Nel mondo di oggi, dove ogni crimine è documentato in tempo reale, dove ogni atrocità può essere vista in diretta streaming, la brutalità del regimi israeliano raggiunge livelli talmente estremi da costringerci a riaprire i libri di storia alla ricerca di paragoni. E non li troviamo nell’oggi. Non tra i governi contemporanei, non tra i despoti moderni. Per trovare qualcosa di simile, dobbiamo tornare agli anni Novanta, alla follia del Ruanda. O andare ancora più indietro: al bagno di sangue di Pol Pot, allo sterminio sistematico degli armeni, alla macchina industriale di morte nazista.

È tempo di smetterla con i giri di parole: quanto sta accadendo a Gaza ha tutti i contorni di un genocidio. Non serve l’approvazione formale di un tribunale internazionale per chiamare le cose col loro nome. Oltre 60.000 morti, secondo le stime ufficiali. Ma quelle non tengono conto dei dispersi, dei bambini e delle famiglie intere sepolte vive sotto le macerie, dei corpi mai estratti, mai registrati. Né considerano i morti futuri: per fame, per malattie, per le ferite non curate. Il numero reale potrebbe facilmente avvicinarsi – o superare – il mezzo milione di vittime.

Non c’è nulla di “difensivo” in questa carneficina. Non c’è nulla di proporzionato, nulla di giustificabile. Le immagini che escono ogni giorno da Gaza – ospedali rasi al suolo, neonati uccisi, scuole trasformate in fosse comuni – non sono “effetti collaterali”. Sono atti deliberati, sistematici, portati avanti con la consapevolezza dell’impunità.

E infatti l’impunità regna sovrana.

Qualche timida condanna arriva da parte delle istituzioni internazionali. Qualche appello, qualche voto simbolico, qualche “preoccupazione” espressa con tono sommesso. Ma nulla di concreto. Nessuna sanzione, nessun mandato d’arresto, nessuna pressione reale. Solo silenzio. O peggio: complicità attiva da parte di chi, armando e finanziando, rende tutto questo possibile.

Il mondo intero guarda. E tace.

Non può esserci pace, né giustizia, finché chi commette crimini contro l’umanità non viene chiamato a risponderne. E allora diciamolo chiaramente: ci vuole una nuova Norimberga. Una Norimberga per Israele, per Netanyahu, per i suoi ministri, per i generali che pianificano lo sterminio con freddo calcolo.

Non perché “antisemiti”, ma perché umani. Perché la memoria dell’Olocausto, che dovrebbe essere uno strumento di prevenzione e coscienza, è stata usata come scudo per giustificare altri crimini. Perché chi ha conosciuto l’abisso dovrebbe essere il primo a impedire che si apra di nuovo.

E invece oggi Israele è diventato lo Stato che ruba la terra, bombarda i bambini e cancella interi quartieri, in nome di una sicurezza che ha il sapore dell’apartheid e dell’annientamento etnico.

C’è un popolo sotto assedio. E un altro che si proclama vittima eterna mentre diventa carnefice. Chi tace, chi giustifica, chi cerca di equilibrare la narrazione è parte del problema.

La storia non dimenticherà. E quando tutto sarà finito – se mai finirà – il mondo dovrà guardarsi allo specchio e chiedersi: cosa abbiamo fatto, mentre il genocidio avveniva sotto i nostri occhi?

Di L.M.

Appassionato sin da giovanissimo di geopolitica, è attivo nei movimenti studenteschi degli anni novanta. Militante del Prc, ha ricoperto cariche amministrative nel comune di Casteldelci e nella C.M. Alta Valmarecchia. Nel 2011 crea il blog Ancora fischia il vento.

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