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Oggi sciopero generale: fatto non usuale attraverso cui CGIL e UIL stanno tentando non solo di porre al centro le questioni salariali, sociali, della prospettiva industriale (come recita la piattaforma di convocazione della giornata) ma anche un recupero di senso del loro essere soggetto di un fronte di lotta e di prospettiva del cambiamento.

Il sindacato confederale da molto tempo non riesce ad esercitare una funzione effettiva di orientamento di massa, appunto di “recupero di senso” della propria azione e della propria presenza in una dimensione che è apparsa di visione sempre più ridotta nella fase dell’immediata post-globalizzazione e dello scivolamento del Paese nella retorica dell’antipolitica e della destra populista.

Adesso si sta tentando di invertire la rotta (CGIL e UIL si stanno trovando a fianco i sindacati di base e non la CISL ormai palesemente tornata nell’alveo anni’50 del sindacato governativo, magari matrice come fu allora di qualche sindacato “giallo”) : non sarà facile ma potrebbe trattarsi della strada giusta.

Ovviamente il quadro degli anni’70 non esiste più: mancano le grandi concentrazioni industriali manifatturiere, la proprietà è lontana e impalpabile mentre impazza una finanziarizzazione senza volto, il quadro internazionale sfugge a una possibile individuazione di “terreno di scontro”, lo Stato – Nazione non funziona più da regolatore dello scambio sociale, la società è parcellizzata percorsa dall’individualismo competitivo, in un evidente declino dell’Occidente si sono evidenziate disuguaglianze incolmabili nei cui interstizi si stanno infilando conflitti di cui in sostanza ignoriamo la natura, quello che un tempo definivamo “lavoro vivo” emerso dalla due rivoluzioni industriali adesso è minacciato dall’innovazione tecnologica e le giovani generazioni se ne allontanano spontaneamente magari sognando improbabili “ritorni bucolici” e “decrescite felici”.

Nella difficoltà di un’Europa sociale e politica che ha perso la centralità dei “30 gloriosi” e di cui è emblematica la crisi tedesca, Europa in crisi anche come appendice dell’impero americano (svanito l’abbaglio della fine della storia che avrebbe dovuto seguire la caduta del Muro di Berlino) l’Italia conta poco, forse nulla: quindi non conta granché neppure lo sciopero generale di oggi.

Si tratta però di un segnale, oltre che di un passaggio di riaggregazione sociale di una certa importanza: un segnale perché sembra non trattarsi di un momento di raccolta su basi meramente corporative (come accade in altri Paesi) ma misurato nel solco di una rimodulazione di presenza e di orientamento.

Ci troviamo nel piccolo di una dimensione ormai provinciale e di un Paese, l’Italia, in forte difficoltà politica non soltanto perchè governata da una destra incapace di muovere un solo passo anche in direzione non gradita dal nostro punto di vista ma soprattutto la difficoltà dell’Italia risiede nell’essere percorsa da un forte sentimento di contrarietà all’agire politico e che tende verso l’assolutizzazione del comando.

Dire di no con fermezza a questa emergenza appare in questo momento il compito del sindacato: il rischio vero è quello di un processo di sostituzione del meccanismo democratico, cioè di un confronto diretto con il potere economico nel quale viene meno l’intermediazione sociale e politica.

Il centro-sinistra italiano per un certo periodo ha cullato l’illusione che la disintermediazione avrebbe portato la governabilità all’altezza della disputa con il potere dell’economia e della tecnica sciogliendo i “lacci e lacciuoli” (come invocava Guido Carli qualche decennio or sono): questo disegno che era il disegno del PD ha causato l’allontanamento sociale e l’esplosione di un meccanismo di rifiuto della funzione politica. Un rifiuto che si era fatto partito rotolando poi tra le spire della realtà di palazzo e causando un trauma che ha spostato l’opinione verso il rifiuto totale o verso la semplificazione di una destra orrenda nella realtà politica e soprattutto nell’espressione culturale diffusa.

Ecco: nella ricerca di senso da parte del sindacato che questo sciopero generale comprende non dovrebbe esserci spazio per una idea di sostituzione della politica e della sua organizzazione più coerente in partiti.

Abbiamo bisogno di tornare alla capacità di rappresentanza ciascuno per la propria parte.

Di Franco Astengo

Lunga militanza politico-giornalistica ha collaborato con il Manifesto, l'Unità, il Secolo XIX,. Ha lavorato per molti anni al Comune di Savona occupandosi di statistiche elettorali e successivamente ha collaborato con la Facoltà di Scienze Politiche dell'Università di Genova tenendo lezioni nei corsi di "Partiti politici e gruppi di Pressione", "Sistema politico italiano", "Potere locale", "Politiche pubbliche dell'Unione Europea".

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