Impazza la battaglia per il voto utile (al Pd). Che però se ci si pensa è un nonsense politico. Persino controproducente in mancanza d’altro.

Voto utile a chi?

Di Fausto Anderlini*

Il voto utile non è un marchingegno calcolistico. Bensì quello che dà forza a una prospettiva e a una linea politica capace di interpretare bisogni sociali rilevanti nel quadro di un plausibile interesse nazionale.

Se questa linea è carente, confusa, contraddittoria se non infondata, oppure contraddetta dalla prassi, la richiesta di un voto utile a prescindere non può che ritorcersi come un boomerang contro chi lo richiede.

Alla fine non fa che rendere palese la debolezza sui fondamentali politici. Neanche agitare lo spauracchio del nemico in un estremo arrocco difensivo funziona.

Anche in una prospettiva oppositiva che mira a limitare i danni (primum vivere) è cruciale dare l’idea di un programma politico da gestirsi nel tempo nel quale l’elettore possa identificarsi almeno in potenza.

A Bologna vissi la campagna elettorale del ’99 che portò all’avvento della destra e dei moderati. Fra il primo è il secondo turno non facemmo altro che evocare i pericoli esiziali che la vittoria della destra avrebbe comportato per la città e la democrazia civica.

Eravamo incartati. Infatti invece che suscitare energie estreme nell’elettorato di sinistra (un sussulto, come era uso dire) la vicenda si risolse in una ulteriore smobilitazione che portò al sorpasso della destra.

Nelle elezioni regionali del Gennaio 2020 ci fu invece un voto utile che premiò il centro-sinistra, anche a prescindere da un accordo locale coi 5S. Un voto che funzionò non solo per tenere alla larga la destra dalla regione ma per dare fiato al governo giallo-rosso nazionale.

Cioè a una prospettiva strategica di alleanza in funzione di un progetto di governo in corso d’esercizio. Senza questa chiarezza della posta in gioco difficilmente l’insorgenza delle sardine (un colpo di reni del popolo progressista) avrebbe auto successo.

Il Pd ha rotto l’alleanza con Conte su due elementi di frattura: la fedeltà atlantica sulla questione ucraina e la fedeltà a Draghi nella politica interna. Col risultato di trovarsi a condividere coi Fratelli d’Italia (altrimenti dichiarato come competitor assoluto, se non il ‘nemico’) l’agenda internazionale e con l’establishment centrista l’agenda sociale (trovandosi peraltro scaricato anche su questo versante).

Un partito che si è messo nella condizione di gestire l’agenda d’altri, non la propria. Laddove ben altro interesse avrebbe suscitato una politica volta a riprendere il filo programmatico del governo-giallo rosso rivendicandolo come proprio. Un progetto politico e uno schieramento col dono della chiarezza.

Tanto più essendo in vigore l’attuale legge elettorale. Il risultato è che il Pd non solo si è privato dell’unica prospettiva agibile di governo sul piano elettorale, ma ha anche finito per stigmatizzare come un fallimento la stessa esperienza di governo del Conte due.

Cattivi calcoli lo hanno indotto a pensare che il M5s fosse ormai all’ultimo respiro, ormai condannato al una forma di ribellismo sterile delle origini (Conte al seguito di Di Battista) sino a prendere lo scissionista Di Maio sotto la propria tutela.

Tragici errori, con la conseguenza che il voto utile è semmai transitato nelle mani di Conte. Sotto forma di un progetto politico di ripresa della sinistra sociale come premessa per più larghe alleanze in grado di arginare la destra in una prospettiva alternativa di governo. Un calcolo errato anche in termini tattici.

Se si vuole competere nel favore di un elettorato d’area bisogna stare vicini, a contatto di gomito, non dichiararsi estranei e nemici irriducibili. Nella competition bisogna stare alla ruota. Ed essere capaci di succhiarla. Una capacità di egemonia si estrinseca anche attraverso la furbizia. Il Pci, ad esempio, seppe risucchiare molti elettori socialisti sempre sapendo dosare nel rapporto col Psi la critica e l’alleanza.

Anche il discorso sul voto utile locale, cioè a livello di collegio, lascia il tempo che trova. Certo il voto utile ad personam ha un suo rilievo. Se al collegio senatoriale di Bologna concorresse Speranza invece di Casini qualche problema me lo porrei. Ma così non è.

Inoltre non è vero che ovunque il candidato Pd sia il meglio piazzato fra gli sfidanti. Si deve supporre che in molti collegi del sud il meglio piazzato sia un 5S. Dunque la questione è quantomeno bilaterale. Tecnicismi comunque alle nostre spalle.

La questione è perciò semplice. Riguarda il comportamento razionale, non la sfera olfattiva dei nasi turati. Ognuno darà il suo voto, per un utile che solo l’elettore può significare. Inutile chiederlo con enfasi inevitabilmente sospetta. Se c’è verrà da se. Dove andrà lo vedremo.

Fausto Anderlini 

Di L.M.

Appassionato sin da giovanissimo di geopolitica, è attivo nei movimenti studenteschi degli anni novanta. Militante del Prc, ha ricoperto cariche amministrative nel comune di Casteldelci e nella C.M. Alta Valmarecchia. Nel 2011 crea il blog Ancora fischia il vento.

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