I fantasmi di un ritorno ad un passato autoritario hanno scosso la Corea del Sud quando il presidente Yoon Suk-yeol ha dichiarato la legge marziale. Ma il provvedimento è durato solo cinque ore grazie alla ferma opposizione parlamentare e popolare.
La Corea del Sud (o meglio, Repubblica di Corea) viene generalmente presentata dalla stampa mainstream come un faro di democrazia e modernità in Asia orientale. Proprio per queste ragioni, molti sono rimasti sorpresi quando è improvvisamente diventata teatro di una crisi politica che ha scosso le fondamenta del sistema democratico del Paese, con il presidente Yoon Suk-yeol ha dichiarato la “legge marziale d’emergenza”, scatenando un’ondata di critiche interne e internazionali. Il gesto, descritto come una mossa per “proteggere l’ordine democratico costituzionale”, è stato interpretato da molti come un tentativo autoritario di consolidare il potere. Tuttavia, la pressione del Parlamento e delle proteste popolari, oltre alle dichiarazioni provenienti da importanti alleati internazionali di Seoul, a partire dagli Stati Uniti, hanno costretto Yoon a ritirare rapidamente il provvedimento, lasciando il suo futuro politico in bilico.
In realtà, dalla fine della seconda guerra mondiale fino agli anni ’80, la Corea del Sud è sempre stata governata da giunte militari e dittature di estrema destra, sulle quali si soprassedeva vista l’importanza strategica della Corea per l’imperialismo occidentale, che si alternavano a suon di colpi di Stato e scontri cruenti. Nel maggio del 1980, ad esempio, a seguito di un colpo di Stato militare guidato dal generale Chun Doo-hwan, che aveva già preso il potere alla fine dell’anno precedente, venne imposta proprio la legge marziale in tutto il Paese, al fine di contrastare le proteste studentesche che chiedevano riforme democratiche. Questa decisione comportò la chiusura delle università, il divieto di attività politiche e ulteriori restrizioni alla libertà di stampa.
Il 18 maggio 1980, i cittadini di Gwangju insorsero contro il regime militare, riuscendo temporaneamente a prendere il controllo della città. Chun inviò l’esercito per reprimere la rivolta, causando un bilancio di centinaia, se non migliaia, di vittime. Questo evento, noto come “massacro di Gwangju” rimane uno dei momenti più traumatici e dibattuti della storia sudcoreana, ma non dobbiamo dimenticare quanto accaduto negli anni precedenti sotto la dittatura di Park Chung Hee, arrivato al potere con un golpe nel 1961 e ucciso nel 1979 dal suo amico Kim Jae-gyu, capo del servizio di sicurezza e direttore dei servizi segreti nazionali.
La dittatura militare in Corea del Sud rimase in vigore fino al 1987, quando nuove proteste di massa conosciute come Rivolta Democratica di Giugno, portarono il regime militare a concedere una costituzione più democratica e a introdurre elezioni presidenziali dirette. Da allora, la situazione politica della Repubblica di Corea è sempre rimasta piuttosto stabile, con l’alternarsi dei due principali schieramenti politici al potere, il Partito Minju (Partito Democratico di Corea) di centro-sinistra e la coalizione di centro-destra che attualmente va sotto il nome di Partito del Potere Popolare, alla quale appartiene il presidente Yoon.
Venendo al contesto politico attuale, sin dalla sua elezione nel 2022, Yoon Suk-yeol, ex procuratore generale, ha affrontato un Parlamento (Daehanminguk Gukhoe) dominato dall’opposizione, ovvero dal Partito Minju. Tale situazione è rimasta invariata anche a seguito delle elezioni legislative dello scorso aprile, che secondo gli analisti hanno rappresentato una pesante bocciatura delle politiche dell’attuale presidente, giudicate troppo aggressive nei confronti della Corea del Nord e troppo asservite ai dettati di Washington. Questo ha reso difficile l’avanzamento delle sue iniziative legislative, alimentando tensioni tra l’esecutivo e il legislativo. Recentemente, il conflitto si è acuito in merito alla legge di bilancio per il 2025, con l’opposizione che ha approvato emendamenti ridimensionanti rispetto ai piani iniziali del governo.
