Davide Sabatino 

Guardando alla sciagurata situazione geopolitica attuale, al crollo verticale della credibilità delle istituzioni europee, alla drammatica riproposizione di un’economia di austerità e alla sempre più insopportabile mistificazione dell’informazione mainstream, è impossibile non fare memoria di quanto scriveva il compianto Giulietto Chiesa:

“È sempre più evidente che l’intero meccanismo della globalizzazione è diventato incontrollabile. Gli effetti dell’ultraliberismo, del clintoniano free capital flow, stanno rovesciandosi sull’insieme delle relazioni finanziarie, industriali, commerciali, provocando squilibri che nessuno è in grado di prevedere e tanto meno di mantenere sotto controllo”. […]  “Non si può essere contro la guerra e continuare a parlare di sviluppo del prodotto interno lordo così come si è fatto tutti, destra e sinistra, in questi anni di globalizzazione trionfante. Essere contro la guerra “senza se e senza ma” significa capire che non ci sono e non ci saranno più guerre “motivabili”, guerre “razionali”, tanto meno guerre “giuste”. Siamo giunti al CAPOLINEA in cui tutte le categorie del pensiero politico debbono essere riesaminate e cambiate”[1].

Queste previsioni, e le invettive contro un certo pacifismo di facciata, non solo si sono rivelate vere nel concreto, ma hanno il pregio di essere ancora più comprensibili se le leggiamo oggi alla vigilia di un’ennesima catastrofe economica e identitaria dell’Italia e dell’Unione Europea. Ciò che va riconosciuto a Giulietto Chiesa è che, almeno dal punto di vista della riflessione geopolitica, fu davvero lungimirante. Egli comprese benissimo, ad esempio, che la situazione di tregua fra l’ex impero sovietico e gli Stati Uniti d’America era una condizione di falsa quiete, e che non appena si fossero create le condizioni favorevoli alla guerra (magari proprio a seguito dell’espansione della Nato in Ucraina), il conflitto si sarebbe sicuramente riacceso. “Ho l’impressione che prima che l’Ucraina entri nella Nato accadrà qualcosa di molto grave” aveva infatti predetto ad un convegno nel 2015.

Eppure in Italia chi si azzarda a dire l’ovvio, ovvero che esistono grandi apparati di potere che intrecciano interessi che vanno ben al di là della cronaca politica interna ai singoli stati (gli interessi di quelle che lo stesso Chiesa chiamava “superclassi globali”) viene subito bollato con il marchio di “complottista”. Allo stesso modo, chiunque provi a chiedere che ci sia una maggiore attenzione all’approccio diplomatico nei confronti della Russia — magari resistendogli in modo nonviolento e negoziale  è presto rinchiuso nel recinto dei “putiniani”.

La spregiudicatezza con cui l’informazione dominante ci propina dalla mattina alla sera pillole di falsità, al fine di stordire il pubblico e indirizzarlo verso una realtà artatamente costruita, ha raggiunto livelli inimmaginabili. Come sappiamo si tratta di una cerchia di tre o quattro grossi gruppi editoriali che detengono il monopolio della comunicazione e che decidono quale dev’essere l’ordine del giorno. La loro efficacia risiede nell’imbastire quotidianamente “il teatro del bene e del male”[2] (espressione di Eduardo Galeano), affinché non ci sia spazio per interpretazioni critiche, ponderate e, quindi, assolutamente eque e non manichee. Questi gruppi editoriali ripudiano la complessità culturale, e se decidono che bisogna a tutti i costi fomentare l’istinto bellico suicida, o far prevalere l’ipocrisia sulla verità, essi hanno tutti gli strumenti retorici e finanche psicologici per farlo:

“Non c’è guerra, in tutte le epoche, che non abbia trovato schiere di intellettuali pronte a magnificarla, a raccontarla e descriverla con i giusti toni dell’eroismo e del patriottismo. Quasi tutti di regola, lo fanno per denaro, ma non mancano quelli disinteressati che, una volta inseriti nella macchina del consenso, partecipano anche loro alla creazione delle idee di guerra con appassionata dedizione”[3] (Giulietto Chiesa).

Per fortuna però non c’è soltanto il “teatro” del mainstream. Da un po’ di tempo a questa parte esiste anche il contraltare del web che, nonostante i continui attacchi e le continue minacce di sospensione e di chiusura dei vari canali che danno notizie “non allineate”, riesce a garantire una minima informazione alternativa e, cosa molto importante, ad esercitare una certa pressione controegemonica indispensabile. È su internet infatti che accadono le cose più interessanti, le interviste migliori, i dialoghi più intensi e le argomentazioni culturali più appassionati. Certo, la navigazione non è un gioco da ragazzi. Serve un fiuto e un gusto molto sviluppati per riuscire a discernere la marea di contenuti che vengono ogni giorno condivisi. Ma, con un po’ di esperienza e di ricerca selettiva, si capisce in fretta di chi ci si può fidare. E già solo il fatto che ci sia anche solo qualcuno di cui fidarsi, rispetto alla TV e ai Giornaloni dove non esiste praticamente più spazio per l’onestà intellettuale, è qualcosa di molto confortante.

