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ll 18 ottobre scende nuovamente in campo il movimento di massa statunitense “No Kings” (“Nessun re – negli Stati Uniti”), svoltosi già il 14 giugno scorso in contemporanea con la parata militare organizzata da Trump a Washington, costata dai 25 ai 40 milioni di dollari (alla faccia dei massicci tagli sociali inclusi della legge di bilancio). In quel giorno di giugno, in città grandi e piccole degli Stati Uniti, 5 milioni di persone parteciparono a 1.800 cortei, manifestazioni, raduni, organizzati da una coalizione di più di 150 organizzazioni, ambientaliste, sindacali e dei diritti civili, laiche e religiose.

Il 18 ottobre sono ancor di più le organizzazione aderenti alla mobilitazione. Le principali sono American Civil Liberties Union, American Federation of Teachers, 50501, Human Rights Campaign, Indivisible e MoveOn. L’obiettivo comune è essere la più grande mobilitazione di massa nella recente storia degli USA, articolata in 2.500 eventi che sono diffusi in tutti i 50 Stati dell’Unione. Manifestazioni avverranno anche in alcune città del mondo, organizzate da statunitensi fuori dal Paese.

Il momento di alzarsi in piedi, riaffermando che “l’America non ha un re”, è quanto mai opportuno. Per contrastare la repressione della libertà di parola, il silenziamento del dissenso, la deportazione in altre Nazioni compiacenti e a Guantanamo di persone senza documenti, le politiche governative che danno soldi ai miliardari, riducono le spese sociali (tra cui le coperture sanitarie “Medicare” e “Medicaid”, oggetti di tagli di un trilione di dollari), vessano i lavoratori e distruggono l’ambiente.

E anche per mettere uno stop alla repressione del dissenso, che evidenzia la storica propensione di Trump a minacciare d’arresto i propri avversari politici; come sta facendo col sindaco di Chicago e col governatore dell’Illinois, contrari entrambi ai raid contro gli immigrati senza documenti da parte della polizia delle frontiere ICE. Truppe inviate nelle città amministrate dal Partito Democratico, provenienti dagli Stati governati dal Partito Repubblicano. Evidenziando con ciò un latente pericolo di spaccatura della Nazione.

Repressione, centrata sui soggetti a vario titolo più deboli (immigrati, senzacasa, dipendenti federali). Ma anche con attacchi a organizzazioni politiche e associazioni. Il più recente, e il primo di una prevedibile sequela, ad inizio settembre, contro Antifa. Che non è un’organizzazione strutturata ma piccoli gruppi sparsi e non coordinati tra loro che cercano di opporsi alla crescita delle organizzazione fasciste. Le quali sono utilizzate dal potere (alcune delle quali erano attive nell’assalto al Campidoglio del 6 gennaio 2021 e i loro membri amnistiati da Trump appena tornato alla presidenza), mentre ora Antifa è stata inserita nella lista delle “organizzazioni terroristiche interne”.

La recente adunata di tutti i generali statunitensi dislocati a livello mondiale, organizzata dal Ministero, che era denominato “della Difesa” e che ora è “della Guerra”, rappresenta il segnale che Trump intende trasferire all’interno del Paese le guerre esterne, prodotte in gran numero dagli USA negli ultimi 70 anni. Gli Stati Uniti, secondo il presidente, “sono oggetto di un’invasione dall’interno” e ha detto ai generali che dovrebbero “usare le città americane come terreni di addestramento”. Sta in sostanza andando in guerra contro i cittadini che non la pensano come lui, quelli che definisce il “nemico domestico”.

