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Eugenio Cardi

L’evacuazione forzata di un milione di palestinesi e la carestia a Gaza si intrecciano con i profitti record dell’industria bellica europea e israeliana. Il silenzio dell’UE, tra calcoli geopolitici e ipocrisia morale, segna un precipizio etico senza precedenti.

L’emergenza umanitaria di Gaza e il silenzio dell’Occidente

Il gabinetto di sicurezza israeliano ha approvato un piano per l’evacuazione forzata di circa un milione di palestinesi da Gaza City, con l’obiettivo di completare lo sgombero entro il 7 ottobre 2025 – una data che segna il secondo anniversario dell’attacco di Hamas.

Questa decisione, presentata come necessità militare, solleva interrogativi etici fondamentali sulla responsabilità morale dell’Europa e della comunità internazionale.

Secondo le Nazioni Unite, oltre mezzo milione di persone – praticamente un individuo su quattro – rischia di morire di fame nella Striscia di Gaza, mentre l’intera popolazione continua a far fronte alla carestia. Di fronte a questa tragedia umanitaria senza precedenti, l’Europa mantiene un silenzio assordante, trasformando principi etici in calcoli geopolitici.

L’ipocrisia del commercio delle armi

La dimensione più sconcertante di questa crisi è il divario tra retorica e realtà nel commercio internazionale di armamenti. Gli Stati Uniti forniscono il 69% delle importazioni di armi israeliane, seguiti dalla Germania (30%) e dall’Italia (0,9%). Tuttavia, dietro queste cifre si cela una rete complessa di interessi economici che attraversa tutta l’Europa.

Tra il 2014 e il 2022, il valore totale delle licenze di esportazione degli Stati membri dell’UE verso Israele è stato di quasi 6,3 miliardi di euro. Una cifra che testimonia come il “business della morte” continui a prosperare anche mentre bambini, donne e civili innocenti pagano il prezzo ultimo di questa economia di guerra.

Il caso tedesco è emblematico: nel 2023, la Germania ha autorizzato 353 milioni di dollari in esportazioni di difesa verso Israele, un aumento di quasi dieci volte rispetto all’anno precedente. Eppure, Berlino continua a parlare di “ragion di Stato” come giustificazione etica per il suo sostegno militare a Israele.

Una risposta europea frammentata e insufficiente

risposta dell’Unione Europea rivela una dolorosa mancanza di leadership morale. Solo la Slovenia è riuscita a diventare il primo paese dell’UE a vietare completamente il commercio di armi con Israele, mentre altri Stati membri si limitano a sospensioni parziali o dichiarazioni di principio prive di conseguenze concrete.

Come ha denunciato la capogruppo dei Socialisti europei Iratxe Garcia Perez: “Come è possibile che la signora von der Leyen non abbia mai condannato in modo chiaro e fermo questi crimini? Come può il Presidente della Commissione europea restare in silenzio di fronte a un progetto di sterminio e pulizia etnica trasmesso in diretta, ogni giorno, da Gaza?”

La domanda è devastante nella sua semplicità: perché l’Europa, che ha risposto con energia e rapidità all’invasione russa dell’Ucraina, rimane paralizzata di fronte alla tragedia palestinese?

Il peso del “Dio Denaro”

La risposta si trova nei numeri che rivelano la dimensione economica di questa tragedia. Nel 2024, gli Stati europei hanno acquistato quasi 8 miliardi di dollari di prodotti militari israeliani, rispetto ai 4,6 miliardi del 2023. Un incremento del 73% che dimostra come la guerra diventi, paradossalmente, un’opportunità di profitto.

Le esportazioni di armi israeliane hanno raggiunto il record di 14,8 miliardi di dollari nel 2024, con l’Europa che rappresenta il 54% del mercato totale. Questi dati rivelano una verità scomoda: la sofferenza umana genera profitti straordinari per l’industria bellica europea e israeliana.

La “dottrina del profitto” ha sostituito la dottrina dei diritti umani. Il risultato è un’Europa che predica pace e giustizia mentre alimenta la macchina della guerra.

Le conseguenze dell’inazione

L’evacuazione forzata di un milione di palestinesi non è solo una questione politica o militare: è una questione di coscienza collettiva. Come denunciato dall’Alto Commissario per i Diritti Umani dell’ONU Volker Türk, il piano israeliano “contraddice la sentenza della Corte Internazionale di Giustizia secondo cui Israele deve porre fine alla sua occupazione il prima possibile”.

Ogni giorno di silenzio europeo è complice di quella che molti osservatori internazionali considerano una pulizia etnica in corso. Come riportato da diversi osservatori, il piano rappresenta “l’ennesima tappa di una strategia di pulizia etnica volta a cancellare la presenza palestinese da Gaza”.

Verso una responsabilità etica collettiva

Il tempo delle mezze misure è finito. L’Europa deve affrontare una scelta etica fondamentale: continuare a nascondersi dietro calcoli geopolitici e interessi economici, oppure riconoscere che la dignità umana non ha prezzo.

È assolutamente necessario e urgente:

  • Un embargo totale e immediato sulle armi verso Israele da parte di tutti gli Stati membri dell’UE, seguendo l’esempio coraggioso della Slovenia.
  • La sospensione di tutti gli accordi economici e commerciali con Israele fino al cessate il fuoco permanente e al rispetto del diritto internazionale.
  • Un ponte aereo umanitario europeo indipendente per Gaza, che aggiri le restrizioni israeliane e porti aiuti direttamente alla popolazione civile.
  • Il sostegno pieno alle indagini della Corte Penale Internazionale e il riconoscimento immediato dello Stato di Palestina da parte di tutti gli Stati membri.

La storia giudicherà l’Europa di oggi con la stessa severità con cui giudichiamo coloro che rimasero in silenzio di fronte alle tragedie del passato. Come ha chiesto provocatoriamente Garcia Perez: “Vogliamo che l’Unione Europea passi alla storia per aver ripetuto gli errori della comunità internazionale in Ruanda e a Srebrenica?”.

Il silenzio complice dell’Europa di fronte alla tragedia palestinese non è solo un fallimento politico: è un collasso morale che mina le fondamenta stesse del progetto europeo basato sui diritti umani e sulla dignità.

Non possiamo permetterci di essere spettatori passivi mentre un milione di persone viene deportato dalle proprie case. Non possiamo continuare a profittare dalla sofferenza umana in nome di interessi geopolitici.

Il momento di agire è ora. Il momento di scegliere da che parte della storia stare è arrivato

Di L.M.

Appassionato sin da giovanissimo di geopolitica, è attivo nei movimenti studenteschi degli anni novanta. Militante del Prc, ha ricoperto cariche amministrative nel comune di Casteldelci e nella C.M. Alta Valmarecchia. Nel 2011 crea il blog Ancora fischia il vento.

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