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Zela Satti

L’ultima proposta della NATO di aumentare le spese militari dal 3% all’8% del PIL dei Paesi membri ha scatenato un acceso dibattito. Mark Rutte, segretario generale dell’ Alleanza Atlantica ed ex premier olandese, ha dichiarato al Parlamento Europeo che una NATO europea senza il supporto degli Stati Uniti sarebbe un’illusione. Secondo Rutte, senza l’ombrello nucleare americano, le spese militari europee dovrebbero salire fino all’8%, un obiettivo che richiederebbe almeno 15 anni per essere raggiunto.

Rutte e la follia NATO. Rivelazioni del Financial Times

Giovanni Martinelli, su Analisi Difesa, cita indiscrezioni del Financial Times che preannunciano un cambiamento epocale nelle politiche di spesa militare dei Paesi NATO.

Una riunione informale dei Ministri degli Esteri dell’Alleanza, tenutasi all’inizio di dicembre, ha discusso l’innalzamento del target attuale del 2% del PIL, considerato ormai obsoleto rispetto al contesto geopolitico attuale.

Una corsa scellerata verso l’aumento delle spese

Dal 2014, anno dell’annessione russa della Crimea e del conflitto nel Donbass, la NATO ha insistito per un aumento graduale delle spese militari. Oggi, 23 dei 32 Paesi membri raggiungono o superano il 2%, ma l’Italia non è ancora tra questi. Secondo il Financial Times, l’obiettivo è ora di raggiungere il 3% entro il 2030, con un summit previsto a L’Aja per formalizzare questa decisione.

Trump e Rutte: chi è più esagerato?

Donald Trump, non ancora insediato, aveva proposto di fissare la soglia al 5%, salvo poi ridurre le sue pretese al 3,5% in cambio di concessioni commerciali. Questa retorica ha sollevato interrogativi sull’utilità di tali aumenti: per quali minacce concrete dovremmo armarci? La corsa agli armamenti sembra più un tentativo di soddisfare l’industria militare che una risposta a reali necessità di sicurezza.

Nonostante le pressioni sugli alleati europei, gli Stati Uniti stessi faticano a mantenere il loro livello di spesa militare al 3%, dato l’impegno su molteplici fronti globali. Le richieste di Trump sembrano volte a spingere gli alleati a comprare più armamenti americani, sollevando dubbi sulla genuinità di queste pressioni.

Negli anni ’70, in piena Guerra Fredda, le spese militari di Paesi come Stati Uniti, Regno Unito e Francia erano molto più elevate rispetto ad oggi. Con la fine della Guerra Fredda, queste spese sono diminuite, raggiungendo un minimo del 2,4% nel 2017. Tuttavia, l’attuale contesto geopolitico è profondamente diverso, con un numero maggiore di Paesi membri e nuove sfide globali.

La situazione italiana

Il bilancio della Difesa italiano presenta criticità in termini di trasparenza e conformità ai criteri NATO. Dal 2022, si è registrata un’anomalia con un aumento improvviso delle spese militari dichiarate alla NATO, con circa 4.500 milioni di euro non tracciabili. Questo solleva interrogativi sulla gestione dei fondi e sull’effettivo utilizzo di queste risorse.

Un vulnus culturale e finanziario

In Italia, la spesa pubblica supera i 1.100 miliardi di euro, e vi sono proposte per escludere le spese per la Difesa dal calcolo del deficit del Patto di Stabilità. L’idea di Eurobond per la Difesa e altri strumenti finanziari europei potrebbero essere soluzioni, ma resta il problema delle sovrapposizioni e dei particolarismi nazionali, che ostacolano un’efficace integrazione della difesa europea.

La proposta di aumentare le spese militari dal 3% all’8% è una sfida non solo finanziaria ma anche culturale. Una cultura portatrice di distruzione. Una cultura da respingere senza tentennamenti.

Di L.M.

Appassionato sin da giovanissimo di geopolitica, è attivo nei movimenti studenteschi degli anni novanta. Militante del Prc, ha ricoperto cariche amministrative nel comune di Casteldelci e nella C.M. Alta Valmarecchia. Nel 2011 crea il blog Ancora fischia il vento.

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