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Per decenni i fascisti (ma anche la stampa borghese anticomunista) hanno cercato di scaricare la responsabilità della strage delle Fosse Ardeatine su uomini e donne della Resistenza romana che attaccarono le truppe di occupazione naziste in via Rasella. Su questi eroici partigiani comunisti sono state rovesciate tonnellate di fango accusandoli di non essersi consegnati evitando la strage. Si trattava di una palese bugia visto che i nazisti resero nota la strage dopo averla compiuta. Dopo le polemiche di due anni fa sulle assurde dichiarazioni di Ignazio La Russa questa infamia credo che nessuno abbia il coraggio di ripeterla.
Giorgia Meloni, Ignazio La Russa e Lollobrigida si sono limitati a condannare il crimine nazista. Certo si sono ben guardati dal citare il ruolo svolto dai fascisti italiani. E bene ha fatto il presidente dell’Associazione Nazionale Partigiani d’Italia – ANPI Gianfranco Pagliarulo a fare un comunicato di condanna di questa colpevole rimozione. Gli esponenti di Fratelli d’Italia rimuovono le responsabilità dei fascisti nell’eccidio. Sono così meticolosi nell’attaccare la Resistenza e l’antifascismo quanto incapaci di condannare i crimini del fascismo.
Comunque c’è un fatto positivo: dopo decenni pare che quest’anno non abbiano gettato fango sui partigiani con le falsità su via Rasella.
L’INFAME BUGIA CONTRO I PARTIGIANI
L’infame bugia circolata per decenni sosteneva che un comunicato invitò i partigiani a consegnarsi ai tedeschi per evitare il massacro. Dunque per colpa dei partigiani 335 innocenti, tra cui tanti loro compagni, furono trucidati dai nazisti.
Libri e sentenze hanno smontato la bugia ma per quella parte d’Italia che ha sempre avuto in odio la Resistenza è diventata una post-verità da tramandare.
Va segnalato – che nonostante sia stata periodicamente rilanciata dalla stampa anticomunista – che si trattava di un infame trucco della propaganda fascista.
Dopo il massacro, a fine marzo 1944, forse il 29, ci fu una riunione dei fascisti romani seguita da un volantino pensato per gettare la responsabilità dell’orribile crimine sui comunisti:
«Partigiani vigliacchi e assassini! Romani! In seguito al vile attentato costato la vita a 32 camerati germanici nel pomeriggio del 24 marzo scorso, la giusta e doverosa rappresaglia del Comando di Piazza dell’Esercito Tedesco ha visto la fucilazione di 320 comunisti badogliani detenuti nelle carceri perché condannati a morte per atti di terrorismo e sabotaggio. Ma i banditi comunisti dei gap avrebbero potuto evitare questa rappresaglia, pur prevista dalle leggi di guerra, se si fossero presentati alle autorità germaniche che avevano proclamato, via radio e con manifesti su tutti i muri di Roma, che la fucilazione degli ostaggi non sarebbe avvenuta se i colpevoli si fossero presentati per la giusta punizione. Questa è l’ennesima riprova della vigliaccheria di chi trama contro la Patria Italia al soldo dello straniero e del bolscevismo. Romani, sappiate giudicare! I Fascisti Repubblicani dell’Urbe».
In realtà il comunicato dell’Agenzia Stefani, con l’annuncio dell’eccidio perpetrato dalle forze di occupazione naziste, che compare il 25 marzo del 1944 sul Messaggero di Roma comunicava che L’ORDINE E’ GIA’ STATO ESEGUITO. Quindi mai i partigiani furono posti di fronte alla possibilità di salvare le vittime perchè la notizia fu diffusa dopo la strage.
