Foto screenshot

Cecilia Miglio 

Buenos Aires. «Qualsiasi regime che perseguita o elimina i giornalisti si comporta come una dittatura», afferma da Gaza Rizek Abdeljawad, reporter palestinese dell’agenzia di stampa cinese Xinhua. In Argentina, il giornalista e fotoreporter Emmanuel Coria, di FM La Tribu, documenta la stessa “logica del nemico” nelle strade: il potere autoritario che mira a eliminare chi informa. E’ il manuale globale contro la stampa.

Rizek Abdeljawad, uno dei centinaia di giornalisti palestinesi sfollati, descrive uno scenario di devastazione. «È il minimo che possiamo offrire», dice Abdeljawad a questa cronista, «far sentire la voce delle persone assassinate dalle macchine di guerra israeliane».

Il suo lavoro, come quello dei suoi colleghi, è un atto di resistenza collettiva. Come racconta lo stesso Abdeljawad, giornalisti di diverse agenzie o freelance si riuniscono ogni giorno per pianificare quali immagini e testimonianze possano scuotere la coscienza del mondo. Lo fanno nonostante i blocchi di internet, la mancanza di elettricità e le distruzioni; camminano per chilometri per trovare un luogo dove ricaricare l’attrezzatura e inviare le foto, uniti dal dovere etico di far sapere al mondo ciò che accade.

La testimonianza di Rizek arriva in mezzo a un cessate il fuoco fragile, concordato il 10 ottobre 2025 ma ripetutamente violato. In realtà, la tregua è stata infranta da un attacco aereo israeliano il 19 ottobre, che ha causato almeno 45 morti palestinesi, seguito da nuovi bombardamenti nei giorni successivi. La fame, inoltre, è diventata una tattica deliberata: secondo i rapporti del 24 ottobre, coloni del gruppo estremista Tsav 9 agiscono come un braccio armato, bloccando gli scarsi camion di aiuti umanitari al valico di Kissufim.

Ciò che Rizek documenta è la fase più letale di quella che questo articolo definisce “la logica del nemico”: un manuale di tattiche condivise dalla nuova destra globale per silenziare la stampa. Questa analisi, basata su interviste a giornalisti sul campo, identifica una strategia articolata in più fasi.

Fase 1: La delegittimazione retorica

Il primo passo è verbale e il suo principale veicolo sono i social network: la “catena di comando” digitale. Leader come Trump e Milei hanno perfezionato questo metodo, utilizzando piattaforme come X (ex Twitter) o Truth Social per aggirare l’intermediazione della stampa tradizionale e comunicare direttamente con le proprie basi. Da lì, screditano i media e lanciano attacchi virulenti e personalizzati, segnando i giornalisti come “nemici” ed esponendoli alle molestie dei loro seguaci.

Il metodo è stato reso popolare da Donald Trump. Durante la sua presidenza, definì sistematicamente testate come CNN e The New York Times “nemici del popolo”, etichettando qualsiasi copertura sfavorevole come fake news (notizie false).

Il suo alleato Benjamin Netanyahu ha replicato la tattica. Il 1° aprile 2024, il parlamento israeliano ha approvato la cosiddetta “Legge Al Jazeera”, che consente al governo di chiudere media stranieri. In dichiarazioni pubbliche, Netanyahu è stato esplicito nel definire la rete “un canale terrorista” che “danneggia la sicurezza nazionale”.

In Argentina, Javier Milei importa quel manuale e lo radicalizza. Dalla sua account personale su X, attacca sistematicamente la stampa con un repertorio di insulti ormai ricorrenti: definisce i giornalisti “bugiardi”, “corrotti”, “imbustati” (cioè corrotti con denaro), “sicari mediatici” o “iene”. Nei suoi discorsi ha persino affermato che “la gente odia i giornalisti”, cercando di ridurre il loro lavoro a una transazione immorale e di trasformarli in un bersaglio per le aggressioni.

Fase 2: L’attacco istituzionale

La retorica prepara il terreno all’azione dello Stato. L’amministrazione Milei ha agito di conseguenza il 1° marzo 2024, annunciando la chiusura dell’agenzia di stampa nazionale Télam, definendola pubblicamente una “agenzia di propaganda” e mettendo a tacere uno dei principali media pubblici dell’America Latina.

