Marquez

Oggi possiamo provare disgusto per la “Notte dei Cristalli” o indignarci per le atrocità del ghetto di Varsavia perché, alla fine, i nazisti hanno perso la guerra. Ma nel caso delle stragi di Gaza, senza un momento di svolta come il 9 maggio 1945 all’orizzonte, la storia rischia di essere scritta dagli stessi che quelle atrocità le hanno commesse e giustificate.

Le stragi di Gaza saranno dimenticate?

Le vicende della Striscia di Gaza tra l’ottobre 2023 e il novembre 2024 rappresentano uno dei capitoli più oscuri e controversi della storia contemporanea. Il bilancio è agghiacciante così come l’impotenza di chi si chiede come sia possibile che una cosa del genere avvenga in mondovisione senza un sussulto diplomatico reale. Tutto è concesso nel nome del ‘diritto alla difesa di Israele’.

Ormai è chiaro anche ai macigni che l’IDF attacca deliberatamente e sistematicamente ospedali, ambulanze e personale sanitario a fini terroristici, a Gaza come in Cisgiordania e in Libano.

L’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) ha registrato 498 attacchi israeliani contro ospedali e ambulatori, che hanno provocato 747 morti, 969 feriti e danni a 110 strutture sanitarie. Il dato più emblematico è la distruzione dell’ospedale al-Shifa, il principale presidio sanitario di Gaza, messo completamente fuori servizio dopo due incursioni militari israeliane.

Questi attacchi non si limitano a causare vittime e distruzione: colpiscono il cuore pulsante della società civile. Con 500 operatori sanitari uccisi, 128 sequestrati e trattenuti in prigione, e migliaia di civili privati dell’accesso a cure essenziali, il sistema sanitario della Striscia è stato sistematicamente devastato.

A fronte di tali crimini, è emerso il termine “medicidio”, coniato per descrivere l’eliminazione deliberata delle infrastrutture e del personale medico, un atto che non trova precedenti storici.

La strategia della devastazione

La campagna militare israeliana non si è limitata alla sanità. Gli attacchi hanno preso di mira edifici simbolici come università, uffici pubblici e luoghi di culto, insieme a strutture apparentemente prive di valore militare.

Contemporaneamente, in Cisgiordania, coloni protetti dalla polizia hanno distrutto piccoli esercizi commerciali palestinesi, aggiungendo un ulteriore tassello a un quadro di oppressione sistematica.

Un’altra dimensione di questa strategia si manifesta nel blocco degli aiuti umanitari. Nonostante le scuse ufficiali per i ritardi e le restrizioni, i camion diretti a Gaza sono stati frequentemente sabotati da attivisti israeliani, come testimoniato da numerosi video.

Questo accanimento sembra volto a trasformare Gaza in un deserto inabitabile, spingendo i palestinesi a lasciare i propri territori per pura sopravvivenza.

La stessa dinamica si osserva nell’economia. L’arrivo di lavoratori a basso costo per sostituire la manodopera palestinese indica una strategia chiara: indebolire economicamente le famiglie palestinesi per obbligarle a una scelta impossibile tra la fame e l’esilio.

La memoria e l’oblio

Il quadro descritto solleva un interrogativo inquietante: le stragi di Gaza saranno dimenticate? La risposta dipende da molteplici fattori, tra cui la narrazione mediatica, l’equilibrio geopolitico e la capacità delle società civili di opporsi alla propaganda ufficiale.

Ad oggi, il sostegno incondizionato degli Stati Uniti e il controllo mediatico esercitato da Israele rappresentano una barriera formidabile contro la diffusione di una narrazione alternativa. La storia insegna che i crimini commessi dai vincitori tendono a essere minimizzati o addirittura rimossi dalla memoria collettiva, come accaduto in altre tragedie umanitarie.

Tuttavia, l’evidenza delle atrocità commesse, documentata da video, testimonianze e rapporti indipendenti, costituisce un patrimonio di verità che potrebbe resistere all’oblio.

Il ruolo della controinformazione

La controinformazione, spesso relegata ai margini, ha un ruolo cruciale nel mantenere viva la memoria. Oggi, grazie ai social media e alle reti indipendenti, è più difficile soffocare completamente il dissenso. Anche se i grandi media continuano a ignorare o minimizzare le sofferenze dei palestinesi, la diffusione di testimonianze dirette può alimentare un’opposizione globale sempre più organizzata.

Il silenzio dei potenti, però, rimane assordante. I circuiti clandestini di informazione devono fare i conti con la repressione e con una società occidentale sempre più disposta a tollerare l’orrore se confinato fuori dai propri confini. Eppure, la storia dimostra che anche i regimi più oppressivi possono essere rovesciati. L’arroganza di chi si considera invincibile ha spesso trovato nella resistenza popolare il suo più grande ostacolo.

Le immagini dei bambini uccisi, degli ospedali distrutti e delle famiglie lacerate sono una ferita aperta per chiunque abbia a cuore i diritti umani. La domanda non è solo se queste atrocità saranno ricordate, ma anche se l’indignazione potrà trasformarsi in azione. La speranza risiede in coloro che, con determinazione e coraggio, continuano a denunciare l’ingiustizia.

Forse la memoria di Gaza non sarà cancellata. Forse, nonostante tutto, emergeranno voci capaci di incrinare la propaganda e di imporre una narrazione più giusta. Come accaduto in passato, il ricordo delle vittime potrebbe diventare il seme di una resistenza globale, capace di sfidare i potenti e di riaffermare la dignità umana sopra ogni divisione

Di L.M.

Appassionato sin da giovanissimo di geopolitica, è attivo nei movimenti studenteschi degli anni novanta. Militante del Prc, ha ricoperto cariche amministrative nel comune di Casteldelci e nella C.M. Alta Valmarecchia. Nel 2011 crea il blog Ancora fischia il vento.

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