Giuseppe Gagliano

La caduta lampo del governo Lecornu, dopo appena quattordici ore, è un episodio che va ben oltre la cronaca politica. È il sintomo di una crisi istituzionale profonda che attraversa la Francia e che ha nel suo epicentro la figura di Emmanuel Macron e il suo indirizzo politico centrista liberal-tecnocratico. Non si tratta più soltanto di instabilità governativa o di tensioni politiche fisiologiche. Si tratta di una frattura strutturale tra la verticalità presidenziale e la nuova realtà parlamentare, tra la rigidità di un uomo e la fluidità di un Paese che non risponde più agli stessi meccanismi di potere.

La verticalità macroniana di fronte alla realtà

Dall’inizio del suo mandato, Macron ha costruito il suo potere su un principio semplice ma assoluto: la verticalità. Un modello “gioviano”, che pone l’Eliseo al centro di ogni decisione e relega il Parlamento al ruolo di cassa di risonanza. Finché l’Assemblea nazionale era controllata dalla sua maggioranza, questa postura funzionava. Macron appariva deciso, determinato, quasi implacabile. Ma dopo le elezioni legislative del 2022, lo scenario si è capovolto. L’Eliseo non dispone più di una maggioranza assoluta, il Parlamento è frammentato, le opposizioni si moltiplicano e ogni riforma richiede compromessi, negoziazioni, capacità di mediazione.

Macron, però, non è un uomo del compromesso. La sua idea di potere è monolitica. Al cambiamento strutturale ha risposto con la ripetizione ossessiva del suo metodo: imposizione, accelerazione, uso sistematico dell’articolo 49.3 per bypassare il Parlamento. È qui che la psicologia del leader si trasforma in problema politico. Ciò che un tempo appariva come determinazione ora si rivela per ciò che è: rigidità cognitiva, incapacità di adattamento, chiusura strategica.

Un sistema costruito per un monarca repubblicano

La Quinta Repubblica è stata pensata per un presidente forte, sostenuto da una maggioranza parlamentare fedele. È un sistema iper-presidenziale, che funziona se e solo se l’esecutivo dispone di un consenso solido. Quando questo consenso viene meno, come avviene oggi, il sistema si inceppa. L’architettura istituzionale non prevede veri meccanismi di flessibilità. Tutto ruota attorno al Presidente, ma se il Presidente non è in grado di cambiare registro, la macchina si paralizza.

Macron, con il suo stile di governo solitario, è diventato l’incarnazione di questo blocco. Invece di reinventarsi in senso parlamentare, ha preferito trasformare ogni votazione in uno scontro di forza. Non costruisce alleanze, le pretende. Non cerca interlocutori, li piega o li ignora. È questo che spiega la vicenda Lecornu: un governo nato già morto perché costruito sulla negazione della realtà politica.

Lecornu e l’implosione annunciata

La nomina del nuovo governo, presentata come “apertura”, è stata in realtà un’operazione di pura fedeltà. Macron ha scelto i suoi, ignorando le condizioni poste da potenziali alleati. Ha trattato le linee rosse come se non esistessero. È stato un atto di arroganza politica e, insieme, un riflesso condizionato di un potere che non sa più ascoltare.

La reazione non si è fatta attendere. Bruno Retailleau e altri interlocutori hanno ritirato il loro appoggio. Le trattative si sono dissolte in poche ore. Quattordici ore, per la precisione: tanto è bastato perché un governo appena nato si sbriciolasse sotto il peso delle sue stesse premesse. Non è stata un’azione di opposizione, ma una resa dei conti con la realtà.

La rigidità del potere come fattore di crisi

La crisi attuale non è figlia della debolezza dell’esecutivo, ma della rigidità del suo vertice. Macron continua a governare come se nulla fosse cambiato, come se la Francia fosse ancora quella del 2017. Ma oggi l’Assemblea è frammentata, i partiti intermedi si riorganizzano, la società è polarizzata e sfiduciata. In questo contesto, la verticalità non è più una forza, ma un peso. Ogni tentativo di passaggio in forza approfondisce la frattura tra l’Eliseo e il Paese reale.

La Quinta Repubblica era stata concepita per garantire stabilità. Paradossalmente, proprio la rigidità della sua architettura sta producendo l’effetto opposto: un’instabilità cronica simile a quella della Quarta, ma per ragioni inverse. Non è la debolezza a generare caos, è l’incapacità di adattarsi alla nuova realtà.

Una crisi politica che diventa crisi di regime

La crisi politica, provocata da un insieme di più fattori, si è ormai trasformata in crisi di regime. Macron non è più soltanto il garante delle istituzioni: è diventato il principale fattore di blocco. Non riesce ad adattare la presidenza a un contesto che richiede cooperazione e orizzontalità. Ogni scelta accentua la distanza tra la testa e il corpo politico del Paese.

Se nei primi anni la figura di Macron è stata percepita come quella di un “uomo forte” in grado di garantire stabilità, oggi è vista sempre più come l’ostacolo da rimuovere per far funzionare il sistema. È un ribaltamento simbolico pesante: l’uomo che voleva incarnare la stabilità è diventato il motore dell’instabilità.

Il bivio francese

La Francia si trova oggi davanti a un bivio. Da un lato, un presidente prigioniero della propria rigidità mentale e politica. Dall’altro, un sistema istituzionale incapace di funzionare senza flessibilità. Questa combinazione esplosiva può portare solo a due scenari: un adattamento forzato, con un’inversione di rotta radicale, o un collasso istituzionale che riapra il dibattito sulla stessa natura della Quinta Repubblica.

Macron ha costruito la sua immagine su una promessa di modernità e di controllo. Oggi quella stessa immagine si ritorce contro di lui. Più cerca di tenere insieme l’edificio con la forza, più ne provoca le crepe. È il paradosso del potere rigido in un contesto fluido: prima o poi, si spezza

Di L.M.

Appassionato sin da giovanissimo di geopolitica, è attivo nei movimenti studenteschi degli anni novanta. Militante del Prc, ha ricoperto cariche amministrative nel comune di Casteldelci e nella C.M. Alta Valmarecchia. Nel 2011 crea il blog Ancora fischia il vento.

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