismi di mercato. Gli stimoli dati proprio dal mercato funzionano così da carburante perché una personalità sia compiutamente formata e sia adatta a una continua performance curriculare depurata dal senso critico e dalla politicizzazione dell’esistenza.

Con la legge sulle competenze non cognitive, le cosiddette soft e life skills, il Parlamento, in una non sorprendente comunanza di interessi bipartisan, ha reso la pedagogia d’impresa e di mercato la missione ideologica dell’istituzione scolastica.

Ci si prefigura di alimentare, per uno sviluppo personale e professionale, l’amicalità, la coscienziosità, la stabilità emotiva, l’apertura mentale e, perché no, l’educazione sentimentale.

A questo scopo la Letteratura, la Filosofia, la Storia si dimostrano inadatte. Meglio l’applicazione di vademecum standardizzati nei quali i giusti comportamenti saranno dettagliatamente protocollati e prontamente targettizzati.

Le competenze emotive, relazionali e cognitive come la consapevolezza di sé, l’empatia o il problem solving diventeranno delle aspirazioni poste alla stregua di meri obiettivi aziendali, alle quali saranno agganciate ricompense personali o di gruppo.

Una progressiva disumanizzazione della crescita personale perché siano formati dei veri e propri replicanti umani capaci di introiettare la mentalità algoritmica dello spirito d’impresa.

Quel concetto esistenziale, tanto in voga nella California ultra-capitalista, definito mindset che prevede una continua espansione della mente capace di affrontare sfide personali sempre nuove in una continua rielaborazione dell’autostima.

Appare evidente l’incompatibilità di questo impianto educativo con la costruzione di un pensiero realmente critico, con l’emancipazione culturale e sociale delle classi popolari e di conseguenza con un sistema democratico.

La concordia politica trovata per la legge sulle soft e like skills dimostra ancora una volta la completa compenetrazione ideologica tra gli schieramenti politici parlamentari, che al di là delle solite scaramucce, appositamente enfatizzate, condividono la medesima agghiacciante visione del mondo

Di Red

„Per ottenere un cambiamento radicale bisogna avere il coraggio d'inventare l'avvenire. Noi dobbiamo osare inventare l'avvenire.“ — Thomas Sankara

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