A ciò si aggiungono scandali che hanno coinvolto la moglie di Yoon e alti funzionari, oltre a un calo significativo della sua popolarità, dovuto anche alla percezione di un’amministrazione incapace di affrontare questioni chiave come l’inflazione e il caro vita.
È proprio in questo contesto di forte erosione di consensi nei confronti della sua presidenza che, la sera del 3 dicembre, Yoon ha annunciato in diretta televisiva la proclamazione della legge marziale d’emergenza, sostenendo che fosse necessaria per “sradicare le forze anti-statali” e salvare il Paese dal “baratro della rovina nazionale”, accusando l’opposizione di agire per conto di Pyongyang. Il provvedimento prevedeva il controllo militare di tutte le attività politiche, il divieto di manifestazioni e una stretta sui media.
Yoon ha nominato il generale Park An-soo comandante della legge marziale, con l’autorità di arrestare senza mandato chiunque fosse accusato di diffondere “notizie false”. La misura ha immediatamente evocato i fantasmi del passato autoritario del Paese, che, come ricordato, ha vissuto decenni di dittatura militare prima della democratizzazione negli anni ’80.
Tuttavia, la reazione dell’opposizione e della popolazione è stata rapida e decisa. Il leader del Partito Minju, Lee Jae-myung, ha definito la dichiarazione “illegale e incostituzionale”, accusando Yoon di aver tradito i principi democratici. Ma Yoon si è ritrovato con le spalle al muro quando anche membri del partito di governo, il Partito del Potere Popolare, si sono opposti, compreso il suo leader, Han Dong-hoon, ex ministro della Giustizia, che ha dichiarato che avrebbe “lavorato con il popolo per fermare” la legge marziale.
Nonostante Yoon abbia messo l’esercito a presidio del Parlamento al fine di bloccarne le operazioni, i deputati, alcuni dei quali sono stati costretti a scavalcare le recisioni per giungere in aula, mentre al di fuori i militari si scontravano con il servizio di sicurezza dell’emiciclo e con alcuni manifestanti, hanno votato, con una schiacciante maggioranza, per chiedere la revoca immediata del provvedimento, obbligando Yoon a ritirare la legge marziale dopo appena cinque ore. Sui social media e nelle strade di Seoul, migliaia di persone si sono radunate per protestare contro il presidente, chiedendone l’impeachment. Nel frattempo, erano giunte anche importanti pressioni da parte degli Stati Uniti e di alcuni Paesi europei, i principali alleati di Seoul, che hanno probabilmente portato Yoon a tornare sui suoi passi.
Indubbiamente, il fallimento del tentativo di legge marziale ha profondamente eroso l’autorità di Yoon, dimostrando come il presidente non goda della fiducia neppure di quelli che dovrebbero essere i suoi sostenitori. L’opposizione ha già iniziato a preparare una mozione per la sua destituzione, e il consenso interno al Partito del Potere Popolare sembra vacillare. Il gesto di Yoon è stato percepito da molti come un disperato tentativo di mantenere il controllo su un sistema politico sempre più frammentato e ostile.
Mentre la vita politica sudcoreana dovrebbe ora tornare alla normalità, molti ritengono che Yoon Suk-yeol abbia firmato la fine della propria carriera politica. La sua presidenza rischia di essere ricordata come una macchia nella storia recente della Corea del Sud, mentre maggioranza e opposizione potrebbero giungere ad un accordo per destituirlo ed andare a nuove elezioni.
AGGIORNAMENTO Nella giornata di mercoledì 4 dicembre, il presidente Yoon ha affermato di essere disposto a rassegnare le dimissioni, mentre l’opposizione ha presentato una mozione di impeachment al Parlamento di Seoul. Per essere approvata, la mozione di impeachment deve avere il voto favorevole di 200 parlamentari su 300, e poi essere confermata da una sentenza della Corte Costituzionale.
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Giulio Chinappi – World Politics Blog