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Sulle colonne del Manifesto (4 luglio 2025) Vincenzo Vita interviene sulla crisi del Ministero della Cultura, segnato da abbandoni e uscite di scena da parte di importanti dirigenti: la contesa in atto per il Ministro Giuli è l’impadronirsi del cinema italiano considerato un fattore dirimente per la conquista di quell’egemonia cui la destra aspira cercando addirittura di utilizzare – come giustificazione teorica – categorie gramsciane.
Giuseppe Giulietti ha commentato l’articolo inserendo il tema del come l’ assalto al pensiero critico sia il tema centrale: la destra non riuscendo a realizzare egemonia con la forza degli argomenti ora sta passando alla fase dello squadrismo e delle epurazioni, che arrivano a colpire anche i più moderati.
Se così stanno le cose ( e c’è poco da dubitare) il punto allora risiede davvero nell’assalto al pensiero critico e la conseguente realizzazione da parte della destra di un’egemonia che lo emargini e lo escluda.
Vale la pena allora andare a fondo anche perchè è necessario non sottovalutare, attrezzarci, respingere e ribaltare questo attacco.
Occorre individuare l’oggetto del contendere, quello che Vita individua così: “Il sovranismo in salsa italiota ha compiuto un vero disastro, miscelando passati ingloriosi e ossequio ai poteri contemporanei”.
Possiamo allora ben affermare che in questa miscela risiede davvero un potenziale esplosivo.
L’agire politico”sembra ormai ristretto in un confronto tra l’etica e l’estetica.
Da un lato oggi, almeno nell’Occidente capitalistico sviluppato, appare, infatti,ormai egemone il rapporto tra l’estetica e la politica.
L’egemonia nel rapporto tra estetica e politica trova il suo fondamento nell’obiettivo di stravolgere la funzione dei mezzi di comunicazione.
L’estetica è ormai intesa come “visibilità” del fenomeno politico portato nella dimensione pubblica e questo tarlo è ben penetrato anche in settori insospettabili della costruzione intellettuale e informativa.
Meglio ancora,l’estetica ha invaso l’esercizio di riti collettivi e consensuali portati alla mostra della scena pubblica.
La prospettiva è quella della teatralità della scena politica e il ruolo di “attori” degli agenti politici.
Si è così valorizzato l’agire comunicativo in luogo di quello strategico ed è questo il vero punto di contatto con la dimensione “orizzontale” nel rapporto tra cultura e informazione.
Una “forma del politico” armoniosa e composta dentro la cornice da un conflitto al più agonistico: laddove anche la più stridente contraddizione rimane “sovrastruttura” e il pubblico può essere oggetto soltanto di un processo di una gigantesca “rivoluzione passiva” mascherata da “democrazia del pubblico” .
Una “democrazia del pubblico” (da qualcuno a suo tempo mistificata da democrazia diretta) che viene esercitata in gran parte in agorà virtuali nelle quali si sta proprio imponendo una “egemonia della sovrastruttura”
E’ stato anche detto:un’estetica utilizzata da una politica il cui obiettivo è quello dell’ anestetizzazione del “dolore sociale”.
Una anestetizzazione che si realizza attraverso l’oblio della memoria e la costruzione di un “altro” immaginario collettivo basato sul concetto di “rivincita” al riguardo di una presunta emarginazione passata: costruendo cioè un’altra “parte della barricata” , quella della giustizia rivendicata per i “vinti”.
Sicuramente c’è bisogno di rielaborare il “dolore sociale” tornando a partire, all’opposto della visione populista, dal coacervo di contraddizioni che hanno acuito il conflitto e che adesso debbono essere intrecciate con il concetto del limite che incontra il dominio umano sulla natura e sulla tecnologia.
Rimane intero il “dolore sociale” dello sfruttamento comunque agito nella società in una dimensione ben più vasta dello sfruttamento esercitato a suo tempo sul “lavoro vivo”.
La domanda finale è questa: nell’era digitale è forse quello dell’egemonia della sovrastruttura il solo orizzonte possibile e occuparsene in quei termini diventerà la forma esclusiva dell’azione politica all’interno della logica dominante della ricerca di un “potere sull’estetica”?
Sarebbe necessario essere capaci di esprimere con semplicità un secco “NO” ma la replica appare invece quanto mai difficile e complicata.
La deriva che sta assumendo la riflessione culturale attorno al nodo degli strumenti di accesso all’informazione e a quelli della pedagogia di massa (compresi i social network ma con cinema e TV generalista ancora al centro del mirino) pare essere il punto di una riflessione che avrebbe bisogno di recuperare antiche categorie e inventarne di nuove.