Quello che occorre è prendere atto della crisi strutturale che stiamo attraversando da decenni. Una crisi che tocca tutti gli aspetti fondanti una Repubblica democratica (istituzioni, lavoro, diritti, educazione scolastica, beni comuni, libertà di stampa). La corruzione che vediamo in Europa, come descrive bene la studiosa cilena Camila Vergara, non è affatto una vicenda momentanea, ma è tecnicamente SISTEMICA[4]; e cioè riguarda il modo di funzionare di tutti gli assetti culturali, politici e sociali che compongono le nostre istituzioni. Dobbiamo guardare in faccia la mostruosità di ciò che sta emergendo e, senza farci prendere dal panico, cominciare a ripensare con coraggio ogni ambito dal sapere umano. Non servono piccole riforme, ma grandi RIVOLUZIONI.

È infatti un intero mondo fondato sullo strapotere delle banche e dei burocrati internazionali che va contestato alla radice. Un potere oligarchico, meccanicistico e vampiresco, che vede come suo unico parametro di gestione della cosa pubblica e dei rapporti sociali quello scientifico-tecnico-finanziario. Detto in termini ancora più radicali: è un tipo di umanità, un’antropologia antica, egoista e predatoria, che va completamente destrutturata e riformulata. Poiché è da questo tipo di essere umano che si fa strada nel mondo l’idea politica di un profitto sproporzionato, di un meccanismo di sfruttamento universale e di una distruzione progressiva della vita sulla terra.

Stiamo parlando del fatto che occorre boicottare politicamente l’intero sistema FINANZCAPITALISTICO il quale, sfruttando le faglie della globalizzazione, è riuscito a impossessarsi del mondo e delle coscienze che lo abitano. A proposito di globalizzazione infatti, Luciano Gallino scrisse proprio che sarebbe stato il più grande “progetto politico” di “delocalizzazione” e di “finanziarizzazione della natura, della società e della persona”[5]. Profetico? Inoltre, a sostegno di quanto dicevamo sulla sistematicità della corruzione e della frantumazione etica e politica, scriveva che: “Il dramma politico, sociale ed economico del nostro tempo e del nostro paese consiste precisamente nell’aver costruito – su basi politiche, legislative, normative, oltre che industriali e finanziarie – una situazione in cui le alternative, alla fine, davvero non ci sono più”[6].

In fondo, da più parti, stiamo tutti sforzandoci di ripensare un’alternativa politica maggioritaria, che possa avere la forza di contestare il criterio stesso con cui valutiamo il nostro sviluppo economico, i nostri rapporti internazionali, le nostre modalità di partecipazione democratica e quant’altro. Finché non cambieremo drasticamente quelli che sono i paradigmi che stanno alla base di ogni nostra discussione politica e culturale (parlo principalmente del pensiero neoliberista, della falsa idea di cosmopolitismo e dello scientismo tecno-digitale dilagante, come quello promosso dall’agenda di Davos), non riusciremo a evitare tutte quelle effervescenze criminali, antidemocratiche e post-umane che, già oggi, possiamo scorgere all’orizzonte.

Questo cambiamento però non è affatto facile. Esso, proprio perché riguarda il livello più profondo dell’essere umano, e cioè il livello antropologico-spirituale, richiede uno sforzo estremamente più impegnativo di quello esercitato fin ora. Una delle chiavi di volta che dobbiamo necessariamente utilizzare, se vogliamo respingere la diabolicità di questo sistema fatto di mediocrità, arrendevolezza, ignoranza e surrealismo bellico vertiginoso, è il lavoro meditativo interiore o, se vogliamo, la riscoperta della nostra natura spirituale. Solo successivamente si potrà pensare anche a riorganizzare un’azione politica davvero efficace, al passo con i tempi. Rinforzare quindi la salda convinzione di essere ben di più che poveri involucri di carne, non è un optional filosofico-religioso, ma sta diventando un’azione politica INDISPENSABILE. Esattamente come di fronte alla minaccia atomica diventa necessaria una risoluzione diplomatica di pace. Infatti, l’alternativa alla guerra non è la pace in astratto, ma è la pacificazione interiore. L’atto pratico di trasformazione e disattivazione di quelle parti di noi che si fanno portatrici di un meccanismo distruttivo e autodistruttivo. Esiste dunque un livello della lotta politica (forse il più importante) che si gioca tutto sul piano dell’invisibile. In quel punto nascosto e meno esplorato di noi stessi dove, insieme alla parte d’ombra, nasce e si fa strada la fiducia in una luce nuova sempre possibile. Anche ora.


[1] Giulietto Chiesa, Prima della tempesta, Nottetempo, Roma 2006 pagg. 144-148 (grassetto mio)

[2] Il teatro del bene e del male, EGA, Torino 2002 pag. 13

[3] ivi pag. 101

[4] https://www.youtube.com/watch?v=LImXWxsEPio&t=1915s 

[5] Luciano Gallino, La lotta di classe dopo la lotta di classe , Laterza, Bari 2012 (III capitolo)

[6] Ivi pag. 62

Di L.M.

Appassionato sin da giovanissimo di geopolitica, è attivo nei movimenti studenteschi degli anni novanta. Militante del Prc, ha ricoperto cariche amministrative nel comune di Casteldelci e nella C.M. Alta Valmarecchia. Nel 2011 crea il blog Ancora fischia il vento.

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