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Possiamo anche fingere una certa dose di ingenuità, ma faremmo anzitutto torto alla palese verità dei fatti: un “vizio procedurale“, peraltro sanabile con un intervento del Ministro della Giustizia, non può essere stato il motivo per cui il capo della polizia giudiziaria libica, noto organizzatore dei lager in cui vengono rinchiusi, torturati e seviziati i migranti che tentano di passare dall’Africa al Vecchio continente, è – diciamo così… – sfuggito all’ordine di cattura internazionale emesso dalla Corte dell’Aja e non eseguito, quindi, da Roma.
Osama al-Najeem, il cui nome di battaglia è Almasry (altrimenti Elmansry o Almasri), diviene quindi un caso nel momento in cui passa per il territorio tedesco, poi per quello italiano e se ne va beatamente sorridente a vedere una partita di calcio in quel di Torino. Lì la DIGOS lo arresta e il governo lo mette su un volo, nemmeno di linea, ma di Stato per farlo condurre sano e salvo nella sua patria dilaniata dalla guerra civile tra torturatori e criminali di guerra di vario stampo e di opposte fazioni (anche sul piano delle alleanze internazionali).
Prima si parla di quel vizio procedurale di cui si faceva cenno poco sopra; poi il ministro Piantedosi fa qualche ammissione: sarebbe stato espulso perché riconosciuto come un soggetto pericoloso. Quindi esiste almeno una valutazione fatta da Palazzo Chigi in questo frangente. Non è solo un cavillo burocratico ad averne determinato la scarcerazione. Tajani si affretta a smentire le illazioni dei giornalisti: macché sudditanza italiana nei confronti di chicchessia. Siamo un paese sovrano e tale restiamo.
Ma, ora dopo ora, si fanno sempre più confermate le voci da ambiti della maggioranza che parlano di qualche problemuccio con la Libia nel caso in cui l’organizzatore dei lager libici per i migranti fosse stato trattenuto dall’Italia e consegnato poi alla Corte Penale Internazionale. Giorgia Meloni, ancora poco tempo fa, quando si trattava di fare campagna elettorale per assurgere alle stanze governative, giurava e stragiurava che lei presente nell’esecutivo si sarebbe fatta una caccia spietata ai trafficanti di esseri umani. Puntualizzava: su tutto il globo terracqueo.
Certe megalomanie prendono un po’ la mano: come a dire che può esistere un “reato universale” sulla maternità surrogata, punibile in ogni dove da parte del diritto italiano, con la mano ferma dei numi tutelari della natalità unica espressione naturale dei rapporti familiari tra padre e madre, tra uomo e donna, tra marito e moglie. Scriveva Quinto Ennio che «..amicus certus in re incerta cernitur». Se il tuo amico è in difficoltà, tu vuoi proprio negargli una mano? Mettere, quindi, in crisi i rapporti con la Libia in materia tanto di regolamentazione dei flussi migratori?
Pregiudicare i rapporti commerciali, magari in materia di greggio, di nuove tecnologie e di intelligenza artificiale, per cui, appena dopo le polemiche suscitate dal caso Almasry, i ministri Adolfo Urso e Walid Al Lafi si sono incontrati per stabilire una reciproca collaborazione in merito? A pensar bene si fa doppio peccato in questo e altri casi, ma ci si azzecca due volte tanto. David Yambo parla all’ANSA e alla RAI. Fa parte dell’organizzazione dei rifugiati dalla Libia. Ci mette la faccia – come si usa dire – e denuncia il capo della guardia giudiziaria.
Fu lui a torturarlo di persona e a dare ordini perché altre torture fossero comminate a decine e decine di migranti che stazionavano nel lager di Mitiga, tristemente noto proprio per essere un centro di ammasso dei più disperati a cui non veniva risparmiata nessuna sofferenza: sia che fossero uomini adulti oppure donne, anziani e anche bambini. L’orrore di questi campi di concentramento, che vengono descritti come luoghi in cui si vince la lotta per la riduzione dell’immigrazione cosiddetta “clandestina“, dovrebbe anzitutto risvegliare le coscienze singole e, dunque, formare una presa d’atto collettiva delle brutalità commesse nel nome del traffico di esseri umani.
Un traffico che è figlio di una lunga epoca coloniale e neocoloniale in cui l’Occidente civilissimo e cristianissimo ha le responsabilità maggiori. L’Europa ha conquistato, nei secoli dei secoli, il mondo: ha migrato ovunque e poi, quando ha ridotto in povertà estrema interi popoli autoctoni di un continente depresso e mortificato, lasciato a morire di fame sotto la dicitura tutt’altro che consolatoria del “terzomondismo“. Prodotti ultimi, e nemmeno poi tanto tali, come Osama al-Najeem Almasry, sono la conseguenza di un’era predatoria che non è mai veramente finita.
Questo comandante del lager di Mitiga, dove sono stati negati i diritti umani più elementari, dove è stata praticata sistematicamente la tortura, per cui la Corte Penale Internazionale ha spiccato nei suoi confronti un mandato di arresto per crimini contro l’umanità e crimini di guerra, diventa oggi l’emblema di una cattivissima coscienza dell’Europa e, non di meno, di una vasta parte del mondo che utilizza i migranti come merce di scambio per la gestione di politiche intergovernative sul piano della contesa globale. Tanto di quella militare quanto di quella economica.