Per approfondire la storia non posso che consigliare il libro di Alessandro Portelli https://www.donzelli.it/libro/9788879894579 e la ricostruzione teatrale di Ascanio Celestini
NAZISTI COPERTI DA AUTORITA’ ITALIANE E TEDESCHE
Doveroso rammentare che dopo la sconfitta nel 1948 di socialisti e comunisti nel nostro paese durante il dopoguerra il blocco anticomunista consentì ai fascisti di riciclarsi e questo avvenne anche nella Germania occidentale. Negli apparati dello stato non epurati continuarono a operare ex-fascisti e ex-nazisti. E avevano un comune interesse a insabbiare le inchieste sui crimini nazifascisti. Nel 1994 venne fuori l’armadio della vergogna https://it.wikipedia.org/wiki/Armadio_della_vergogna
Sulle Fosse Ardeatine il settimanale tedesco Spiegel nel 2012 pubblicò una lunga e accuratissima ricerca condotta dallo storico Felix Bohr negli archivi dell’Auswärtiges Amt, il ministero degli Esteri federale, dalla quale risultava che le diplomazie e le amministrazioni di Italia e Germania lavorarono insieme per sottrarre alla giustizia i responsabili della strage delle Fosse Ardeatine.
Per quell’orrenda rappresaglia, in cui furono uccisi 335 italiani, soltanto due tedeschi sono stati incriminati: il comandante della Gestapo a Roma Herbert Kappler, che poi fu aiutato a fuggire dal carcere, e, in tempi più recenti, il suo luogotenente Erich Priebke.
In realtà almeno altri tre ufficiali nazisti, che avevano avuto responsabilità precise e gravissime nell’eccidio, erano conosciuti e rintracciabili, ma vennero “risparmiati” in base a un accordo segreto tra Bonn e Roma. Si trattava di Carl-Theodor Schütz, l’uomo che aveva comandato il plotone di esecuzione, che nel 1959, quando fu stipulato il patto, lavorava nei servizi segreti della Repubblica federale, di Kurt Winden, che aveva stilato con Kappler la lista degli ostaggi da fucilare ed era il responsabile dell’ufficio legale della Deutsche Bank a Francoforte e il graduato delle Ss Heinz Thunat.
Bohr ha ricostruito i fatti partendo da una relazione inviata a Bonn
nel 1959 dal consigliere d’ambasciata tedesco a Roma Kurt von Tannstein, cui il passato di iscritto al partito nazista dal 1933 non aveva compromesso la carriera diplomatica. Nel suo rapporto Tannstein scriveva apertamente che l’obiettivo «auspicato insieme da tedeschi e italiani» era di «addormentare» le indagini sulla strage.
La prova di questa volontà era nel colloquio (anch’esso ricostruito
da Bohr) avvenuto nell’ottobre del ’58 tra l’ambasciatore Manfred Klaiber e il capo della Procura militare di Roma, colonnello Massimo Tringali. Questi – risulta agli atti dell’Aa – avrebbe «espresso l’opinione che da parte italiana non c’è alcun interesse a portare
nuovamente all’attenzione dell’opinione pubblica il problema della fucilazione di ostaggi italiani, in particolare di quelli delle Fosse Ardeatine». Il motivo di questo «disinteresse» era di natura tutta politica. Il governo italiano dell’epoca riteneva che rivangare l’eccidio avrebbe favorito la «propaganda comunista» e che sarebbe stato un precedente pericoloso per Roma, che era oggetto di varie richieste di estradizioni di criminali di guerra italiani, specialmente da parte della Jugoslavia. Il più famoso era il generale Mario Roatta, autore di ferocissime repressioni, «da attuare senza false pietà», in Croazia e in Slovenia.
L’ambasciatore Klaiber, anch’egli ex iscritto al partito nazista, aveva scritto per il ministero degli Esteri di Bonn una nota in cui appoggiava la «ragionevole posizione italiana» e invitava a sostenere la tesi secondo cui non sarebbe stato possibile rintracciare il luogo di residenza dei responsabili, ammesso che «fossero ancora in vita». In realtà Schütz, Winden e Thunat erano non solo vivi, vegeti e nient’affatto pentiti, ma erano anche perfettamente rintracciabili: il primo era addirittura un dirigente dei servizi segreti federali.
Le autorità italiane finsero di credere a questa «impossibilità». Diciotto anni dopo l’unico responsabile nelle mani della giustizia italiana, Herbert Kappler, fu fatto fuggire dall’ospedale militare del
Celio. (informazioni da Paolo Soldini, Fosse Ardeatine
«Patto Roma-Bonn per salvare i nazisti». L’Unità 16 gennaio 2012)
da Maurizio Acerbo prc