Per questo ha firmato il memorandum NSPM-7 sulla politica di sicurezza nazionale, intitolato “Contro il terrorismo domestico e la violenza politica organizzata”. Una disposizione meno comune degli ordini esecutivi che, emessi a centinaia dal presidente in questi 10 mesi, dirigono le operazioni governative quotidiane. Il memorandum invece imposta nuove politiche delle forze armate e dell’ordine pubblico (che con Trump tendono a diventare cose collegate); e anche dell’intelligence. Lo scopo è quello di fornire un quadro utilizzabile per individuare “indicatori” di futura violenza politica. Vi sono elencate come propensione alla violenza le idee di antiamericanismo, anticapitalismo, anti-cristianesimo e di sostegno al rovesciamento del governo degli Stati Uniti, le “opinioni di estremismo” in merito alle migrazioni, alla razza, al genere e quelle di ostilità verso coloro che hanno “opinioni tradizionali americane” sulla famiglia, sulla religione, sulla moralità. Non è difficile comprendere che l’obiettivo è quello di sorvegliare e di soffocare la libertà di parola su tutto ciò che non piace alla presidenza, considerando estremista professare una delle suddette opinioni; peggio ancora se le si organizza politicamente con iniziative di massa. Fattore non secondario, ciò potrebbe anche essere uno spunto per il padronato, che ha già innumerevoli possibilità per reprimere i tentativi di organizzazione sindacale, per licenziare i lavoratori sulla base del memorandum.

Anche il non inconsueto, negli Stati Uniti, shutdown del governo (iniziato ad inizio ottobre e ancora in vigore il 15.10), che accade quando il Congresso non riesce ad approvare la legge di bilancio, si è trasformato da parte dell’amministrazione in un’altra mossa autoritaria per licenziare definitivamente, cosa in passato mai avvenuta, altri 4.200 lavoratori federali, riducendo ancora il ruolo e l’organico del settore pubblico federale.

Trump presenta in questo ottobre in Parlamento ulteriori ridimensionamento del già scarso Stato Sociale e, dato che potrebbe non avere la maggioranza necessaria, dà la colpa del congelamento dei servizi e delle retribuzioni dei dipendenti federali ai parlamentari del Partito Democratico che si sono rifiutati di votare il disegno di legge, a meno che esso non includa sia la cancellazione di tagli già effettuati col cosiddetto One Big Beautiful Bill di luglio, che colpiscono 14 milioni di persone indigenti, sia una conferma degli sconti, che sono in scadenza, dei costi della copertura sanitaria dell’epoca covid. La caduta dei bonus per la salute comporterebbe un aumento medio del 75% della spesa dell’assistenza sanitaria per 22 milioni di persone.

35 sindacati a vari livelli del settore federale avevano firmato il 29 settembre una lettera aperta per esortare i parlamentari del Partito Democratico a combattere i tagli dell’amministrazione Trump, anche al prezzo di una chiusura del governo, che blocca, così come previsto negli USA, le attività e le retribuzioni degli impiegati federali, finché non vengono rifinanziate. Intitolata “No Bad Budget in Our Name”, la lettera dei sindacati, che rappresentano decine di migliaia di lavoratori federali, afferma che “i lavoratori federali rinunceranno volentieri alle buste paga (per un certo periodo) nella speranza di preservare i programmi sociali a cui dedichiamo il nostro lavoro”.

In questi giorni il Sindacato AFGE (American Federation of Government Employees), che rappresenta un milione di dipendenti pubblici federali, e la Federazione americana dei dipendenti di Stato, contea e municipali (AFSCME), hanno anche richiesto un cosiddetto ordine restrittivo temporaneo per impedire all’amministrazione Trump di effettuare riduzioni definitive di personale (che i sindacati definiscono illegali) durante il blocco degli stanziamenti pubblici e anche la sicurezza che gli stipendi persi per la “chiusura” siano poi pagati.

Lavoratrici e lavoratori pubblici sono stati in effetti i primi nel mondo del lavoro ad essere attaccati, con 200.000 licenziamenti già avvenuti, dall’offensiva reazionaria trumpiana, e in questi mesi hanno prodotto molte iniziative (manifestazioni, lettere aperte, una tendopoli a Washington), accusando l’amministrazione Trump di ostacolare o di smantellare le loro attività a servizio della popolazione. E anche di aver sostituito il testo dei messaggi e-mail automatici di essere “fuori sede” dei dipendenti del Ministero dell’Istruzione (in via di smantellamento) con una frase che attacca il Partito Democratico perché non vota la legge finanziaria proposta dal governo.