Guerre, mercati di armi, di petrolio, di gas, nuove modernissime tratte di schiavismo del XXI secolo, tutto si tiene e si compenetra vicendevolmente su più piani in una globalizzazione degli interessi che oggi trova spazio ovunque sia possibile il confronto del multipolarismo: quindi su scala planetaria, tra grandi potenze emergenti e vecchi storici imperialismi che sentono scemare il loro primato mondiale. Le migrazioni di milioni di disperati, fuggiti dalle zone più infestate dai conflitti, dalle teocrazie jihadiste, dai regimi dittatoriali nati dopo gli ipocriti tentativi di “esportazione della democrazia“, sono un’arma nelle mani degli Stati.
Il ritorno di Donald Trump alla Casa Bianca ha inaugurato una ulteriore fase di irrigidimento delle condizioni per poter migrare, per poter entrare in un paese cosiddetto “democratico” e cercare di avere una vita quanto meno alla pari degli altri concittadini. C’è un concetto molto retrivo e nauseabondo che veleggia, di volta in volta, qui e là dove si tengono i raduni dei più ostinati rappresentanti delle destre estremissime, ancora di più di quelle che siedono al governo dell’Italia, dell’Argentina, degli Stati Uniti o dell’Ungheria. Si tratta della “remigration“, un termine francese in cui si include tutta una condotta delle politiche anti-migratorie.
In pratica il contrario dell’accoglienza, anche sulla scorta di flussi ben definiti. Neofascisti e neonazisti di mezza Europa, America e Medio Oriente teorizzano una espulsione di massa dei migranti, proprio come la intende Donald Trump quando parla di milioni e milioni di persone da accompagnare alla frontiera col Messico, sostanzialmente, per dare avvio ad una “pulizia etnica” nei confronti dei popoli ispanici considerati inferiori. La destra conservatrice e reazionaria oggi alla Casa Bianca afferma di non considerare un problema la diversità del colore della pelle: in sostanza il problema razziale parrebbe superato nel confronto tra americani bianchi e neri.
Ma questo riflesso condizionato non si applica per i migranti. Una categoria quindi ben definita, circostanziata e lasciata, tuttavia, alla massima interpretazione così da permettere respingimenti sempre più di massa e ostacolare gli ingressi nuovi. Da una parte all’altra dell’Oceano Atlantico si saldano le destre nell’utilizzazione del fenomeno migratorio come leva per un consenso sempre più ampio presso le classi popolari disagiate, indigenti, in cui la crisi economica e gli effetti delle guerre si riverberano con maggiore nettezza ed intensità.
Torturatori di vario tipo, comandanti di lager e trafficanti di esseri umani stanno dentro un gioco delle parti che, in apparenza, contraddice il sistema repressivo delle migrazioni ma che, in tutta evidenza, è congeniale all’alimentazione di un perverso cortocircuito che serve ad alimentare una serie di interessi vicendevoli che giocano un ruolo nelle politiche economiche, nelle intromissioni occidentali in un’Africa dilaniata dalle fazioni. E la Libia ne è un esempio davvero conclamato.
Invece di avere un ruolo di attiva solidarietà con tutte le organizzazioni umanitarie che si prodigano per evitare il peggio, noi li manteniamo con i governi che agiscono in questo senso perverso. Quello che è stato, con prontezza giornalistica già molti decenni fa, chiamato il “sistema libico” fatto di affari con i singoli paesi occidentali e di repressione interna di ogni forma di dissenso, così come di criminalizzazione delle migrazioni, ritorno alla ribalta delle cronache nel momento in cui scopriamo che il nostro Paese indulge in questa direzione. Forse il “piano Mattei” per l’Africa include anche la protezione di questi torturatori?
Forse siamo sempre stati un po’ cialtroni nel nostro intento post-coloniale nella Libia di Gheddafi come nel dopo regime. Non è sopraggiunta, sulle ali della libertà della primavere araba, la democrazia tanto attesa (non si sa bene da chi se non da coloro che avevano subìto da decenni la tirannia del colonnello). Ma alla repubblica araba e filosocialista di prima si è sostituita una guerra civile che dura ancora ora e che vede il mondo spaccato a metà nei sostegni dell’una o dell’altra parte. Nel bene e nel male, quella di Gheddafi era la “Giamahiria“, una concezione politico-organizzativa di uno Stato delle masse.
Ciò che l’ha succeduta è il caos più totale. Al pari dell’Iraq nel post-Saddam (e nel post-guerre del Golfo), della Siria, per non parlare dell’Afghanistan e del ritorno del regime talebano. Dunque, la vicenda beffarda di Osama al-Najeem ci restituisce una memoria di lungo termine che vede tanto l’Italia quanto i paesi del democratico Occidente impegnati non nel contrasto dei regimi neoschiavisti e della repressione disumana operata con torture di massa degne dei regimi totalitari novecenteschi o del terrorismo del DAESH, ma complici di una condivisione di interessi che si intrecciano alle pratiche disumane con cui questi poteri si consolidano e resistono nel tempo.
Non erano sufficienti gli inciampi italiani in Libia dallo “scatolone di sabbia” di giolittiana memoria fino al berlusconismo degli ultimi decenni… Anche in questa diatriba internazionale toccava infilarsi, dando dimostrazione e prova della pochezza con cui si trattano i diritti umani, della grandezza con cui, invece, si trattano coloro che li calpestano e che dovrebbero essere oggi, non a casa propria a godersi il sole, ma all’Aja.
MARCO SFERINI