Dal 16 settembre l’Iran è in rivolta e le proteste non vogliono fermarsi. Le guidano le donne che lottano contro un regime di apartheid di genere e combattono per la piena destituzione di questo regime brutale

Mehsa Amini, una ragazza curda di ventidue anni, era andata a Teheran con la sua famiglia per un viaggio. È stata uccisa dagli ufficiali della Polizia morale iraniana il 16 settembre, dopo un coma di due giorni all’ospedale Kesra di Teheran, causato da una emorragia cranica.

La sua morte ha aperto una nuova fase nelle rivolte e manifestazione che da anni esprimono il malcontento del Paese nei confronti del governo della Repubblica Islamica. In nome di Mahsa, il popolo iraniano sta chiedendo unito il rovesciamento del regime, senza mezzi termini.

La rabbia derivante da 43 anni di oppressione e discriminazione di genere nei confronti delle donne ha raggiunto il culmine ed è arrivata in tutte le città dell’Iran, da nord a sud, e da est a ovest. Le notizie che arrivano dall’Iran ci parlano di centinaia di persone uccise o rimaste ferite, e migliaia di persone arrestate. La maggior parte di loro sono donne di età inferiore ai 30 anni.

Prima di estendersi a livello nazionale, la rivolta ha avuto inizio nel Kurdistan iraniano, la provincia di confine dove è nata Mahsa Amini. Il governo iraniano, come aveva già fatto diverse volte negli anni passati, ha cercato di arginare le proteste reprimendo e bloccando Internet, ma non è riuscito ad arginare la rabbia delle e dei giovani che negli ultimi anni hanno accumulato esperienza nei vari cicli di proteste che si sono susseguiti.

Ciò che sta accadendo non è un semplice brontolio o semplice rabbia contro l’hijab obbligatorio, la paura del regime è scomparsa e si sta sviluppando una vera e propria guerra urbana dove le e i giovani stanno attaccando tutti i simboli ideologici del governo.

Nelle ultime settimane, mentre la polizia reprimeva il popolo iraniano sparando sui manifestanti, Ebrahim Raisi, il Presidente della Repubblica Islamica dell’Iran, si è recato a New York per tenere un discorso alle Nazioni Unite, dove ha incontrato e parlato con statisti occidentali, tra cui il presidente francese Emmanuel Macron. Raisi, burattino di Ali Khamenei, la Guida Suprema della Repubblica Islamica, ha negato l’esistenza di qualsiasi tipo di rivolta davanti alle telecamere dei media internazionali.

Ma ormai il popolo iraniano, a mani vuote nelle strade, non attenderà i governi occidentali la propria liberazione. Mentre la solidarietà dei movimenti globali in qualche modo si è fatta sentire, ad esempio con l’aiuto di gruppi hacker come Anonymous, che ha violato siti del governo e telecamere di sicurezza, ottenendo informazioni utili e aiutando a far girare delle immagini delle proteste. Oltre le proteste di supporto che si sono viste in tante piazze del mondo, e anche in Italia.

In Iran oggi è iniziata una nuova fase di rivolta contro i regimi patriarcali globali, le donne guidano le proteste, ne subiscono le conseguenze più dure in prima persona, e stanno portando avanti una lotta contro il loro apartheid di genere e combattono per la piena destituzione di questo regime brutale.

Oggi nelle strade in Iran si sente gridare lo slogan nato in Rojava: “Donna, vita, libertà”. In questo modo le donne iraniane hanno legato la loro liberazione dal regime della Repubblica islamica a quello di tute le donne dell’area medio-orientale, oltrepassando i confini nazionali, arrivando a risuonare alle donne in Afghanistan, in Turchia, in Siria.

“Donna, vita, libertà” ha suscitato terrore tra i governanti, soprattutto in Medio Oriente, perché collega il movimento delle donne iraniane con i movimenti femministi del mondo e oggi lo sentiamo intonare anche nelle piazze dell’Europa e delle Americhe, in solidarietà e unite con le donne iraniane.

Il movimento delle donne in Iran è riuscito a oltrepassare i confini connettendosi al movimento femminista globale, questo gli ha dato più forza rispetto alle proteste che sono avvenute negli anni passati, rimaste più isolate su questioni nazionali. Il movimento rimane ancora molto spontaneo e autorganizzato e le proteste potranno anche placarsi, ma nel lungo periodo non falliranno e andranno fino in fondo.

Di Nardi

Davide Nardi nasce a Milano nel 1975. Vive Rimini e ha cominciato a fare militanza politica nel 1994 iscrivendosi al PDS per poi uscirne nel 2006 quando questo si è trasformato in PD. Per due anni ha militato in Sinistra Democratica, per aderire infine nel 2009 al PRC. Blogger di AFV dal 2014

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