Ferdinando Pastore

In Romania, in Georgia, in Corea del Sud si disdicono elezioni, si dichiarano leggi marziali, si assaltano le piazze in nome della libertà. Il mondo liberale non ha più la forza per sotterrare l’inganno.

La farsa democratica

Già in tempi non sospetti apparirono scritti nei quali si scorgeva il mutamento dei tempi, l’apparire di un’era post-democratica nella quale la politica non poteva che governare il vuoto.

A Crouch e Mair che coniarono un lessico appropriato per la descrizione del fenomeno, si aggiunsero molti altri studiosi tra cui Streeck, Sennett, in Italia Luciano Gallino, capaci di affrontare quella che si dimostrava una vera e propria paralisi istituzionale, sociale e antropologica, infestata dalla logica assolutista del mercato.

Ebbene questo ambiente fu sistematicamente ignorato dalla politica se non per far riferimento alla categoria editoriale “curiosità in pillole dall’accademia”.

Per la prima volta nella storia moderna il dibattito intellettuale sullo sviluppo democratico, sociale e culturale veniva deliberatamente oscurato dalla propaganda mediatica che, contemporaneamente, ne costruiva uno alternativo e artefatto, spettacolarizzato, con i propri divulgatori a contratto che ridefinivano le ragioni dei conflitti politici e i contorni del vocabolario corretto per aver accesso alla parola.

Si ergeva a sommo concistorio una determinata classe parlante dedita all’intrattenimento ideologico. Giornalisti specializzati in pettegolezzo politico, scribacchini di costume, esperti di ogni risma, tuttologi mimetizzati in opinionisti, delimitavano i confini dei discorsi d’ordinanza: gli Usa sono la culla della democrazia, il libero commercio è un diritto umano, la globalizzazione equivale al progresso, l’Unione Europea ha assicurato svariati e indefinibili anni di pace, il comunismo è equiparabile al fascismo, l’essere umano con le proprie forze può addomesticare i propri sogni.

Chi proprio non seguiva la bussola del buon senso era di volta in volta apostrofato come reprobo, populista, negazionista, autarchico, rossobruno, arcaico, novecentesco, conservatore e così via, fino al termine più consono all’argomento di giornata. Così da celare al pubblico una sostanziale ovvietà.

L’Occidente aveva divorziato dalla democrazia già da tempo. Non per un accidente del destino, per la velocità dei mercati globali, per la supremazia della tecnica o per la complessità del mondo ormai poco leggibile dai poco istruiti. Ma per una precisa volontà politica.

Per questo servivano entità sovranazionali che declassassero le costituzioni sociali a una funzionalità ornamentale. Per questo si doveva far riferimento alla spada di Damocle del debito pubblico, degli spread, delle agenzie di rating. Perché la via da percorrere fosse a senso unico.

La tirannia del libero mercato, degli investimenti finanziari occidentali, delle speculazioni non poteva in alcun modo essere frenata da polverose abitudini democratiche.
Ma non solo per ciò che concerneva la democrazia sostanziale, il fatto insomma che le classi popolari potessero reclamare e ottenere giustizia, eguaglianza, autonomia e direzione del governo.

La nuova costituzione economica mal sopportava anche la forma democratica: le elezioni per esempio furono definite uno stress test. L’Unione Europea ha rappresentato il laboratorio per eccellenza del totalitarismo liberale. Spogliare di sovranità le costituzioni, i partiti, i parlamenti per verticalizzare in termini elitari la rappresentanza.

In Italia sin dal 1992 si è provveduto a rimpiazzare, pezzo dopo pezzo, la democrazia costituzionale con l’oligarchia di mercato. Svendita dell’Iri, esautorazione del Parlamento, riforma delle Regioni, leggi maggioritarie, guerra in Jugoslavia, golpe del 2011 reiterato dal recente esecutivo Draghi. La Grecia non ci colse di sorpresa.

Con la guerra questa postura occidentale ha preso il sopravvento. Non si può più nascondere nella nebbia di un pasticciato buon senso. Occorre fare le cose in fretta.

In Francia impossibile far governare France Insoumise; in nessuno modo quelle ricette economiche e sociali potranno disturbare la rapacità sociopatica dei liberi investitori. Macron vegeta all’Eliseo per assicurare quell’equilibrio.

In Romania, in Georgia, in Corea del Sud si disdicono elezioni, si dichiarano leggi marziali, si assaltano le piazze in nome della libertà.

L’Occidente non ha più la forza per sotterrare l’inganno. I suoi chierici ancora provano a dare la carica al meccanismo, appellandosi alla nostra superiore civiltà, ma questo riesce a ticchettare solo per pochi istanti.

La realtà è costretta a denudarsi di fronte a tutti noi, implacabile: farsi qualche passeggiata cordiale verso i seggi una volta ogni tanto non è democrazia, partecipare a televoti di partito in gazebi fieristici disseminati nelle ville cittadine non è democrazia, avere libertà di parola se questa è ignorata, derisa e quando necessario repressa non è democrazia.
Noi non viviamo in democrazia; è l’ora di ammetterlo e di farsene una ragione

Di L.M.

Appassionato sin da giovanissimo di geopolitica, è attivo nei movimenti studenteschi degli anni novanta. Militante del Prc, ha ricoperto cariche amministrative nel comune di Casteldelci e nella C.M. Alta Valmarecchia. Nel 2011 crea il blog Ancora fischia il vento.

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