ero molto colpito dai fenomeni di frantumazione e corporativizzazione che erano seguiti ai grandi momenti di aggregazione collettiva culminati nel ’68-69. Da che scaturiva questa prima mutazione (altre seguirono dopo) dell’agire collettivo? Vedevo riemergere il tema dell’individuo, e della donna, in un modo che andava oltre la cultura e le esperienze su cui si era formata la mia vita”

e ancora: “ero stato educato a una forte valutazione dell’azione collettiva. Era stato il punto di svolta che mi aveva gettato nella politica. Adesso devo capire meglio come poteva vivere, nel fenomeno di disarticolazione che si produceva nella società e di fronte ai grandi processi di mondializzazione, quell’elemento di irripetibilità che reca con sè l’individuo pure nella sua necessaria obbligata “socialità”, e tutta la questione per me inedita della differenza sessuale”.

Alberto Olivetti usa questa lunga citazione di Pietro Ingrao (risalente al 1979 quando Ingrao rinuncia a ricandidarsi alla presidenza della Camera dei Deputati) presentando (“Il Manifesto” del 9 marzo 2025) la ristampa del volume “Volevamo la luna” scritto dal dirigente della sinistra comunista e uscito per Einaudi nel 2006.

Una citazione che può essere adoperata ai giorni nostri per cercare di affrontare in profondità quale è stato lo sviluppo di quella fase di disarticolazione sociale e di quei grandi processi allora già in atto su scala mondiale e di cui Ingrao avvertiva la decisività nel prosieguo della storia.

Uno sviluppo di contraddizioni che ha portato – almeno a giudizio di chi scrive queste schematiche note – ad una profonda modifica dell’agire politico nel senso dell’individualismo competitivo e dell’esercizio di una democrazia recitativa in un quadro di relazioni globali ormai percorso da forme di vero e proprio revansciscimo antistorico di stampo nazionalista e dell’ evidenziarsi di pericoli concreti di conflitto globale e di ricostruzione di meccanismi di relazione fondati sull’isolamento e la ripresa (anche se in forme diverse dal passato) della “logiche dei blocchi”.

Emerge la necessità di aprire un varco di nuovo collegamento tra l’individuale e il collettivo: individuale e collettivo , quel tema che appare urgente da affrontare all’interno di una attualità che vede l’egemonia di un avvilimento dei valori di uguaglianza, solidarietà, etica del lavoro, consapevolezza della passività verso lo sfruttamento umano, di genere, di territorio, di risorse comuni.

In realtà siamo ormai sulla soglia della privatizzazione del futuro nella subalternità all’insindacabile funzionamento di un impianto tecnico – scientifico in mano a privati che dettano l’agenda alla politica riaprendo le porte a un modello militare esclusivamente maschile richiamante epoche indefinite nel passato quasi come se si trattasse di fantascienza distopica.

Un pericolo della privatizzazione del futuro che stiamo intendendo come riguardante soltanto noi stessi, dispersi e separati in un destino singolare e indecifrabile.

Il nostro isolamento soggettivo ci porta direttamente al declino sociale, politico e soprattutto morale.

Sarebbe necessario contrapporre un’alternativa.

Ci stiamo accorgendo che serve qualcosa di più ampio e più profondo.

Esaurite le forme di espressione del pensiero che avevano segnato il ‘900,tra l’idea dell’onnipotenza della tecnologia e quella del ritorno all’indietro del tipo (tanto per ridurre all’osso) della “decrescita felice” bisognerà pur cercare di individuare un nuovo equilibrio.

La ricostruzione di un intreccio tra etica e politica potrebbe rappresentare il passaggio fondamentale per delineare i contorni di una “società del limite” (quella che abbiamo cercato di definire forse infelicemente come “socialismo della finitudine”) avendo come base di proposta una nuova “teoria dei bisogni”.

Nell’evidente inadeguatezza dei modelli cui ci si è ispirati nella globalizzazione del consumismo individualistico siamo rimasti fermi a contemplare ciò che accade senza disporre di idee e di organizzazione per attaccare,come sarebbe necessario, il muro della separatezza tra i popoli , tra i ceti sociali, nella differenza di genere.

Si dovrebbe rilanciare allora la prospettiva di una “programmazione del limite”, intesa come un valore universalistico.

Un possibile ordine del giorno ? :aggredire la separatezza, ricostruire un “capitale sociale”, riorientare il rapporto tra pensiero e azione, teoria e prassi, nel senso di una vera e propria “progettazione dell’uguaglianza” intesa come fattore fondamentale per mantenere un futuro ed esprimere collettivamente una “diversità positiva” rispetto al ritorno dell’incubo del dominio assoluto.

Di Franco Astengo

Lunga militanza politico-giornalistica ha collaborato con il Manifesto, l'Unità, il Secolo XIX,. Ha lavorato per molti anni al Comune di Savona occupandosi di statistiche elettorali e successivamente ha collaborato con la Facoltà di Scienze Politiche dell'Università di Genova tenendo lezioni nei corsi di "Partiti politici e gruppi di Pressione", "Sistema politico italiano", "Potere locale", "Politiche pubbliche dell'Unione Europea".

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