Foto Wikimedia
La Repubblica Democratica del Congo è di nuovo teatro di un sanguinoso conflitto interno, aggravato dall’interferenza del vicino Ruanda. Uno scontro che, se non arginato, rischia di estendersi a gran parte del continente africano. La recente avanzata del gruppo ribelle M23, sostenuto da Kigali, ha scatenato nuovi combattimenti e riacceso tensioni mai sopite.
Rwanda-Congo: l’inasprimento del conflitto
Il 27 gennaio 2025 l’M23 ha sferrato un attacco contro Goma, capoluogo della regione del Nord Kivu e snodo strategico per la presenza di basi ONU e per il commercio minerario.
Dopo una feroce battaglia, la città è caduta nelle mani dei ribelli, che hanno continuato la loro avanzata verso Bukavu. L’offensiva ha provocato oltre 3.000 vittime e costretto più di 300.000 persone alla fuga, aggravando una crisi umanitaria che già contava 5,6 milioni di sfollati interni.
Alla base del conflitto vi è il controllo delle immense ricchezze minerarie congolesi. Durante l’offensiva, l’M23 ha occupato i centri estrattivi di Rubaya e Nyabybwe, fonti strategiche di coltan e cassiterite, due minerali essenziali per l’industria tecnologica globale. La loro presenza nel sottosuolo congolese rende il Paese una preda ambita per attori locali e internazionali.
Radici storiche: dal genocidio del Ruanda alla guerra in Congo
Le tensioni tra Ruanda e Congo affondano le loro radici nel genocidio del 1994, quando le milizie hutu sterminarono circa 800.000 tutsi. Il conflitto si riversò oltre confine, con milioni di profughi hutu rifugiatisi in Congo.
Temendo che questi potessero riorganizzarsi per attaccare il Ruanda, il presidente Paul Kagame armò i tutsi congolesi e appoggiò la ribellione che nel 1997 portò al potere Laurent-Désiré Kabila. Il risultato fu un massacro di 200.000-300.000 profughi hutu.
Le tensioni sfociarono nella Seconda Guerra del Congo (1998-2003), che coinvolse nove nazioni africane e provocò tra i 3 e i 5 milioni di morti, rendendola il conflitto più sanguinoso dalla Seconda Guerra Mondiale.
La guerra fu alimentata dalla domanda mondiale di materie prime, dal commercio internazionale di armi e dall’incapacità delle Nazioni Unite di gestire la crisi.
Il Ruanda di Kagame: crescita economica e destabilizzazione del Congo
Oggi il Ruanda, sotto il pugno di ferro di Kagame, è considerato un modello di sviluppo economico e stabilità. Il Paese ha attratto investimenti internazionali, diventando una destinazione turistica e un polo industriale, con aziende come Volkswagen che vi hanno stabilito impianti di produzione.
Tuttavia, dietro questa facciata si cela una politica espansionistica che mira al controllo delle risorse congolesi attraverso il sostegno ai ribelli tutsi.
Secondo un rapporto ONU, il Ruanda esporta ogni mese 120 tonnellate di coltan estratto illegalmente dai territori controllati dall’M23. La presenza di 3.000-4.000 soldati ruandesi tra i ribelli dimostra l’implicazione diretta di Kigali, nonostante le smentite ufficiali.
Le complicità occidentali
L’Occidente mantiene stretti legami con Kigali. Nel 2024 l’Unione Europea ha firmato un accordo con il Ruanda per l’approvvigionamento di minerali strategici, ignorando la loro provenienza illecita. Bruxelles ha recentemente condannato l’occupazione dell’M23, ma non ha preso misure concrete per bloccare il supporto economico al regime di Kagame.
Il conflitto ha già coinvolto direttamente Congo, Ruanda, Burundi e Uganda, e potrebbe estendersi ulteriormente. Il Sudafrica e la Tanzania potrebbero presto intervenire, trasformando la crisi in una vera e propria guerra africana.
Le organizzazioni umanitarie stanno abbandonando il territorio congolese a causa dell’insicurezza crescente. La chiusura di programmi di aiuto, tra cui quelli finanziati da USAID, aggrava la situazione dei rifugiati. Le condizioni di migliaia di sfollati peggiorano rapidamente, mentre la comunità internazionale resta a guardare.
Il rischio che il conflitto degeneri ulteriormente è elevato. Senza un intervento deciso della comunità internazionale, la guerra congolese potrebbe trasformarsi nella prossima grande crisi globale.