Aumentano di giorno in giorno le tensioni tra Serbia e Kosovo, nonostante il recente accordo raggiunto sulla questione delle targhe, secondo il quale la Serbia dovrebbe smettere di emettere targhe con le denominazioni delle città del Kosovo e il Kosovo cesserà ulteriori azioni relative alla reimmatricolazione dei veicoli: dopo la decisione di Pristina di inviare contingenti di forze speciali della polizia nazionale nella parte nord della città di Mitrovica – a maggioranza serba – infatti, l’ultimo episodio che ha portato ai livelli massimi lo scontro riguarda l’arresto di un ex agente serbo della polizia kosovara – avvenuto sabato 10 dicembre – accusato di reati di terrorismo e di attentato all’ordine costituzionale per un presunto attacco agli uffici della commissione elettorale locale e a funzionari della polizia kosovara. Il fatto ha innescato le proteste dei serbi locali che hanno reagito innalzando barricate e facendo blocchi stradali. Le autorità di Belgrado hanno respinto le accuse mosse all’agente di polizia e Petar Petkovic, capo dell’Ufficio governativo serbo per il Kosovo, ha parlato di una «brutale rappresaglia e intimidazione», ritenendo che il premier kosovaro Albin Kurti sia un «inventore di accuse inesistenti a carico di coloro che hanno deciso di abbandonare le istituzioni kosovare». All’interno del quadro di escalation creatosi, l’Unione Europea fatica a mantenere un atteggiamento equidistante tra le due parti, dando piuttosto manforte a Pristina e rischiando così di acuire il rischio di escalation.
Intanto, il presidente serbo Alexandr Vucic ieri ha convocato una riunione d’emergenza del Consiglio per la sicurezza nazionale, durante la quale ha fatto appello ai serbi che protestano nel nord del Kosovo e anche alla popolazione albanese a «mantenere la calma», manifestando in modo pacifico e non reagendo alle provocazioni. Ha poi definito false le accuse mosse al poliziotto di etnia serba arrestato, criticando al contempo la decisione di Pristina di inviare contingenti a Mitrovica, in quanto ciò non sarebbe previsto dall’accordo di Bruxelles, che richiede il consenso delle autorità del nord e del comando di polizia del nord, a maggioranza serba. In risposta alla decisione del Kosovo, comunque, Vucic ha annunciato l’intenzione di Belgrado di inviare in Kosovo un reparto di forze di sicurezza a difesa dei serbi locali. Secondo la risoluzione 1244 delle Nazioni Unite del 1999, infatti, Belgrado può dispiegare truppe nella provincia kosovara per un massimo di 1.000 uomini con funzione di protezione dei siti religiosi cristiani ortodossi, dei valichi di frontiera e della popolazione serba a condizione che il contingente Kfor della Nato conceda la sua approvazione.
Ieri due esplosioni sono state udite a Zvecan, mentre una sparatoria è avvenuta nei pressi di Zuvin Potok: si tratta di due dei quattro maggiori comuni kosovari a maggioranza serba. A suscitare la forte reazione dell’Ue però è stato un presunto attacco contro una pattuglia di Eulex, la missione civile europea in Kosovo che, insieme alle truppe Nato della Kfor, è coinvolta nella missione di controllo e sorveglianza. L’attacco non ha provocato morti né feriti, ma ha suscitato la dura condanna dell’Alto rappresentante dell’Ue per gli affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell, il quale ha scritto su Twitter che «l’Ue non tollererà attacchi a Eulex in Kosovo o l’uso di atti violenti e criminali nel nord. Le barricate devono essere rimosse immediatamente da gruppi di serbi del Kosovo. La calma deve essere ripristinata». Borrell ha anche aggiunto che «Eulex continuerà a coordinarsi con le autorità del Kosovo e con la Kfor. Tutti gli attori devono evitare l’escalation».
Nonostante, dunque, la Serbia stia cercando di smorzare le tensioni e avesse già accettato l’accordo proposto dalla Ue in tal senso durante l’ultimo incontro a Bruxelles – al contrario di Pristina – i funzionari europei non esitano ad accusare in modo più o meno diretto Belgrado, limitandosi a parlare e a coordinarsi con le autorità kosovare, piuttosto che con le autorità di entrambe le parti in conflitto. Similmente, il ministro degli Esteri tedesco, Annalena Baerbock, ha definito «inaccettabile» l’ipotesi di un invio di forze di sicurezza serbe in Kosovo. Dura la replica della premier serba Ana Brnabicha: «in fatto di diritto internazionale, sulla base di quali criteri decidete quali risoluzioni Onu vanno rispettate e quali invece no? Nel caso della Libia, ad esempio, la risoluzione 2571 va rispettata, mentre nel caso della Serbia la risoluzione 1244 si può ignorare. Ciò è uno stupefacente livello di assurdo», ha asserito. Inoltre, una mozione del Parlamento europeo chiede alla Commissione che vengano introdotti criteri più stringenti per poter aderire all’Ue: ad esempio, dovrebbe essere possibile imporre sanzioni agli Stati membri candidati che non rispettano sufficientemente la politica estera dell’UE, come il congelamento del processo di adesione. Il riferimento implicito è ovviamente proprio alla Serbia che non ha aderito alle sanzioni europee contro Mosca. Vucic aveva definito le pressioni internazionali a aderire alle sanzioni «una caccia alle streghe». L’atteggiamento parziale di Bruxelles non sta facendo altro che accrescere le tensioni nei Balcani.
A confermare questa lettura dei fatti è stato anche l’ex inviato USA per il dialogo tra Belgrado e Pristina, Richard Grenell, il quale ha osservato che gli europei stanno aggravando la crisi nei Balcani con «interventi unilaterali» e ha chiesto agli Stati Uniti di interrompere ogni aiuto a Pristina se il presidente kosovaro, Albert Kurti, non rilascerà il poliziotto serbo arrestato. Su Twitter, inoltre, dopo la dichiarazione del capo della diplomazia tedesca, Baerbock, Grenell ha affermato che il dialogo condotto dall’Ue è fallito.
Da parte sua, il presidente serbo sta lavorando per riportare la calma, invitando i serbi del Kosovo a non partecipare alla violenza contro i membri delle forze Kfor e Eulex. «Nessuno, in nessuna circostanza, dovrebbe partecipare agli attacchi a Eulex e Kfor», ha affermato. Un tentativo di smorzare la crisi evidentemente non colto dal suo omologo kosovaro Kurti che – sostenuto da Usa e Ue – continua a soffiare sul fuoco, accusando Vucic di voler minacciare una nuova guerra attraverso l’invio di proprie truppe in Kosovo.
[di Giorgia Audiello]