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Chiara Pannullo

Dal click-day al GOL, il lavoro in Italia è stato svuotato di diritti e ridotto a strumento di controllo. Precarietà, ricatto e repressione segnano una ristrutturazione capitalistica che frammenta la forza-lavoro e neutralizza ogni conflitto. Comprenderla è il primo passo per reagire.

Dignità sotto click: come lo stato trasforma il lavoro in disciplinamento

Negli ultimi anni, il mondo del lavoro in Italia è stato attraversato da una ristrutturazione capitalistica di segno regressivo, che ha inciso non soltanto sulle condizioni materiali della forza-lavoro ma anche sulle forme della sua subordinazione politica e sociale.

Sotto l’apparenza di politiche attive e riforme amministrative, si è affermato un insieme coerente di dispositivi che, lungi dal garantire dignità al lavoro, ne sanciscono la riduzione a merce e ne neutralizzano la soggettività collettiva.

Emblematico di questa dinamica è il click-day: procedura amministrativa che converte un diritto collettivo in una gara tra individui, in cui l’accesso a contratti o sussidi è subordinato alla rapidità nel presentare la domanda online. Un artificio che legittima la scarsità di risorse, colpevolizza l’esclusione, frantuma ogni solidarietà.

Esemplari, in questo senso, i bandi per lavori socialmente utili in Campania (2024-2025), i bonus nazionali per assistenti familiari INPS (2023), o le borse lavoro giovanili assegnate mediante click-day in Calabria e Puglia.

Non meno significativo è il GOL – Garanzia di Occupabilità dei Lavoratori, introdotto nel 2021 come parte del PNRR, che vincola i disoccupati, i percettori di ADI, le donne e gli over 55 a percorsi obbligatori di formazione, tirocini e colloqui. Non produce occupazione stabile, ma agisce come dispositivo di disciplinamento, alimentando la frammentazione e abbassando la capacità contrattuale della forza-lavoro. Esempi concreti sono i percorsi coatti imposti dagli sportelli per l’impiego in Emilia-Romagna agli ex percettori del Reddito, i tirocini per under-30 in Lombardia, i corsi di “soft skills” per beneficiari ADI nel Lazio.

A completare il quadro intervengono altre misure di repressione e precarizzazione: l’ADI stesso, erede del Reddito di Cittadinanza voluto dal governo Meloni nel 2024, condiziona la sopravvivenza economica all’accettazione di impieghi o corsi, con sospensioni dei benefici in casi come quelli verificatisi a Torino.

Le leggi “di sicurezza”, inasprite col decreto Salvini del 2018, criminalizzano scioperi, picchetti e occupazioni (artt. 340, 633, 337 c.p.), come dimostrano le condanne inflitte ai lavoratori FIOM per i blocchi di Terni (2022). La liberalizzazione dei contratti flessibili e dei voucher, avviata con il Jobs Act (2015) e rilanciata col DL 48/2023, ha reso la precarietà sistemica, come ben testimoniano le condizioni degli stagionali migranti nei distretti agricoli di Latina e Ragusa.

Questi dispositivi non sono accidenti né derive: sono strumenti organici della ristrutturazione capitalistica contemporanea, che trasforma la disoccupazione in riserva industriale, frammenta la classe lavoratrice, reprime ogni insorgenza collettiva.

Lo Stato borghese non svolge alcuna funzione di mediazione neutrale: è il garante attivo dell’ordine sociale, che utilizza la crisi come opportunità per comprimere salari e disarticolare la coscienza di classe.

Riconoscere la natura politica di questa strategia è il presupposto per disinnescarne la logica. Restituire al lavoro la sua dimensione collettiva e conflittuale non è un atto nostalgico, ma la condizione per affermare che la dignità non è compatibile con la riduzione dell’uomo a forza-merce. Comprendere la ristrutturazione in atto significa già cominciare a combatterla.

Di L.M.

Appassionato sin da giovanissimo di geopolitica, è attivo nei movimenti studenteschi degli anni novanta. Militante del Prc, ha ricoperto cariche amministrative nel comune di Casteldelci e nella C.M. Alta Valmarecchia. Nel 2011 crea il blog Ancora fischia il vento.

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