Esiste un principio non scritto, forse perché è talmente palese che scriverlo non sembrava necessario: chi porta un Paese in guerra, se poi quella guerra la perde deve andare a casa, oppure finire a testa in giù: non è questione di vendetta; è questione di sanità pubblica. Una guerra, infatti, richiede sacrifici straordinari (agli altri, però); per chi sta nella stanza dei bottoni, partecipare a una guerra, di per se, è una scelta indolore. Anzi, può portare a un sacco di vantaggi: una carriera straordinaria, un angolino nei libri di storia e anche incredibili occasioni di arricchimento personale; basta vedere il cerchio magico che ha condotto l’Ucraina al disastro in questi anni. Ecco perché è assolutamente necessario mantenere salda un’antica tradizione che prevede che se poi quella scommessa la perdi, il prezzo da pagare deve essere stratosferico: è l’unico deterrente che abbiamo per far sì che una scelta del genere non venga presa a cuor leggero. Chi lancia il famoso appello armiamoci e partite, come minimo deve sapere che se ha fatto male i calcoli farà una finaccia.

E nel caso della guerra per procura in Ucraina, dire che le classi dirigenti europee e il loro codazzo di propagandisti d’accatto hanno fatto male i calcoli è un eufemismo: ad essere stato umiliato, infatti, è tutto il campo imperialista, a partire dalla nazione leader. Come ricordava sabato la nostra Clara in un bellissimo articolo sull’Antidiplomatico, per quanto “la partita in Ucraina non è ancora chiusa, possiamo certificare che alcuni obiettivi strategici del morente blocco occidentale sono irreversibilmente clamorosamente falliti”: la Russia – te guarda un po’ a volte il destino – non è stata né sconfitta, né smembrata; e non è stata nemmeno isolata. Anzi: a risultare isolato sembra essere sempre di più proprio il campo imperialista; Putin è vivo e vegeto e politicamente in forma smagliante, come d’altronde i suoi alleati Ramzan Kadyrov e Aleksandr Lukashenko. Non si può dire la stessa cosa per Biden, per Boris Johnson e per Sanna Marin. Tutti i territori conquistati dalla Russia sono irreversibilmente persi; l’Ucraina non entrerà nella NATO e la Russia non pagherà nessuna riparazione di guerra.

Questo, diciamo, riguarda tanto Washington che Bruxelles e, come si dice, mal comune, mezzo gaudio; nel caso di Bruxelles, però, della metà da gaudiare in realtà rischia di rimanere un po’ pochina, perché a noi ci piace strafare: perdere una sola guerra per volta ci sembrava da dilettanti e, allora, ne abbiamo perse due. Washington, infatti, combatteva contemporaneamente due guerre: quella principale contro la fine dell’unipolarismo (che è andata decisamente malino) e quella secondaria contro l’integrazione eurasiatica e il rischio che questo processo, nel tempo, trasformasse i vassalli europei in un polo autonomo del nuovo ordine multipolare. E questa l’ha vinta a mani basse, al punto che la nuova amministrazione USA oggi può cercare di compensare, almeno parzialmente, i costi politici, geopolitici ed economici della sconfitta contro la Russia con i dividendi del trionfo contro l’Europa. Il prezzo che è stato e che, ancora di più, sarà scaricato nel prossimo futuro sulle spalle dei cittadini europei è incalcolabile: l’industria europea è stata letteralmente rasa al suolo, il potere d’acquisto dei nostri salari è in caduta libera e i nostri risparmi si trasferiscono senza sosta oltreoceano, dove vanno a rafforzare i monopoli tecnologici e finanziari che Washington utilizza per sottometterci economicamente; e se Trump darà seguito alle sue minacce, siamo solo all’antipasto. In passato, intere classi dirigenti sono state mandate al patibolo per molto meno: la storia delle rivoluzioni, infatti, in gran parte è storia di popoli che si sono ribellati di fronte alla richiesta di pagare i costi di una guerra che non avevano voluto.