Questa mossa riflette quanto accaduto negli Stati Uniti. Secondo rapporti del febbraio 2025, l’amministrazione Trump ha annunciato l’intenzione di sottrarre all’Associazione dei Corrispondenti della Casa Bianca (WHCA) il suo ruolo storico nell’assegnazione delle credenziali, con l’obiettivo di ottenere il controllo totale sull’accesso dei giornalisti. In Israele, la “Legge Al Jazeera” è servita come base legale per perquisire gli uffici della rete a Gerusalemme e sequestrarne le apparecchiature.

Fase 3: La violenza fisica

È la fase finale, in cui la disumanizzazione verbale legittima l’attacco concreto.
Il giubbotto con la scritta “STAMPA”, che un tempo proteggeva, oggi è diventato un bersaglio deliberato. Abdeljawad lavora in un contesto in cui oltre 224 colleghi sono stati uccisi dalle forze israeliane dal 2023, in quella che la Federazione Internazionale dei Giornalisti (FIP) definisce un “annientamento del testimone”. Il pericolo è rimasto evidente anche dopo la tregua, con l’assassinio del giornalista Saleh al-Jafarawi, colpito a morte il 12 ottobre 2025 mentre documentava scontri.

La stessa logica, con diversa intensità, si manifesta in Argentina. «Il giornalismo esiste per mettere a disagio il potere», afferma Emmanuel Coria.

Anche qui la retorica presidenziale si traduce in violenza fisica. Il segretario del Sindacato della Stampa di Buenos Aires (SiPreBA), Agustín Lecchi, ha denunciato più volte l’esistenza di un “piano sistematico di silenziamento”, affermando che il discorso governativo “autorizza la violenza nelle strade”. I dati lo confermano: solo durante la repressione della cosiddetta Ley Ómnibus, oltre 50 lavoratori dei media sono rimasti feriti.

Il punto di svolta è stato il caso del fotoreporter Pablo Grillo. Mentre copriva una manifestazione, un colpo sparato alla testa dalla Gendarmeria gli ha provocato multiple fratture. La risposta ufficiale, nelle parole dell’allora ministro Guillermo Francos, è stata definirlo un “incidente imprevisto”.

Dopo sette interventi chirurgici ricostruttivi, le conseguenze sono pressoché irreversibili. La madre di Grillo, María del Carmen, lo ha descritto in una lettera straziante alla giudice: «Mio figlio non è più Pablo. Non mangia, parla a stento. […] Non cerco vendetta, voglio e vogliamo Giustizia

La resistenza: il “Metodo Grillo”

La risposta dei giornalisti è stato il cosiddetto “Metodo Grillo”: un archivio collaborativo di video e fotografie (inclusi quelli di Coria) che ha smentito la versione ufficiale. Grazie a questa contro-vigilanza giornalistica, la giustizia ha potuto identificare e processare il gendarme responsabile dello sparo, Héctor Jesús Guerrero. «Le prove smascherano direttamente le bugie ufficiali», afferma Coria.

Le geografie e le intensità sono diverse – in Argentina i reporter usano caschi e maschere antigas; a Gaza vengono uccisi – ma la logica che entrambi descrivono è identica: il potere non tollera il testimone.

La resistenza, dunque, trova però anch’essa un terreno comune: la solidarietà. Il “Metodo Grillo” in Argentina e le reti di reporter a Gaza diventano un archivio collettivo contro l’impunità. Dalla devastazione, Rizek Abdeljawad ha appreso del caso Grillo e ha inviato un messaggio: «Esprimo le mie condoglianze alla famiglia di ogni giornalista ucciso o ferito nell’esercizio del suo lavoro.»
Una solidarietà che dimostra che, di fronte alla menzogna, il giornalismo collaborativo è l’ultimo atto di coscienza. E bombe e proiettili non possono mettere a tacere la verità quando un popolo informato decide di sostenerla

https://www.altrenotizie.org/primo-piano/10840-silenziare-il-testimone.html

Di L.M.

Appassionato sin da giovanissimo di geopolitica, è attivo nei movimenti studenteschi degli anni novanta. Militante del Prc, ha ricoperto cariche amministrative nel comune di Casteldelci e nella C.M. Alta Valmarecchia. Nel 2011 crea il blog Ancora fischia il vento.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Attenzione: alcune funzionalità di questa pagina potrebbero essere bloccate a seguito delle tue scelte privacy: