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Ipocrisia in prima pagina: il doppio standard dell’informazione occidentale

La prima pagina di Repubblica di oggi è un perfetto esempio – se mai ce ne fosse ancora bisogno – dell’ipocrisia occidentale e del doppio standard sistematico con cui la nostra “libera” informazione tratta le notizie di guerra. Libera, si fa per dire. Libera da cosa, viene da chiedersi, se non dalla responsabilità di essere onesta?

Due tragedie, due scenari di guerra, due notizie sulla stessa pagina. Ma il trattamento riservato a ciascuna non potrebbe essere più diverso. La prima: l’attacco russo a Summy. Un evento drammatico, su cui però, come al solito, si riportano solo le fonti ucraine, senza alcun tentativo di verifica indipendente o di ascolto di voci alternative. Eppure esistono ricostruzioni differenti: alcune parlano di un tragico incidente, altre della conseguenza – forse non prevista – di un attacco mirato a obiettivi militari.

Non solo. Secondo alcune fonti, sarebbero volati stracci tra le stesse autorità ucraine, a dimostrazione del fatto che la dinamica potrebbe non essere così chiara come ci viene raccontato. Non siamo in grado di fornire maggiori dettagli – e ci piacerebbe poterlo fare – ma avremmo sperato che chi il giornalista lo fa di mestiere avesse almeno tentato di approfondire, di ricostruire i fatti, invece di scegliere una versione comoda e allineata, senza fare domande scomode.

La narrazione, evidentemente già confezionata, si traduce nel titolo a caratteri cubitali: “Mosca fa strage di civili”, con tanto di foto gigante a tutta pagina. Il messaggio è chiaro, immediato, senza sfumature. I russi sono i cattivi, fine della storia.

Eppure, nella stessa edizione, poco sotto, compare un’altra notizia. Questa volta l’attacco è israeliano, l’obiettivo è un ospedale di Gaza – l’ultimo ancora funzionante, si legge. Anche qui ci sono vittime, anche qui si tratta di un luogo teoricamente protetto dalle convenzioni internazionali. Ma lo spazio dedicato è minimo, quasi una nota a piè di pagina. Il titolo? Sobrio, neutro, quasi distaccato: “Gaza City, raid israeliano sull’ultimo ospedale”. Nessuna parola come “strage”, nessun grido all’orrore, nessuna foto a tutta pagina.

Sorge spontanea una domanda: bombardare un ospedale non dovrebbe indignare sempre, a prescindere da chi preme il grilletto? Perché una strage è una strage, che sia provocata da Mosca o da Tel Aviv. Ma evidentemente, per certa stampa, la gravità di un crimine dipende dall’identità dell’aggressore.

Questo non è giornalismo: è propaganda selettiva. Ed è anche per questo che la fiducia nell’informazione tradizionale crolla ogni giorno di più.

Di L.M.

Appassionato sin da giovanissimo di geopolitica, è attivo nei movimenti studenteschi degli anni novanta. Militante del Prc, ha ricoperto cariche amministrative nel comune di Casteldelci e nella C.M. Alta Valmarecchia. Nel 2011 crea il blog Ancora fischia il vento.

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