Il caso più celebre, ovviamente, è quello della Rivoluzione d’Ottobre, che mise fine a un regime zarista prima e a un governo provvisorio poi che scaricavano sulla popolazione le umiliazioni subite sul fronte.; meno noto il ruolo della guerra sulla Rivoluzione Francese, dove la voragine nei conti pubblici aperta con la partecipazione alla guerra d’indipendenza americana contribuì in modo determinante allo scoppio dell’insurrezione, ma le conseguenze della guerra hanno giocato un ruolo fondamentale anche nella rivoluzione in Cina, in Iran, in Turchia, fino anche alla sconfitta del regime in Portogallo. Ora, noi non pretendiamo necessariamente di fare domattina una rivoluzione, che poi alle 11 c’ho judo, poi c’è il corso di mandarino dei bimbi e in serata la moglie c’ha anche body pump, ma perché mai dovremmo essere gli unici stronzi nella storia che si tengono la classe dirigente che li ha costretti a pagare le conseguenze di una guerra demenziale? Soprattutto visto che la seconda guerra, quella delle oligarchie USA contro lo standard di vita dei cittadini europei, è ancora pienamente in corso e si annuncia, nel prossimo futuro, di essere ancora più feroce di quanto non lo sia già stata negli ultimi 3 anni? Davvero siamo così imbecilli da lasciarci traghettare in questa tempesta dagli stessi scappati di casa che ci hanno ridotto con le pezze al culo fino ad oggi?

A me sembra piuttosto pacifico che l’unico esito ragionevole di questa situazione sia uno e uno solo: devono andare tutti a casa: tutti quelli che hanno avuto un ruolo nel trascinare l’Italia e l’Europa in questa debacle, molto banalmente, si devono ritirare a vita privata, con i nipotini al parchino a riflettere sui propri errori e con l’interdizione ai pubblici uffici. E quando dico tutti, intendo tutti: chi, da bimba di Biden, è diventato magicamente bimba di Trump nell’arco di poche ore, come chi, prima di fare il salto della quaglia, vuole temporeggiare ancora un po’ e organizza gite di pensionati a Parigi per fare un po’ di scena o fa finta di indignarsi se quando dice che la Russia è come il Terzo Reich viene preso a pernacchie in mondovisione. Fino a che a dire che la guerra era persa eravamo noi, un po’ di sano negazionismo istituzionale ci stava; ora che la debacle è ufficiale, faccio fatica a capire cosa stiamo aspettando. In tutta Europa, a livello di singoli Stati come di istituzioni europee, dobbiamo esigere di tornare alle urne; non è una pretesa arbitraria: è pura logica.

Nonostante già durante le ultime elezioni in molti avessimo chiarissimo che la guerra in cui ci avevano infilato era irrimediabilmente persa, la propaganda sosteneva tutt’altro: la verità ufficiale, imposta con la forza dalla propaganda di regime e che è l’unica che arriva alla stragrande maggioranza della popolazione, era che la guerra sarebbe stata vinta, che il folle dittatore che si era azzardato a ribellarsi all’Occidente collettivo aveva le ore contate e che l’unico problema, al limite, era dosare adeguatamente l’umiliazione che gli stavamo impartendo perché un pazzo dittatore sanguinario dotato di un’arma atomica mentre sta per essere annientato è più pericoloso che mai. Oggi non è più questione di opinioni: oggi sappiamo ufficialmente che si trattava di una menzogna e la selezione dei propri rappresentanti da parte degli elettori sulla base di una campagna scientifica e meticolosa di menzogne di Stato è da considerarsi nulla; il mandato che i cittadini europei hanno dato ai politici col loro voto è da considerarsi non più valido e ora gli dobbiamo dare l’opportunità di scegliersi nuovi rappresentanti in base alla scioccante verità che è emersa in tutta la sua chiarezza nelle ultime settimane.

E mentre ci battiamo per affermare questo principio democratico di base, dobbiamo costruire un fronte unitario tra tutte quelle forze della società italiana ed europea che si sono opposte alla guerra e che non sono complici della disfatta, senza altri distinguo: da una parte chi ha sacrificato i popoli europei per mantenere il suo posticino al sole nell’amministrazione coloniale, a prescindere dal colore dell’inquilino della Casa Bianca e, dall’altra, tutti quelli che hanno messo davanti a tutto gli interessi concreti dei popoli europei. Un fronte unitario di liberazione nazionale e continentale

https://ottolinatv.it/2025/02/17/a-casa-chi-ha-perso-la-guerra-e-subito-un-comitato-di-liberazione-nazionale-appello-di-ottolina

Di L.M.

Appassionato sin da giovanissimo di geopolitica, è attivo nei movimenti studenteschi degli anni novanta. Militante del Prc, ha ricoperto cariche amministrative nel comune di Casteldelci e nella C.M. Alta Valmarecchia. Nel 2011 crea il blog Ancora fischia il vento.

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