In questo contesto, il movimento No Kings ha segnalato il pericolo di un aumento della tensione politica col dispiegamento di una presenza militare in vista delle manifestazioni del 18 ottobre e ha organizzato riunioni per prepararsi con la non violenza a difendersi da aggressioni che potrebbero verificarsi. Le hanno precedute provocatoriamente alcuni esponenti del Partito Repubblicano: il senatore (del Kansas) Roger Marshall ha detto che la Guardia Nazionale dovrà “rispondere” ai manifestanti: “Dubito” – ha affermato il senatore – “che le manifestazioni siano pacifiche”. Trump finora non si è pronunciato se sabato dispiegherà le truppe della Guardia Nazionale. Anche il capogruppo del Partito Repubblicano alla Camera, Mike Johnson, un cristiano ultraconservatore, ci ha messo del suo, prefigurando “Remove the Regime”, la principale delle manifestazioni No Kings, che si svolgerà a Washington, come un “raduno dell’America dell’odio” che attirerà “l’ala pro-Hamas” e “il popolo Antifa”.

Il movimento No Kings, che enfatizza il carattere non violento delle manifestazioni, ha risposto che Johnson “invece di riaprire il governo, preservare l’assistenza sanitaria a prezzi accessibili e abbassare i costi per le famiglie che lavorano, sta attaccando milioni di americani che si stanno unendo pacificamente per dire che l’America appartiene alla propria gente, non ai re”. L’attore Robert De Niro, in un video diffuso sui social, ha ricordato le guerre combattute in nome della libertà e ha aggiunto: “Ora abbiamo un aspirante re, Re Donald Primo. Che si fotta!”. Un responsabile di organizzazioni dei veterani militari, in grande numero tra gli assistiti indigenti, ha affermato: “250 anni fa, gli americani si opposero a un re tiranno, generazioni dopo i nostri bisnonni sconfissero il fascismo all’estero. Ora sta a noi sconfiggere il fascismo in patria”.

Ora la partita che conta veramente la giocheranno i milioni di donne e uomini statunitensi che scenderanno nelle strade sabato 18.

Fonti principali:

https://www.nokings.org

https://actionnetwork.org/forms/civil-servants-coalition

A.RubinWhat to know about Oct. 18 “No Kings” protests, Axios, 14.10

Di Ezio Boero

Nato nel 1954 a Torino, s'avvicina progressivamente alla politica attiva a partire dal 1968 presso il IV Istituto Tecnico Commerciale. Aderisce nel tempo a Democrazia Proletaria, Rifondazione Comunista, Sinistra Critica. Oggi è iscritto alla CUB. Nel 1974 è nel Collettivo Studentesco di Scienze politiche; nel 1977-79 redattore di Radio Città Futura di Torino; una ventina d’anni delegato sindacale di reparto poi rappresentante CGIL nell’azienda dove lavorava; nel 1994 tra i costitutori di ALLBA (Associazione Lavoratrici e Lavoratori Bancari e Assicurativi). Tra i promotori dei Comitati di cittadini per la Difesa del Parco Sempione e Dora Spina Tre su cui ha scritto La Spina 3 di Torino, Trasformazioni e partecipazione: il Comitato Dora Spina Tre, 2011 e Da cittadella industriale a Spina 3: una riconversione incompiuta in Postfordismo e trasformazione urbana, IRES Piemonte, 2016. Segue le lotte sindacali e sociali degli Stati Uniti, argomento su cui ha scritto Storia sociale e del lavoro degli Stati Uniti, StreetLib, 2019 (aggiornato nel 2023), scrive articoli e aggiorna un sito web specifico: https://lottesocialidegli-statiuniti.jimdosite.com/

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